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Politica

Berlusconi: «non rinnego amicizia con Putin, ma mie parole prese fuori contesto»

«Io non ho dato nessuna interpretazione assolutoria all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa»

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«Era un ragionamento più ampio, che si concludeva con la condanna dell’invasione russa e con l’auspicio di una soluzione negoziata, che ponga fine a questo massacro e che tuteli i diritti del popolo ucraino». Berlusconi prova a mettere una pezza alla crisi innescata dagli audio in cui si parla della sua amicizia con Putin e si scaglia contro Zelensky. E mentre parte la caccia alla talpa, la Meloni rompe ogni trattiva: «l’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo».

«Non rinnego affatto i miei passati rapporti di amicizia con Vladimir Putin, ma oggi le circostanze sono cambiate», afferma Berlusconi per placare le polemiche nate dalle sue dichiarazioni dei giorni scorsi, che hanno provocato un terremoto nel centrodestra. Oggi prova a mettere una pezza sulla crisi innescata dalle sue parole rilasciando un’intervista al Corriere: «Io non ho dato nessuna interpretazione assolutoria all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Ribadisco per l’ennesima — e spero ultima — volta che la mia posizione è di netta condanna dell’attacco militare contro uno Stato libero e sovrano».

Audio rubati da una talpa, o strategia pianificata?

Le dichiarazioni di Berlusconi sono state davvero rubate e diffuse alla stampa da una talpa, oppure il leader azzurro ne era al corrente e faceva tutto parte di una strategia della destabilizzazione nei confronti del nascente Governo Meloni? Il dubbio rimane. Certo gli audio diffusi da Corriere e da LaPresse hanno avuto forti ripercussioni sulle trattive per la formazione del governo ed hanno indebolito la posizione di Forza Italia. Ma ostacolano anche la corsa di Fratelli d’Italia. E il sospetto che possa essere parte di una strategia tesa ad indebolire l’alleata, continua a serpeggiare.

Per quanto riguarda le sue affermazioni diffuse dai media, Berlusconi spiega che si tratta di «interpretazioni distorte e francamente ridicole del mio pensiero», che il suo discorso è stato preso «fuori contesto» e che è stato «diffuso senza conoscere il senso globale delle mie parole», a causa di «pessime abitudini, come carpire e registrare di nascosto brani di conversazioni private». D’altronde Berlusconi si è sempre scagliato contro le intercettazioni.

La caccia alla talpa

Ma se davvero non era a conoscenza che qualcuno lo stesse registrando, pronto a consegnare il materiale ai giornalisti, allora, chi è la talpa? Circolano diverse teorie. Secondo qualcuno, sarebbe stato un sabotaggio ad Antonio Tajani, una questione personale da parte di due ex parlamentari presenti alla riunione, ma non ricandidati. Per Tajani ora la strada che porta alla Farnesina è tutta in salita. Secondo qualcun altro si tratterebbe di un segnale che alcuni parlamentari hanno voluto mandare al capo: basta fare i capricci, mettiamoci a lavorare. Secondo altri ancora invece sarebbe un atto della faida in corso tra “ronzulliani” e “governisti”, in un partito diviso tra correnti, seppur numericamente limitato in Parlamento.

La reazione di Giorgia Meloni

Questa volta la presidente in pectore non ha fatto finta di nulla e non ha lasciato sbollentare la questione, ma è intervenuta direttamente e senza mezzi termini sulla questione: ««l’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo». Meloni, già arrabbiata per le pretese sui ministeri di Berlusconi, è furibonda per gli audio sull’amicizia con Putin e le critiche a Zelensky, impegnata com’è a dimostrare il suo atlantismo.

Domani la delegazione del centrodestra salirà unita al Colle per le Consultazioni che si aprono oggi, ma la leader di FdI non tratterà più con Berlusconi. Terrà un canale aperto con quei pochi di cui può fidarsi, ad esempio del vecchio saggio Gianni Letta. Avrebbe avuto anche colloqui con lo stesso Mattarella, preoccupato per la deriva filo-russa del suo alleato, nei quali avrebbe cercato di rassicurare il Presidente della Repubblica sulla linea che intende tenere al governo.

Ma se si arrivasse alla rottura con Forza Italia, Meloni si lascerebbe davvero sfumare così il governo? Forse, ma non senza aver vagliato altre strade. Ad esempio traghettare i malpancisti azzurri verso un gruppo parlamentare cuscinetto, dal quale magari ottenere i voti, non troppi, che le mancherebbero senza l’appoggio di Forza Italia. E l’appoggio fornito a Maurizio Lupi per la costituzione del gruppo autonomo Noi Moderati, pare muoversi in tal senso.

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Moglie, suocera e cognati di Aboubakar Soumahoro rinviati a giudizio

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Il Gup di Latina ha accolto le richieste dei pm. Secondo le accuse, gli indagati hanno utilizzato il denaro della Prefettura destinato ai minori ospiti della cooperativa Karibu, per spese personali.

Liliane Murekatete, Marie Therese Mukamitsindo, Michel Rukundo e Aline Mutes, rispettivamente moglie, suocera e cognati del senatore Aboubakar Soumahoro, sono stati rinviati a giudizio dal  giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina Giulia Paolini, che ha accolto le richieste del pm Giuseppe Miliano. Un altro cognato di Soumahoro, Richard Mutangana, è tornato in Ruanda ed è al momento irreperibile, ma la sua posizione è stata stralciata.

In base alle accuse nei loro confronti, gli indagati avrebbero utilizzato i soldi provenienti dalla prefettura di Latina e destinati ai giovani ospiti della cooperativa Karibu per comprare oggetti di lusso ed effettuare investimenti all’estero, mentre i migranti erano stati lasciati al freddo e con poco cibo.  I reati contestati sono quelli della bancarotta, frode in pubbliche forniture e autoriciclaggio.

