Politica
Fumata nera, vince la scheda bianca: nulla di fatto alla prima votazione
La prima votazione per il presidente della Repubblica si è conclusa con un annunciato nulla di fatto e per il momento i partiti continuano a dialogare, cercando un’intesa che però sembra lontana. Nella partita che si sta giocando non c’è in ballo solo il Quirinale, ma anche una bella fetta di palazzo Chigi. Dallo scrutinio di ieri sono emerse 672 schede bianche, i due terzi dei seggi, i voti sufficienti ad esprimere un Presidente.
Paolo Maddalena, magistrato, è quello che ha ricevuto più voti nella prima votazione per il Presidente della Repubblica, poco meno di 40. Tra gli altri “voti politici” Cartabria, Draghi, Casellati e Berlusconi. Nella tradizionale rosa dei nomi che non ti aspetti, Alberto Angela, Alfonso Signorini, Claudio Lotito, ma anche Amadeus e Cappato. Oggi alle 15 la seconda chiama, ma la sensazione è che il risultato non cambierà di molto.
I partiti sono ancora in cerca della quadra. Ieri hanno parlato, mandando messaggi a Draghi: fa la tua mossa, rivela le tue ambizioni o noi passiamo oltre. Letta tra i più dinamici ha prima confermato l’intesa sul voto bianco con Leu e 5 Stelle, poi ha visto Salvini in quello che ha definito «incontro positivo». Lega e Partito Democratico hanno perfino diramato un comunicato congiunto, nel quale si legge che il dialogo è avviato.
Nel frattempo il premier ha fatto la sua mossa ed ha mandato messaggi ai partiti: «ditemi cosa volete che faccia» avrebbe detto in estrema sintesi durante un confronto con Salvini, non confermato da Palazzo Chigi, e poi nei dialoghi con Letta e Conte. Le “consultazioni di Draghi” continueranno anche nei prossimi giorni. Vuole capire il perimetro entro cui muoversi. Intanto fa sapere che non è suo interesse «rimanere ad ogni costo» al governo, ma solo se avrà la possibilità di «lavorare per raggiungere obiettivi prefissati».
In sostanza Draghi si mette a disposizione, ma non accetta veti e imposizioni: se salirà al Colle, non sarà per dare l’incarico a governicchi sbilenchi e se rimane premier vuole un’azione di governo più decisa e meno trattative infinite.
Draghi Presidente potrebbe essere una soluzione accettata e condiviso dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle, nonostante qualche resistenza. Meno agevole la manovra a destra, anche se Salvini ha fatto aperture. Tuttavia il centrodestra sosterrebbe davvero Mario Draghi come Presidente della Repubblica solo dietro la promessa nell’esecutivo che verrà, i suoi leader rivestiranno ruoli chiave. Una promessa che, almeno al momento, Draghi non può fare. È per questo che Salvini accarezza l’idea dello strappo, pronto a giocarsi la carta Franco Frattini e con una rosa di nomi pronti a bruciarsi prima: Pera, Moratti, Tajani, Nordio. L’ultimo è stato proposto da Giorgia Meloni.
E mentre le quotazioni di Draghi salgono e scendono ogni ora che passa, restano fisse quelle di Pierferdinando Casini, sebbene non convinca ancora il centrodestra. I bene informati parlando anche di una proposta indecente recapitata da Gianni Letta al papabile Casini: aiuta Draghi a salire al Colle e spianati la strada per Palazzo Chigi. Un’offerta che sarebbe stata cortesemente declinata.
Ci sono due giorni per trovare l’intesa, poi a partire dalla quarta votazione scenderà il quorum e sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei voti per eleggere il Presidente della Repubblica. Se per allora i partiti non avranno raggiunto l’accordo, comincerà la vera bagarre. In palio non c’è solo il prossimo inquilino del Quirinale, ma anche l’esecutivo che guiderà il Paese all’indomani della fumata bianca. Qualunque essa sia.
