Politica
Carlo Fuortes ha rassegnato le dimissioni da ad Rai: «non ci sono più le condizioni»

L’amministratore delegato Rai Carlo Fuortes ha rassegnato le proprie dimissioni. Non proprio un fulmine a ciel sereno, ma una notizia che aleggiava nell’aria, anche in virtù del commissariamento di Inps e Inail operato dal governo. Le indiscrezioni di stampa vorrebbero un incarico già pronto per Fuortes alla Soprintendenza del Carlo III di Napoli, ma intoppi burocratici rendono ardua questa strada.
«Non ci sono più le condizioni per proseguire nel progetto editoriale di rinnovamento che avevamo intrapreso nel 2021. Non posso, pur di arrivare all’approvazione in CdA dei nuovi piani di produzione, accettare il compromesso di condividere cambiamenti – sebbene ovviamente legittimi – di linea editoriale e una programmazione che non considero nell’interesse della Rai». Risiede qui la motivazione per la quale l’ad di Rai Carlo Fuortes ha rassegnato le proprie dimissioni al ministro dell’Economia Giorgetti.
La notizia non sorprende, specie alla luce dei commissariamenti su Insp e Inail voluti dal governo. Già all’indomani di questa notizia, media e quotidiano hanno cominciato a scommettere sulle sorti di Fuortes in viale Mazzini. Ed erano già pronte anche le ipotesi relative al suo prossimo incarico, alla guida della Soprintendenza del Carlo III di Napoli.
Il CdM di giovedì scorso sembrava aver spianato questa strada, con l’introduzione di una norma considerata ad hoc, che faceva di fatto decadere l’attuale direttore a causa del limite d’età introdotto, 70 anni. Ma questa ipotesi adesso non sembrerebbe così scontata a causa di alcune lungaggini burocratiche che impedirebbero nei fatti a Fuortes di prendere questo incarico.
L’ex ad Rai Carlo Fuortes nella nota stampa diffusa per motivare le sue dimissioni, motiva la sua scelta come “editoriale” e ne approfitta per togliersi qualche sassolino dalle scarpe: «Da decenni lavoro nell’amministrazione pubblica e ho sempre agito nell’interesse delle istituzioni che ho guidato, privilegiando il beneficio generale della collettività rispetto a convenienze di parte. Nel primo anno di lavoro del nuovo Consiglio di Amministrazione con il governo Draghi il Cda ha raggiunto grandi risultati per l’Azienda. Per citarne solo alcuni: nuovi programmi e palinsesti che hanno portato tra l’altro a un evidente rilancio di Rai2, la trasformazione organizzativa per Generi, un Piano immobiliare strategico che si attendeva da decenni, un rilevante potenziamento di RaiPlay e dell’offerta digitale.
Dall’inizio del 2023 sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai e il Servizio pubblico. Allo stesso tempo ho registrato all’interno del Consiglio di amministrazione della Rai il venir meno dell’atteggiamento costruttivo che lo aveva caratterizzato, indispensabile alla gestione della prima azienda culturale italiana. Ciò minaccia di fatto di paralizzarla, non mettendola in grado di rispondere agli obblighi e alle scadenze della programmazione aziendale con il rischio di rendere impossibile affrontare le grandi sfide del futuro della Rai.
Il Consiglio di Amministrazione deve deliberare, nelle prossime settimane, i programmi dei nuovi palinsesti ed è un dato di fatto che non ci sono più le condizioni per proseguire nel progetto editoriale di rinnovamento che avevamo intrapreso nel 2021. Non posso, pur di arrivare all’approvazione in CdA dei nuovi piani di produzione, accettare il compromesso di condividere cambiamenti – sebbene ovviamente legittimi – di linea editoriale e una programmazione che non considero nell’interesse della Rai.
Ho sempre ritenuto la libertà delle scelte e dell’operato di un amministratore un elemento imprescindibile dell’etica di un’azienda pubblica. Il mio futuro professionale – di cui si è molto discusso sui giornali in questi giorni, non sempre a proposito – è di nessuna importanza di fronte a queste ragioni e non può costituire oggetto di trattativa. Prendo dunque atto che non ci sono più le condizioni per proseguire il mio lavoro di amministratore delegato. Nell’interesse dell’Azienda, ho comunicato le mie dimissioni al Ministro dell’Economia e delle Finanze».
Politica
Salvini: «Il ponte sullo stretto di Messina collegherà Palermo e Berlino»

Ad un’intervista al quotidiano francese Le Figarò, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini non ha parlato solo del ponte sullo stretto di Messina e del collegamento Palermo-Berlino, ma anche di Tav Torino-Lione: «Rifiuto di immaginare che la Francia possa avere cambiato parere».
Chissà che ponte ha in mente Salvini. Per il ministro dei Trasporti l’opera tra Sicilia e Calabria non è più un progetto: è un’ossessione. Oramai è sempre più al centro dei suoi pensieri e sembra che alla realizzazione del collegamento fra Reggio Calabria e Messina abbia deciso di ancorare il suo messaggio, e forse il suo futuro, politico. Anche con la stampa estera, l’argomento resta quello, Ne ha parlato con lo spagnolo El Pais e ne ha parlato col francese Le Figarò. Al quotidiano d’oltralpe, Salvini regala la vera chicca sul ponte sullo stretto di Messina: «permetterà di collegare Palermo e Berlino». Salvini intendeva dire che l’opera darà, a suo dire, grande impulso ai collegamenti dell’Unione Europea, ma la sua frase è diventata in fretta oggetto di ironia sul web.
Ma sui temi infrastrutture e rapporti tra Italia e Francia, non particolarmente distesi nell’ultimo periodo, Salvini ha un altro punto che gli preme affrontare: la Tav Torino Lione. «la Francia deve fare la sua parte». E in merito all’eventualità che Parigi possa decidere di non accogliere l’appello entro il 2032, come raccomandato dal Consiglio di orientamento delle infrastrutture (organo unicamente consultivo di Parigi) nel febbraio scorso, Salvini risponde: «Rifiuto di immaginare che la Francia possa avere cambiato parere o unicamente deciso di rallentare i lavori per finanziare treni regionali in casa sua. Sarebbe una tale mancanza di rispetto riguardo all’Italia, ma anche riguardo alla Commissione europea, che ha approvato centinaia di milioni di euro per questo corridoio mediterraneo».
Politica
Visita di Mattarella in Emilia-Romagna, Musumeci: «governo non è stato invitato»