L’inchiesta nacque dalle segnalazioni di alcuni dipendenti della cooperativa, rimasti senza stipendio. Questo fattore ha portato anche ad una vertenza sindacale. La vicenda si è abbattuta come un macigno sulla carriera politica del senatore Soumahoro, passato repentinamente al gruppo misto dopo essere stato scaricato dal partito con cui era stato eletto, Alleanza Verdi-Sinistra Italiana.

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Scontro Calenda-Mastella: «cultura della mafia», «pariolino viziato ti querelo»

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Clemente Mastella è furioso con Carlo Calenda a causa di un tweet nel quale viene citato il suo nome e nel quale si fa riferimento alla «cultura della mafia».

A causa di un tweet (tanto per cambiare, ndr) Carlo Calenda si trova trascinato in una polemica politica che promette anche strascichi giudiziari. Parlando delle liste per le Europee e rivolgendosi ad Emma Bonino ha motivato il suo no al progetto Stati Uniti d’Europa. Durante un passaggio del suo ragionamento ha scritto: «non ha alcun senso portarsi dietro, sia pure per interposta persona, Cuffaro, Cesaro e Mastella. La cultura della mafia è l’opposto dei valori europei». Apriti cielo: Mastella l’ha presa malissimo ed ha subito promesso querela nei confronti di Calenda.

Nel darne annuncio rinuncia al politichese: «Questo pariolino viziato che gioca a fare il bulletto mediatico non può permettersi di associare il mio nome e la mia storia politica alla mafia. Mentre lui giocava a fare il figlio di mammà, io ho combattuto senza sconti la criminalità organizzata, da ministro della Giustizia. Calenda non capisce nulla di politica, ma non pensavo fosse pure un maestro di maleducato e diffamante dileggio. Ci vedremo in tribunale».

Mastella, da navigato politico di centro, ne approfitta ed utilizza la vicenda per rinsaldare il nuovo fronte: ««Renzi ha miracolato il pariolino con cariche importanti come quella di ambasciatore e ministro sottraendolo dall’anonimato cui era destinato. Calenda ha ripagato Renzi con perfidia e ingratitudine. Per me resta il ragazzotto cui affidavo le mie segnalazioni per il Cis di Nola: disse che mi avrebbe querelato ma non lo fece, perché è la verità. Stavolta non basterà l’intercessione di un avvocato comune amico che mi chiese con insistenza di ritirare la querela, ho il dovere di portarla avanti e non arretrerò di un millimetro per rispetto alla mia famiglia, alla mia etica e ai miei elettori. Se ha il coraggio rinunciasse all’immunità parlamentare».

Parole cariche di risentimento, che difficilmente verrà smorzato dalla replica di Azione: «È del tutto evidente che il riferimento alla cultura mafiosa era fatto nei confronti della condanna di Totò Cuffaro».

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Razzi vuole le Europee: «ho mezzo milione di follower, FI mi candidi»

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In un’intervista al Corriere della Sera l’ex senatore Antonio Razzi cerca sponsor per una sua candidatura alle Europee, sponda Forza Italia, ma sta incontrando alcune difficoltà: «non mi risponde nessuno»

Venne eletto in Svizzera con i voti degli italiani all’estero e una volta a Roma passò in una sola notte da uno schieramento all’altro, contribuendo a scrivere una pagina indelebile della storia della seconda Repubblica e rilasciando poi una dichiarazione a telecamere nascoste che ha fatto la fortuna di Maurizio Crozza. Esperito il suo compito e terminata la legislatura non è stato più rieletto, ma nemmeno candidato con sua somma sorpresa: «nel 2018 lo sapevano tutti i giornalisti che non sarei stato ricandidato e io fui l’ultimo a saperlo». La politica italiana insomma gli ha inspiegabilmente voltato le spalle, ma il già senatore Antonio Razzi non ha certo perduto di vista i propri ideali ed ora spera di poter essere arruolato tra le fila di Forza Italia in vista delle Elezioni Europee, come ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera. Cosa può portare agli azzurri? «Ho oltre mezzo milione di follower».

Il suo percorso politico in caso di elezione sarebbe compiuto: eletto in Parlamento fuori dai confini nazionali, troverebbe in patria i voti che gli servono per raggiungere Strasburgo. Ma non sembra così facile. «Mi sono messaggiato con tutto lo staff di Forza Italia ma sulla candidatura nessuno risponde. Io mi sono messo a disposizione del partito perché porto il voto dei giovani» rende noto Razzi, perplesso dall’assordante silenzio proveniente dagli ambienti forzisti.

Il ragionamento dell’ex senatore è semplice e si basa sulla fredda aritmetica: «Io voglio dare una mano. Ho oltre mezzo milione di follower. Se anche solo il 5% mi votasse, porterei 25 mila voti. Se si vuole superare il 10% è bene avere i numeri». Razzi affronta poi un ragionamento relativo all’importanza dei nomi: «Ci sono candidati che poi uno si chiede “chi lo conosce”. Ma se non metti gente conosciuta come fai a prendere i voti?». Un ragionamento che però non tiene in considerazione di un quesito significativo: da dove proviene questa notorietà?

Ma Razzi tira dritto per la sua strada e fa leva sul suo punto forte: il dialogo coi giovani. «Mi scrivono sui social. E io rispondo». Una buona tattica effettivamente, che però nasconde qualche insidia: «Certo, ci sono anche quelli che mi vogliono offendere». Ma l’ex senatore sa come disinnescare gli hater: «gli metto un cuoricino, così si arrabbiano il doppio».

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