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Calenda: «dopo il voto non mi alleerò col Pd, vorrei una larga coalizione con anche la Meloni»

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Il leader di Azione Carlo Calenda scopre il fianco agli attacchi da sinistra, dopo la dichiarazione in cui smentisce eventuali ipotesi di alleanza con il Pd a urne chiuse, ma non esclude una coalizione con anche la Meloni. Letta: «il terzo polo guarda a destra, il nostro è l’unico voto utile».

Gli utenti di Twitter lo sanno, quando a Calenda scappa, scappa. Se vuole dire una cosa, la dice, poi, nel caso, riflette su quello che ha detto. Dopo. Prima parla. E così, ieri gli è scappata detta una frase che riaccende le ostilità a quel Partito Democratico a cui oppose il gran rifiuto. «Non farò un’alleanza con il Pd, altrimenti l’avrei fatta prima vorrei fare un governo di larga coalizione, che pacifichi l’Italia. Serve un’alleanza comune, mi auguro anche con la Meloni». Questa la dichiarazione che Carlo Calenda ha reso ieri ai microfoni di radio RTL 102.5. Alleanza post voto con il Pd no, coalizione insieme alla Meloni forse, sembra dire Calenda.

Una posizione che non poteva certo passare inosservata ad Enrico Letta, impegnato in una campagna elettorale tutta giocata sulla diversità con i competitor, piuttosto che sulle proposte dem. «Mi sembra che si sia chiarito che il Terzo Polo guarda a destra – commenta il segretario dem – Questa è la conferma che chi vuole battere la destra ha un solo voto utile, che è quello per il centrosinistra».

Calenda e Azione hanno provato a correre ai ripari. Prima con una nota del partito: «la posizione di Calenda è sempre la stessa: lavorare con serietà a un governo di unità nazionale, possibilmente guidato da Mario Draghi». Poi è lo stesso leader a tornare sulla questione: «non c’è spazio per un governo con sovranisti e populisti, sarebbe un controsenso. Ma se io fossi Giorgia Meloni, che non ha una grande esperienza di gestione di ministeri, anche se è una brava politica, direi che per responsabilità è meglio andare avanti con Draghi. È solo un consiglio di buonsenso».

Spiegazioni che non convincono i democratici, che dal Nazareno suonano la carica a suon di critiche: la caccia al “voto utile” continua.

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Conte silura Grillo: «fa controinformazione»

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Il primo presidente del Consiglio espresso dal Movimento 5 Stelle ha licenziato il fondatore Beppe Grillo, rescindendo il contratto di collaborazione per la comunicazione.

Dopo mesi di frizioni e scontri a distanza, Giuseppe Conte ha accompagnato alla porta il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, che di fatto è stato licenziato. Il contratto di collaborazione da 300 mila euro annuali, ultimo legame tra l'”elevato” e la sua creatura, è stato chiuso. A spiegarlo è stato lo stesso Conte in un libro di Bruno Vespa che parla di Hitler e Mussolini (“Hitler e Mussolini. L’idillio fatale che sconvolse il mondo (e il ruolo centrale dell’Italia nella nuova Europa”).

Le parole di Conte sono tranchant: «Beppe Grillo è responsabile di una controcomunicazione che fa venire meno le ragioni di una collaborazione contrattuale». Tradotto, perché pagare qualcuno che parla male di noi? «Grillo ha rivendicato il compenso come garante anche nelle ultime lettere che mi ha scritto. Io non ho mai accettato che fosse pagato per questa funzione, che ha un intrinseco valore morale e non è compatibile con alcuna retribuzione».

Ma non si tratta solo di soldi: «Qualcosa si è incrinato in maniera irreversibile. Umanamente sono molto colpito da come si comporta. Vedere oggi che contrasta in maniera così plateale un processo di partecipazione democratica che ci riporta agli ideali originali di Casaleggio mi ha rattristato moltissimo. Perché, al contrario di quel che scrivono i giornali, lo scontro non è personalistico (Grillo contro Conte), ma vede Grillo battersi contro la sua stessa comunità». Insomma, la questione è personale: «già in passato ha avuto atteggiamenti velenosi nei miei confronti, ai quali non ho dato peso perché su tutto prevalevano gli interessi della comunità».

