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A Cuba va in archivio l’era Castro

Raul, fratello di Fidel, si è dimesso da segretario del partito comunista. Dopo 62 anni stop all’era Castro

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Durante l’ottavo congresso del PCC, partito comunista cubano, tenutosi nei giorni scorsi a l’Avana, Raul Castro, fratello di Fidel, ha espresso l’intenzione di abbandonare le sue funzioni. Gli subentrerà una classe dirigente più giovane, che sarà guidata dall’attuale presidente Miguel Diaz Canel. Era nell’aria una simile decisione e Raul Castro si è detto: “Felice di consegnare la direzione del paese ad un gruppo di persone preparate, pregne di etica e di valori, con la cultura ed il rispetto della Nazione”. La nomina del suo successore, Canel, coincide con la fine dell’epopea dei Castro, iniziata nel 1959. Raul oltre ad aver annunciato le sue dimissioni, lascerà anche la guida delle forze armate.

Ma cambierà davvero qualcosa all’interno del sistema cubano? Nelle scorse ore è diventato virale un video di un gruppo rap locale dal titolo che è tutto un programma: “Patria y vida”, parodia del memorabile “Patria y muerte” di Fidel Castro. Il video, specchio delle richieste dell’intero paese chiede: “Libertà e non dottrine”. Inoltre il gruppo di artisti indipendenti S.Isidro ha organizzato una maxi protesta per la libertà di espressione davanti al ministero della cultura. Insomma, giorni di vento davvero nuovo in terra cubana.

Canel, 60 anni, fido di Raul, si è distinto in questi tre anni per come ha affrontato la pandemia, la stretta delle sanzioni americane da parte del presidente americano Donald Trump ed un serpeggiante dissenso contro il partito unico favorito anche dall’accesso ad internet, avvenuto con le reti senza fili nelle case e nelle piccole imprese solo a fine 2019. In una realtà piuttosto monolitica, dove si regista anche un solo gestore telefonico, la fine dell’era Castro e l’inizio del mandato Canel, rappresenta veramente un nuovo inizio.

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Sindaco messicano decapitato una settimana dopo la sua elezione

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sindaco messicano decapitato

Alejandro Arcos Catalan è stato eletto sindaco di Chilpancingo, in Messico, la settimana scorsa. Ieri la polizia ha ritrovato la sua testa mozzata sopra un pickup.

Una truce storia proveniente dal Messico riaccende i riflettori sullo strapotere dei cartelli della droga nel Paese del Centro America, dove Alejandro Arcos Catalan, sindaco della città di Chilpancingo, è stato ucciso e decapitato. Le immagini del brutale omicidio sono state diffuse sui social e sono agghiaccianti. Mostrano la testa mozzata della vittima appoggiata sopra un pickup.

Alejandro Arcos Catalan ha centrato l’elezione la settimana scorsa nella città dello Stato messicano meridionale di Guerrero, una delle aree più colpite dalla violenza dei cartelli della droga data la sua posizione lungo la costa del Pacifico.

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Ancora un’esplosione nel centro di Colonia: un ferito

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polizei bomba esplosione colonia germania

A Colonia si è verificata una nuova esplosione, a poche centinaia di metri dalla discoteca dove lunedì scorso è scoppiata una bomba.

Dopo che lo scorso lunedì 16 settembre un ordigno è deflagrato all’entrata di un ristorante discoteca, provocando un ferito, questa mattina, mercoledì 18 settembre, una nuova nuova esplosione è riecheggiata nel centro di Colonia. Anche questa volta si tratterebbe di una bomba ed anche in questo caso una persona è rimasta ferita, un passante di 40 anni. Le sue condizioni fortunatamente non sarebbero serie ed è stato ascoltato dagli inquirenti in qualità di testimone.

L’esplosione di questa mattina a Colonia è avvenuta nella Ehrenstrasse. Il vanity Club, la discoteca dove è stato piazzato un ordigno lunedì scorso, dista solo poche centinaia di metri. Che tra i due casi possa esserci un collegamento appare più di un sospetto, anche se al momento non è chiara la matrice dei due attentati.

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Venezuela, Maduro al contrattacco: mandato d’arresto per Gonzalez

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La faida tra l’erede di Chavez ed il suo sfidante si fa più sempre più aspra. Maduro accusa di cospirazione e terrorismo Gonzalez, che aveva a sua volta denunciato brogli elettorali e che si trova in semi-clandestinità dal 30 luglio.

Poco più di un mese dopo le elezioni presidenziali, il Venezuela scivola sempre più nel caos dopo che nella notte è stato spiccato, e ratificato a tempo di record, un mandato d’arresto per lo sfidante di Nicolas Maduro, Edmundo Gonzalez Urrutia. Le accuse sono di «usurpazione di ufficio, diffusione di false informazioni, incitamento a disobbedire alla legge, incitamento all’insurrezione e associazione a delinquere».

All’indomani del voto Gonzalez ha denunciato brogli elettorali, ha contestato la proclamazione di Maduro con il 52% dei voti da parte del Consiglio elettorale nazionale ed ha mostrato dati sugli scrutini che lo davano in netto vantaggio. Poco più di un mese dopo, è arrivata la risposta decisa del governo, anche se la richiesta d’arresto reca la firma della Procura ed è stata approvata dal Tribunale di Prima Istanza con Funzioni di Controllo.

E’ lo stesso presidente a mettere il cappello sull’iniziativa: «Crede di essere al di sopra della legge questo signor codardo, ha la pretesa di dire che non riconosce la legge, che non riconosce nulla. Questo è inammissibile, non accade in nessun’altra parte de mondo», ha detto nel corso del suo programma settimanale “Con Maduro+” sulla tv di Stato.

L’ex ambasciatore Gonzalez, che dopo il mandato d’arresto si trova in condizione di semi-clandestinità, non appare in pubblico dal 30 luglio. Dal giorno delle elezioni in tutto il Paese si sono verificati scontri e disordini e si stimano che siano oltre 2.400 le persone arrestate o detenute. L’Onu ha speso parole pesanti, parlando di «clima di terrore» in Venezuela, mentre i Paesi dell’Unione Europea e molti stati latino americani non riconosceranno il risultato elettorale, fino a che il governo venezuelano non mostrerà prove inconfutabili. Gli Stati Uniti invece hanno già riconosciuto Gonzalez come vero vincitore.

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