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«Do consigli a Giorgia Meloni per la campagna elettorale»: è Morgan lo spin doctor di FdI?

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Morgan dà consigli a Giorgia Meloni

In un’intervista a Il Giornale il cantautore Morgan rivela di avere un dialogo con Giorgia Meloni, alla quale avrebbe dato consigli sulla campagna elettorale, ma anche sulla linea politica. Ma giusto qualche consiglio, non un impegno diretto: «Pier Paolo Pasolini o Carmelo Bene si sono mai candidati?».

Da oggi non vedrete più Fratelli d’Italia con gli stessi occhi. Il partito di Giorgia Meloni, Guido Crosetto e Ignazio La Russa, adesso, è anche quello di Morgan, ex cantante dei Bluvertigo, presentatore e showman. «Che succede?» verrebbe da chiedersi citando una delle sue performance più memorabili. Succede che a quanto pare, alla campagna elettorale del partito starebbe lavorando anche lui. O almeno, così ha affermato lo stesso Morgan in un’intervista a Il Giornale, in cui ha rivelato di aver dato consigli a Giorgia Meloni, non soltanto sulla campagna elettorale, ma anche sulla linea politica di FdI.

Il discorso verteva sulla musica e sul percorso artistico del funambolico cantautore, ma al termine del botta e risposta, la bomba: «Sto consigliando Giorgia Meloni per il programma elettorale. Ho detto la mia sull’uso dei vocaboli, sulle parole che poi sono parte del mio mestiere. Anche sulla linea politica, qualcosina eh, ma non ne voglio parlare». Il la gli era stato da una domanda relativa al progetto di Vittorio Sgarbi, che lo ha inserito in una lista di possibili candidati alle elezioni politiche. All’inizio Morgan ha scherzato: «La mia prossima candidatura sarà a Presidente del Consiglio». Poi, pungolato, ha raccontato del suo dialogo con la leader di Fratelli d’Italia.

Giusto qualche consiglio dunque, senza una partecipazione diretta. Vuole rimanere artista e non fare il politico Morgan, che con la modestia che lo contraddistingue si accosta a due colleghi illustri: «Pier Paolo Pasolini o Carmelo Bene si sono mai candidati?».

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«Lo spot è blasfemo»: i telespettatori cattolici vogliono fermare la pubblicità delle patatine

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Un associazione di telespettatori cattolici chiede il blocco per uno spot che mostra alcune suore prendere le patatine al posto dell’ostia durante la messa, che considerano blasfemo.

Alcune suore prendono la comunione, ma al posto dell’ostia ci sono le patatine. Il volto delle religiose è pervaso di sublime estasi, ma sembra più una passione carnale che una divina infatuazione. Ci sono insomma tutti gli elementi giusti per scatenare una polemica. E chi ha commissionato lo spot delle patatine che ora l’Aiart, associazione di telespettatori cattolici, vuole boicottare perché «blasfemo», “non poteva non saperlo”: non è la prima volta che Amica Chips finisce nel vortice delle polemiche per i suoi spot. E non è la prima volta, di conseguenza, che Amica Chips ottiene doppia pubblicità con una sola compagnia promozionale. Bravo l’ufficio marketing.

Lo spot accusato di essere blasfemo è semplice, ma efficace: ci sono un sacerdote e delle suore i chiesa, durante la messa. Una religiosa si rende conto che il tabernacolo è vuoto e lo riempie repentinamente di patatine. Quando la prima novizia, estasiata, viene imboccata, tra le navate riecheggia la croccantezza dell’insolita ostia.

Subito dopo la messa in onda dello spot delle patatine, l’associazione dei telespettatori cattolici ne ha chiesto la sospensione, perché «offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti».

Non è la prima volta che Amica Chips deve correggere il tiro, dopo una comunicazione particolarmente creativa. Qualche anno fa, dovette mandare in onda una versione più addolcita di uno spot che aveva per protagonista Rocco Siffredi, il quale, tra doppi sensi ed allusioni, raccontava le sue patatine preferite.

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Arresti domiciliari per Salvatore Baiardo: «ha mentito sulla foto di Berlusconi con i Graviano»

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La Cassazione ha confermato il verdetto del riesame e Salvatore Baiardo è stato condannato agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi del 1993.

