Mondo
Colpo di Stato in Niger, nel Paese 170 connazionali, Tajani: «sono al sicuro»
Colpo di Stato in Niger, dove la guardia presidenziale ha “trattenuto” il capo di Stato Mohammed Bazoum, incassando l’appoggio dell’esercito, che in un primo momento ne aveva intimato il rilascio. Il ministro degli Esteri Tajani: «seguiamo con preoccupazione gli eventi». Nel Paese 170 italiani.
I colloqui non sono andati a buon fine e la guardia presidenziale ha “trattenuto” il capo di Stato del Niger all’interno del palazzo. I pretoriani avrebbero deciso di spodestare il presidente Mohamed Bazoum, a causa della sua decisione di destituire il comandante della Guardia Presidenziale, il generale Omar Tchiani, e più in generale della sua politica non particolarmente filo-militarista. La situazione è molto confusa. In un primo momento l’esercito ne avrebbe richiesto il messaggio, salvo poi assicurare appoggio al gruppo del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (CLSP). Secondo il ministro degli Esteri però, non tutto l’esercito starebbe appoggiando il colpo di Stato.
Fonti militari assicurano che il presidente e la sua famiglia al momento stanno bene, ma non si hanno notizie certe. Dovrebbe essere stato arrestato e trovarsi nelle mani dei reparti speciali che all’alba di mercoledì hanno circondato il palazzo presidenziale ed hanno comunicato alla nazione che Bazoum era stato destituito.
Il colonnello Amadou Abdramane, si è fatto portavoce del gruppo ed ha affermato: «Noi, le forze di difesa e di sicurezza… abbiamo deciso di porre fine al regime che conoscete». Ha poi spiegato che la deposizione di Bazouma si è resa necessaria a fronte del «continuo degrado della situazione della sicurezza e della cattiva gestione economica e sociale» ed ha invitato la comunità internazionale a non interferire. La costituzione è stata sciolta, i confini sono chiusi, le istituzioni sono sospese ed è stato istituito un coprifuoco dalle 22 alle 5.
Forte la preoccupazione internazionale. Bazoum viene considerato un partner strategico per l’Occidente e un alleato nella lotta contro la militanza islamista in Africa occidentale. Non è la prima volta che avviene un tentativo di colpo di Stato in Niger da quando è stato eletto: il primo tentativo è arrivato un mese dopo le elezioni, nel 2021, ma in quell’occasione non andò a buon fine. Adesso le cose sarebbero differenti e gli insorti avrebbero ottenuto l’appoggio dell’esercito.
Oltre all’Unione Europea ed agli Stati Uniti, il colpo di Stato ha ricevuto condanne da parte dell’Unione africana e dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), che riunisce 14 paesi dell’area.
In Niger sono presenti 170 italiani. Il ministro degli Esteri Tajani ha affermato: «Il Niger è un paese strategico per la stabilità dell’area del Sahel, seguiamo con la presidente del Consiglio minuto per minuto l’evolversi della situazione» Ed a proposito dei connazionali presenti, il ministro ha spiegato che «sono stati tutti contattati dall’Unità di crisi della Farnesina, e tutti sono stati invitati a rimanere nelle loro abitazioni» e che al momento «sono al sicuro».
Il Niger conta circa 25 milioni di abitanti in un’area, la regione subsahariana del Sahel, storicamente povera ed instabile, fin dai tempi della decolonizzazione. Dal settembre 2020 sono stati sette i colpi di Stato che si sono susseguiti in diversi Paesi della macro-regione, dove proliferano gruppi jihadisti, affiliati anche con Al Qaeda e con lo Stato Islamico.
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Sindaco messicano decapitato una settimana dopo la sua elezione
Alejandro Arcos Catalan è stato eletto sindaco di Chilpancingo, in Messico, la settimana scorsa. Ieri la polizia ha ritrovato la sua testa mozzata sopra un pickup.