Mentre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella visita le zone colpite dall’alluvione che si è abbattuta sull’Emilia-Romagna, Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile, si lamenta del fatto che non è stato invitato nessun esponente del governo. La replica del Quirinale: «sempre gradita la presenza degli esponenti di governo, ma in occasioni del genere non si fanno inviti».
«Sono contento che anche il Presidente della Repubblica sia oggi sui luoghi alluvionati, come ha fatto tutto il governo e come ha fatto per due volte la presidente del Consiglio. Peccato che oggi non ci sia nessuno del governo a illustrare al Capo dello Stato le criticità, nessuno è stato invitato. Non fa niente, l’importante è arrivare ai risultati». Sono parole amare quelle con cui Nello Musumeci commenta la visita di Sergio Mattarella in Emilia-Romagna, a RaiNews24. Il ministro per la Protezione Civile, già Presidente di Regione Sicilia, non sa rispondere quando gli si chiede il motivo di questo mancato invito, ma si limita a rilevare che semplicemente non è stato recapitato.
Il Quirinale taglia corto: «Il presidente della Repubblica nelle visite nei territori italiani non impone la presenza di esponenti del governo. Essa, peraltro, è sempre gradita dal Presidente Mattarella. È così da sempre, dall’inizio del primo settennato – spiega il consigliere per la stampa Giovanni Grasso – Il Quirinale in occasioni del genere non ha mai fatto inviti. Ma se qualcuno vuol venire è benvenuto».
Nel frattempo il presidente delle Repubblica Sergio Mattarella è stato ben accolto dalla popolazione in tutte le tappe della sua visita nei luoghi alluvionati di Emilia-Romagna. E a loro Mattarella ha promesso: «Tutta l’Italia vi è vicino e non sarete soli in quest’opera importante, che deve essere veloce: questo territorio è un elemento importantissimo, fondamentale per la vita dell’Italia, lo è per la sua economia, lo è per la sua storia».
Politica
L’effetto Schlein alle Amministrative: ha vinto la destra

Se al primo turno le lezioni amministrative sono state tutto sommato equilibrate, con una vittoria di misura del centrodestra, i ballottaggi sono stati una Caporetto per quel che resta del campo largo: 10 comuni al centrodestra, 3 al centrosinistra, che perde anche lo storico fortino di Ancona. Solo a Vicenza il Pd è andato bene, ma qui il neo sindaco Possamai aveva chiesto esplicitamente ai big del partito di non palesarsi. Ed ha vinto. Coincidenze?
La riscossa rossa non si è vista. L’effetto Schlein, l’ondata di entusiasmo suscitata dalla vittoria della neosegretaria alle primarie, non si è tramutato in una spinta propulsiva alle Elezioni Amministrative, in particolare ai ballottaggi: 10 a 3 è un risultato che si commenta da solo. I calcoli, le supposizioni e le analisi fatte al precedente turno, quello di domenica e lunedì 14 e 15 maggio nel quale il divario emerso era meno netto (Latina, Sondrio, Treviso, Imperia al centrodestra, Teramo e Brescia al Centrosinistra), vengono meno. Il centrosinistra, il Pd in particolare, è stato sconfitto un po’ ovunque. Perfino ad Ancona, storica roccaforte rossa. Le elezioni nella città dorica sono state tirate e lo scarto piuttosto risicato, ma il risultato non prevede appelli: è Silvetti il nuovo sindaco. Emblematico il caso di Vicenza, dove il nuovo primo cittadino è espressione del centrosinistra: durante la campagna elettorale aveva chiesto ai big di partito di non organizzare comizi.

Al centrodestra vanno anche Massa, Pisa, Siena e Brindisi. Il Pd e il M5S in alcuni casi hanno riproposto il campo largo di lettiana memoria, in altre hanno corso separati: in entrambi i casi il risultato non è stato loro favorevole e sono stati penalizzati più dei competitor dalla scarsissima affluenza. Salvo alcuni casi eccezionali e legati a divisioni locali, il centrodestra si è presentato compatto e si è imposto con decisione alle urne.
Sulla mancata sferzata inferta dalla nuova segretaria il primo ad ironizzare è stato il ministro dei Trasporti Matteo Salvini: ««Non c’è che dire: un ottimo effetto Schlein». Cala i panni del bulletto da tastiera anche la ministra per la Famiglia Roccella: «anche l’armocromia, come tante altre cose in politica, c’è chi la predica e chi la fa: tutta l’Italia al ballottaggio ha scelto un colore solo, il nostro».
I retroscena di stampa vedono Elly Schlein preoccupata e assediata da malumori interni. Non che la sua elezione a segretaria avesse appianato le divergenze che animano le diverse anime del Partito Democratico. E chissà che le immagini che mostrano Stefano Bonaccini e Giorgia Meloni dialogare costruttivamente sui luoghi dell’alluvione non abbiano giocato un ruolo, oppure fatto sorgere qualche rimpianto agli elettori del Pd, sia tra i sostenitori di una mozione, che tra quelli dell’altra.
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