La foto che ritrae Silvio Berlusconi a cena con il generale dei carabinieri Francesco Delfino ed i fratelli Graviano forse «non esiste», come ha sostenuto ai giudici Salvatore Baiardo, ma di sicuro è stata mostrata a Massimo Giletti. Magari era un fotomontaggio, magari il giornalista non ha visto bene le persone ritratte in quello scatto, ma gli è stata mostrata. E sarebbe stato proprio questa a comportare la chiusura del programma che conduceva su La7. Lo ha stabilito la Cassazione oggi, confermando il verdetto del tribunale del riesame relativo all’inchiesta sulle stragi del 1993 che manda Salvatore Baiardo agli arresti domiciliari.

«Sicuramente è stata fatta vedere – ha stabilito il tribunale a proposito della foto incriminata – potrebbe essere un fotomontaggio o addirittura essere stata male osservata dal giornalista, per problemi di luce (l’ambiente in cui venne mostrata non era ben illuminato), od essersi egli sbagliato in ragione del breve tempo in cui gli venne mostrata, magari ingannato da tratti somatici simili a quelli delle persone che ha dichiarato di avere riconosciuto».

Sarebbe proprio la vicenda della foto a far decidere all’editore di La7 di chiudere il programma Non è L’Arena. Urbano Cairo è stato ascoltato dai pm. La sua audizione è coperta dal segreto, ma in passato ha spiegato di aver deciso di sospendere la trasmissione per motivi di audience.

I giudici non sono così convinti: «Non sono emersi ragionevoli altri motivi per la chiusura della trasmissione, né le indagini hanno fatto emergere una audience bassa in relazione ai programmi similari ed alla fascia oraria di messa in onda. Si segnala anzi la repentinità della decisione, maturata proprio quando veniva sviluppata l’inchiesta sui contatti Graviano-Berlusconi dei primi anni Novanta». «Tuttavia la decisione – spiega il provvedimento – certamente allarmante sul piano della libertà d’informazione e della tutela del giornalismo d’inchiesta, non avvalora di per sé la fondatezza di una vicenda tremenda per la storia della Repubblica Italiana, quanto il timore di mandare avanti un’inchiesta scomoda. Certamente resta la figura di un soggetto, il Baiardo, che allude, dice e non dice, afferma e poi nega, gioca con le parole, un soggetto che ha dimostrato di sapere molte cose e che nel contempo non è attendibile».

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Dopo le polemiche Adidas ritira dal commercio la maglia 44 della Germania: troppo simile al simbolo delle SS

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L’azienda nega di aver creato il parallelismo in maniera intenzionale e per placare le critiche ha fermato la personalizzazione della casacca tedesca con il 44.

Di solito quando una divisa viene ritirata è una cosa buona: ad esempio quella col numero 3 di Paolo Maldini e quella col numero 6 di Franco Baresi sono state ritirate dal Milan per meriti sportivi. La scelta di ritirare la maglia 44 della Germania invece, è stata presa da Adidas per motivi del tutto differenti.

Agli Europei di questa estate infatti, la nazionale tedesca indosserà per l’ultima volta divise da gioco disegnate da Adidas: dopo 70 anni si interrompe la collaborazione tra l’azienda e la nazionale di calcio tedesca. Ma le ultime casacche Adidas della Germania sono già entrate nella storia, per via delle polemiche che hanno sollevato: il numero 44 impresso sulla maglia è troppo simile al simbolo delle SS.

Per questo motivo l’azienda, pur precisando che non fosse intenzionale e che il disegno aveva ottenuto il via libera da Uefa, ha deciso di ritirare dal commercio la maglia incriminata e di bloccare la possibilità di personalizzare la divisa con il 44.

Il font scelto infatti presenta alcune somiglianze con il simbolo delle Schutzstaffel, il famigerato corpo paramilitare con compiti di polizia durante il nazismo. Per evitare che potesse diventare un oggetto di culto da parte di neonazisti e nostalgici, e per mettere a tacere le polemiche, Adidas ha ritirato la divisa.

Un portavoce dell’Adidas, Oliver Brüggen, ha negato che la somiglianza del kit con i simboli nazisti fosse intenzionale. «Noi come azienda ci impegniamo a opporci alla xenofobia, all’antisemitismo, alla violenza e all’odio in ogni forma – ha affermato – Bloccheremo la personalizzazione delle maglie».

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