Una truce storia proveniente dal Messico riaccende i riflettori sullo strapotere dei cartelli della droga nel Paese del Centro America, dove Alejandro Arcos Catalan, sindaco della città di Chilpancingo, è stato ucciso e decapitato. Le immagini del brutale omicidio sono state diffuse sui social e sono agghiaccianti. Mostrano la testa mozzata della vittima appoggiata sopra un pickup.
Alejandro Arcos Catalan ha centrato l’elezione la settimana scorsa nella città dello Stato messicano meridionale di Guerrero, una delle aree più colpite dalla violenza dei cartelli della droga data la sua posizione lungo la costa del Pacifico.
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Ancora un’esplosione nel centro di Colonia: un ferito
A Colonia si è verificata una nuova esplosione, a poche centinaia di metri dalla discoteca dove lunedì scorso è scoppiata una bomba.
Dopo che lo scorso lunedì 16 settembre un ordigno è deflagrato all’entrata di un ristorante discoteca, provocando un ferito, questa mattina, mercoledì 18 settembre, una nuova nuova esplosione è riecheggiata nel centro di Colonia. Anche questa volta si tratterebbe di una bomba ed anche in questo caso una persona è rimasta ferita, un passante di 40 anni. Le sue condizioni fortunatamente non sarebbero serie ed è stato ascoltato dagli inquirenti in qualità di testimone.
L’esplosione di questa mattina a Colonia è avvenuta nella Ehrenstrasse. Il vanity Club, la discoteca dove è stato piazzato un ordigno lunedì scorso, dista solo poche centinaia di metri. Che tra i due casi possa esserci un collegamento appare più di un sospetto, anche se al momento non è chiara la matrice dei due attentati.
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Venezuela, Maduro al contrattacco: mandato d’arresto per Gonzalez
La faida tra l’erede di Chavez ed il suo sfidante si fa più sempre più aspra. Maduro accusa di cospirazione e terrorismo Gonzalez, che aveva a sua volta denunciato brogli elettorali e che si trova in semi-clandestinità dal 30 luglio.
Poco più di un mese dopo le elezioni presidenziali, il Venezuela scivola sempre più nel caos dopo che nella notte è stato spiccato, e ratificato a tempo di record, un mandato d’arresto per lo sfidante di Nicolas Maduro, Edmundo Gonzalez Urrutia. Le accuse sono di «usurpazione di ufficio, diffusione di false informazioni, incitamento a disobbedire alla legge, incitamento all’insurrezione e associazione a delinquere».
All’indomani del voto Gonzalez ha denunciato brogli elettorali, ha contestato la proclamazione di Maduro con il 52% dei voti da parte del Consiglio elettorale nazionale ed ha mostrato dati sugli scrutini che lo davano in netto vantaggio. Poco più di un mese dopo, è arrivata la risposta decisa del governo, anche se la richiesta d’arresto reca la firma della Procura ed è stata approvata dal Tribunale di Prima Istanza con Funzioni di Controllo.
E’ lo stesso presidente a mettere il cappello sull’iniziativa: «Crede di essere al di sopra della legge questo signor codardo, ha la pretesa di dire che non riconosce la legge, che non riconosce nulla. Questo è inammissibile, non accade in nessun’altra parte de mondo», ha detto nel corso del suo programma settimanale “Con Maduro+” sulla tv di Stato.
L’ex ambasciatore Gonzalez, che dopo il mandato d’arresto si trova in condizione di semi-clandestinità, non appare in pubblico dal 30 luglio. Dal giorno delle elezioni in tutto il Paese si sono verificati scontri e disordini e si stimano che siano oltre 2.400 le persone arrestate o detenute. L’Onu ha speso parole pesanti, parlando di «clima di terrore» in Venezuela, mentre i Paesi dell’Unione Europea e molti stati latino americani non riconosceranno il risultato elettorale, fino a che il governo venezuelano non mostrerà prove inconfutabili. Gli Stati Uniti invece hanno già riconosciuto Gonzalez come vero vincitore.
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