Politica
Giovanni Toti patteggia: 2 anni sostituiti da lavori socialmente utili
L’ex presidente di Regione Liguria Giovanni Toti ha trovato l’accordo con la procura per patteggiare la condanna, due anni e un mese, e sostituirla con lavori socialmente utili per 1.500 ore.
«Amarezza e sollievo». Commenta così l’ex governatore ligure, seguito all’accordo trovato con la Procura: Toti, accusato di corruzione, patteggia una condanna a due anni e un mese, sostituita con lavori socialmente utili per 1.500 ore. Per tutta la durata della pena l’ex presidente della Giunta Regionale è interdetto dai pubblici uffici e non potrà contrattare con le pubbliche amministrazioni. Ha anche subito una confisca da oltre 84 mila euro.
«Come tutte le transazioni suscitano sentimenti opposti: da un lato l’amarezza di non perseguire fino in fondo le nostre ragioni di innocenza, dall’altro il sollievo di vederne riconoscere una buona parte», ha commentato Toti.
La procura, secondo l’avvocato Stefano Savi, ha riconosciuto che l’ex governatore «non ha mai usufruito personalmente delle somme raccolte dal suo comitato politico, utilizzate solo per le attività politiche. Si riconosce anche che gli atti prodotti dalla pubblica amministrazione fossero totalmente legittimi, così come i versamenti sotto forma di contributi all’attività politica. Cadono quindi le accuse di corruzione e le altre ipotesi di reato con l’esclusione della cosiddetta “corruzione impropria” – che rimane – ovvero per atti legittimi degli uffici». E conclude: «Al termine di oltre tre anni di indagini, continue intercettazioni, pedinamenti, filmati e quasi tre mesi di detenzione domiciliare, l’accordo prevede una sanzione di circa 1.500 ore di lavori di pubblica utilità e la restituzione da parte del Comitato Toti delle somme direttamente contestate».
Politica
Sangiuliano rassegna le dimissioni: «grazie alla premier per avermi difeso»
Anche la premier si è convinta ad accettare le dimissioni del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, dopo l’intervista rilasciata da Maria Rosaria Boccia a La Stampa e quella che andrà in onda stasera su La7.
Alla fine l’affaire Boccia è scappato di mano ed anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è rassegnata. Gennaro Sangiuliano ha rassegnato le sue dimissioni irrevocabili. «Grazie per avermi difeso con decisione e per l’affetto, ma il lavoro non può esser macchiato da gossip» ha scritto nella lettere indirizzata alla premier.
E dopo le storie di Instagram, le smentite del governo, le contro smentite via Instagram, le interviste con voce rotta al Tg1, altre storie Instagram, foto e video captate di nascosto, documenti riservati pubblicati, dimissioni consegnate e respinte, a far propendere per il passo indietro sarebbero state le nuove interviste, una pubblicata da La Stampa oggi ed una che sarà trasmessa da In Onda sul La7 questa sera ed un interessamento alla vicenda da parte della Corte dei Conti.
I nuovi elementi, dopo le «relazioni personali», i documenti riservati e i dubbi legati ai rimborsi spesa, sono le presunte «persone che a mio avviso hanno ricattato il ministro». Il riferimento è tanto misterioso quanto esplosivo. Il Ministero ha già fatto sapere che sta valutando se agire per vie legali. Dell’interessamento della Corte dei Conti è Sangiuliano stesso a darne notizia: «Sono lieto di apprendere che la Corte dei Conti stia valutando la possibilità di aprire un fascicolo sulla vicenda che mi riguarda», così «avrò la possibilità di dimostrare che non sono stati spesi fondi pubblici né un euro del Ministero è stato utilizzato per viaggi e trasferimenti della signora Maria Rosaria Boccia».