 

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Volano stracci in FdI: furibonda lite in pubblico tra Antonella Giuli e Federico Mollicone

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giorgia meloni ecri denuncia razzismo tra le forze dell'ordine

Prima delle dimissioni di Spano, in Transatlantico è scoppiata una furibonda lite tra la sorella del ministro Giuli, Antonella, ed il deputato FdI Francesco Mollicone.

Il vero tallone d’Achille del governo è la Cultura, intesa come Ministero. Dopo che le anticipazioni di Sigfrido Ranucci hanno sollevato un nuovo caso politico («È un nuovo caso Boccia che potrebbe essere al maschile»), sono arrivate le dimissioni lampo del capo di Gabinetto del ministro Alessandro Giuli, Francesco Spano, travolto dagli attacchi personali provenienti soprattutto da destra. Poco prima della ratifica,  in Transatlantico si è consumato un vero e proprio psicodramma tutto interno a FdI: tra la sorella del ministro, Antonella Giuli, ed il presidente della Commissione Cultura di Fratelli d’Italia Federico Mollicone è scoppiata una furibonda lite, nella quale sono volate anche parole pesanti. La Giuli è una giornalista assunta nell’ufficio stampa della Camera. I bene informati la vogliono molto vicina alla sorella della premier, Arianna Meloni.

Il motivo? Lei accusa lui di essersi fermato a parlare con un giornalista. Lui nega. Lei insiste e chiosa con un «ne riparleremo». Lui si avvicina con fare minaccioso: «Mi stai minacciando?». Qualcuno la porta via. Poi le dimissioni di Spano spostano l’attenzione, ma questa mattina Repubblica ha svelato il retroscena.

La tensione in FdI si taglia con il coltello. E’ sempre il quotidiano a raccontare che sulle chat di gruppo trova sempre più spazio un gossip su una presunta relazione tra Spano ed un altro esponente di partito. I vertici sarebbero più che infastiditi dalla situazione e ci sarebbe qualcuno già pronto a spingere per le dimissioni anche di Giuli. Ma non tutti sono d’accordo: «se va a casa lui, andiamo a casa tutti» sussurra un ministro al Corriere della Sera.

La situazione è intricata e il servizio di Report di domenica prossima potrebbe renderla esplosiva.

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Dimissioni lampo al Mic: Francesco Spano lascia dopo 10 giorni

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Il neo nominato, ma già ex, capo di gabinetto del ministro della Cultura Alessandro Giuli, Francesco Spano, lascia dopo 10 giorni dalla nomina. «Attacchi personali che non mi consentono di andare avanti». Il ministro esprime solidarietà: «clima barbarico». L’ex collaboratore di Giuli finito nel tritacarne per una nomina ritenuta controversa al marito, sposato civilmente qualche mese fa, e per alcuni fondi ad un’associazione Lgbtqi. Gli attacchi più feroci da FdI: «pederasta». Palazzo Chigi avrebbe esercitato pressioni per le dimissioni di Francesco Spano.

Francesco Spano non è più capo di gabinetto al Ministero della Cultura: dopo appena dieci giorni ha rassegnato le dimissioni. Il suo nome ha cominciato a comparire con una certa frequenza sui siti e sulle pagine dei giornali dopo le sibilline anticipazioni di Sigfrido Ranucci sulle prossime inchieste di Report. Ma già da una decina di giorni era diventato abbastanza popolare sulle chat di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, con toni non particolarmente lusinghieri, proprio subito dopo la sua nomina a consigliere del ministro Giuli. Spano è omosessuale. Bisogna specificarlo non per fare gossip, ma per fornire una chiave di lettura a tutta questa storia.

Il successore di Sangiuliano, Alessandro Giuli, lo ha scelto per prendere il posto di Francesco Gilioli. Ed i rumors sulle prossime inchieste di Report, innescate dalle anticipazioni di Ranucci, avevano investito proprio Gilioli e Spano. Qualcuno scommette che nei servizi della trasmissione ci saranno presunti dossier forniti dal primo. Qualcun altro pensa invece che abbiano a che fare con le nomine decise dal secondo, quando questi era segretario generale del MAXXI.

Nel 2022, confermato dal neo-presidente Giuli, Spano avrebbe scelto fra i collaboratori retribuiti del Museo nazionale delle arti del XXI secolo l’avvocato Marco Carnabuci, che da qualche mese è suo marito. I due sono sposati civilmente. L’anno successivo Carnabuci ha ottenuto un nuovo incarico: consulente specialistico per la predisposizione del MOG (modello organizzazione di gestione) a 14mila euro trimestrali. Difficile che Giuli, dato lo stretto rapporto con Spano, non fosse a conoscenza del legame tra i due.

Oltre a questo, ci sarebbe il caso dei finanziamenti concessi da capo dell’Unar, Ufficio governativo discriminazioni razziali, a un’associazione Lgbt, nella quale si è appreso poi che fossero disponibili prestazioni sessuali a pagamento. Spano è stato assolto da tutte le accuse.

Tuttavia, le dimissioni di Francesco Spano non sarebbero dovute alle inchieste giornalistiche, bensì, più semplicemente, dalle reazioni dei “suoi” e dal pressing esercitato da Palazzo Chigi. La sua nomina ha infatti provocato forti tensioni all’interno di Fratelli d’Italia. E’ stato il Fatto Quotidiano a rivelare il contenuto delle chat del gruppo “Fratelli d’Italia Roma”, che riunisce 200 esponenti di partito, tra cui consiglieri comunali ed onorevoli. Il coordinatore del IX Municipio Fabrizio Busnengo scrive: «Buongiorno, voglio segnalare il grosso malumore nel nostro partito per la nomina del pederasta Spano da parte del ministro Giuli». Poco dopo: «Spano ha posizioni ignobili sui temi Lgbtq». Quasi istantanea la risposta del coordinatore romano di Fratelli d’Italia, Marco Perissa, vicino a giorgia ed Arianna Meloni: «Ve lo dico chiaro e tondo non sono disponibile ad accettare che questa chat venga utilizzata per dare sfogo agli umori di chicchessia arrivando a tacciare di pedofilia il primo bersaglio che si decide di avere». Busengo viene rimosso dalla chat e si dimette da coordinatore. Le tensioni non si sopiscono, anzi, a destra i malumori continuano e diversi editorialisti della stampa amica si schierano a loro volta contro la nomina: Francesco Borgonovo, Nicola Porro, Mario Giordano. Il timore è che possa generare malumori tra l’elettorato più radicale.

Francesco Spano non accetta questo clima e rassegna le dimissioni dopo appena 10 giorni dalla nomina: «Il contesto venutosi a creare, non privo di sgradevoli attacchi personali, non mi consente più di mantenere quella serenità di pensiero che è necessaria per svolgere questo ruolo così importante» scrive nella lettera al ministro. «Nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, pertanto, ritengo doveroso da parte mia fare un passo indietro. Ciò non mi impedisce, evidentemente, di esprimerle la mia profonda gratitudine per la stima ed il sostegno che mi ha mostrato senza esitazione».

Giuli non può che prenderne atto: «Con grande rammarico, dopo averle più volte respinte, ricevo e accolgo le dimissioni del Capo di Gabinetto, Francesco Spano. A lui va la mia convinta solidarietà per il barbarico clima di mostrificazione cui è sottoposto in queste ore. Non da ultimo, ribadisco a Francesco Spano la mia completa stima e la mia gratitudine per la specchiata professionalità tecnica e per la qualità umana dimostrate in diversi contesti, ivi compreso il ministero della Cultura».

 

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