Politica
Maria Rosaria Boccia smentisce Sangiuliano (e Meloni): «non ho mai pagato, dicevano che rimborsava il Ministero»
Il ministro della Cultura in una lettera a La Stampa sostiene che l’incarico a Maria Rosaria Boccia, a titolo gratuito, non è stato formalizzato, che l’influencer non è stata pagata, che non è stato speso denaro pubblico per i suoi spostamenti e che non ha avuto accesso ad atti ministeriali. Versione ribadita dalla presidente del Consiglio. Ma Boccia, sul proprio profilo Instagram, sconfessa Sangiuliano e Meloni, ribadisce di aver preso parte alle riunioni, di essere in possesso di documenti e di non aver mai pagato un euro per i suoi soggiorni.
Giorno dopo giorno, la vicenda della consulente misteriosa del Ministero della Cultura guadagna sempre maggior spazio nelle pagine politiche, mette sulla graticola il reggente del dicastero e suscita l’irritazione della premier. E la femme fatale Maria Rosaria Boccia, improvvisamente al centro del dibattito, ora che appare definitivamente sfumata la sua carriera ministeriale, parla a ruota libera e sconfessa la versione fornita da Gennaro Sangiuliano e ribadita da Giorgia Meloni. Praticamente in diretta televisiva.
Ieri prima è arrivata, finalmente, la risposta del diretto interessato. Il ministro ha inviato una lettera a La Stampa nella quale ha sostenuto la sua versione: avrebbe conosciuto la dottoressa Boccia a maggio, in occasione della campagne per le Europee, «riscontrandone un’identità di vedute» ed avrebbe «maturato l’intendimento di conferire alla dottoressa Boccia l’incarico, a titolo gratuito, di consigliere del ministro per i grandi eventi». Successivamente però, anche su consiglio del Gabinetto, ha deciso «di non dare corso alla nomina e l’ho comunicato formalmente». Ma, sottolinea il ministro, durante questo periodo di collaborazione, «la dottoressa Boccia non ha mai preso parte a procedimenti amministrativi» e soprattutto «mai un euro del ministero, neanche per un caffè, è stato impiegato per viaggi e soggiorni della dottoressa Boccia».
Versione ribadita qualche ora più tardi da Giorgia Meloni, ospite di Paolo Del Debbio a “4 di Sera” su Rete4: «mi garantisce [Sangiuliano, ndr] che questa persona [Boccia, ndr] non ha avuto accesso a nessun documento riservato, particolarmente per quello che riguarda il G7 e soprattutto mi garantisce che neanche un euro degli italiani e dei soldi pubblici è stato speso per questa persona».
Ma quasi in contemporanea, arriva la risposta di Maria Rosaria Boccia, tramite l’attivissimo profilo Instagram, che smentisce di fatto Sangiuliano e Meloni. Prima pubblica due documenti relativi al G7 Cultura. I documenti sono in gran parte oscurati, ma è possibile leggere l’intestazione, relative alla parte “Culture: global public good, global responsibility” e quella relativa alle “sessioni di lavoro”, che sono 4 e che durano un’ora ciascuna. Ma Boccia non si contiene più e in rapida successione pubblica una serie di stories nelle quali rafforza la sua versione: «Io non ho mai pagato nulla. Mi è sempre stato detto che il ministero rimborsava le spese dei consiglieri tant’è che tutti i viaggi sono sempre stati organizzati dal Capo segreteria del ministro» afferma nella prima. In merito alla sua presenza alle riunioni operative afferma: ««Quindi non abbiamo mai fatto riunioni operative? Non abbiamo mai fatto sopralluoghi? Non ci siamo mai scambiati informazioni?». E poi, in merito alla sua nomina, domanda ancora: «Siamo sicuri che la nomina non ci sia mai stata? A me la voce che chiedeva di strappare la nomina sembrava femminile. La riascoltiamo insieme?».
Sembrerebbe dunque che l’influencer alludesse al fatto di essere in possesso di audio che possano in qualche modo provare ciò che sostiene. E parrebbe quindi che ci attendono nuove puntate della soap opera di fine estate del Ministero della Cultura.
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