Cronaca
Ilaria Cucchi: «l’Arma tolga la divisa a Mandolini, colpevole salvato dalla prescrizione»

La senatrice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il ragazzo morto in seguito alle percosse ricevute dopo un arresto, chiede azioni disciplinari contro il maresciallo già comandante della stazione dei Carabinieri di Roma Appia, la cui condanna per falso è caduta in prescrizione.
«Chiedo che l’Arma gli tolga quella divisa. Sono passati 14 anni dall’uccisione di mio fratello. Prescritto». La senatrice Ilaria Cucchi interviene su La Stampa sulla prescrizione intervenuta nei confronti di due Carabinieri coinvolti nella morte del fratello Stefano: uno era Francesco Tedesco, il militare che ha fatto riaprire le indagini con le sue dichiarazioni, l’altro è Roberto Mandolini, maresciallo ex comandante della stazione Roma Appia. Proprio contro di questo si scaglia la senatrice, che chiede che venga destituito, nonostante la prescrizione.
«Tre Corti di Assise diverse hanno condannato il maresciallo Roberto Mandolini per i reati commessi al fine di proteggere e nascondere i responsabili di quel “violentissimo pestaggio” che portò a morte Stefano Cucchi -scrive su La Stampa Ilaria Cucchi – . Ventiquattro giudici diversi e in tempi diversi lo hanno condannato al di là di ogni ragionevole dubbio. Ad essi aggiungiamo quelli della Suprema Corte di Cassazione che ieri lo hanno ritenuto responsabile confermando la affermazione delle sue responsabilità ma dichiarando i reati commessi, oggetto di giudizio, prescritti. È passato troppo tempo dall’omicidio di mio fratello e quindi, per legge, i reati sono cancellati. Dichiarati sussistenti ma non più perseguibili».
Roberto Mandolini era stato condannato a tre anni e sei mesi di carcere per falso, nel processo bis per l’omicidio di Stefano Cucchi. Oltre a quello di Mandolini, è stato accolto anche il ricorso del carabiniere Francesco Tedesco che era stato condannato a due anni e quattro mesi. Entrambi erano stati processati e condannati in corte d’assise insieme ai militari Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, condannati in Cassazione ad aprile 2022, dove la Cassazione aveva rinviato gli atti in Appello per Mandolini e Tedesco, condannati a luglio 2023.
Cronaca
Giornalista trovata morta a Fasano, si indaga per isitigazione al suicidio

Patrizia Nettis è stata istigata a compiere l’estremo gesto? E’ quanto si chiedono gli inquirenti che indagano per istigazione al suicidio relativamente alla morte della giornalista trovata morta nella sua casa di Fasano nel giugno scorso.
A illuminare il filone di indagine per istigazione al suicidio sulla morte di Patrizia Nettis, la giornalista trovata morta nella sua casa il 29 giugno, alcuni messaggini trovati sui cellulari degli uomini che la donna ha incontrato la sera precedente al ritrovamento del suo corpo. Si tratta di due persone con le quali ha avuto relazioni sentimentali, in momenti diversi. Prima un noto politico locale, poi un imprenditore. Quest’ultimo particolarmente risentito dal fatto che la vittima fosse ancora legata sentimentalmente all’altro.
Proprio alcuni messaggi che si sono scambiati i due dopo l’incontro chiarificatore, ha fatto ipotizzare agli investigatori che Patrizia Nettis possa essere stata spinta a porre fine alla sua vita. L’imprenditore promette che si impegnerà per distruggere la reputazione di Patrizia, che viene definita «cosa» dal momento che «non merita di essere definita donna». «Farò di tutto per infangarla, so già come muovermi, stavolta avrà una punizione esemplare. Questa è pericolosa, io farò in modo di farle attorno terra bruciata, tanto per iniziare».
Dopo l’incontro a tre, Patrizia ha telefonato ad entrambi nel corso della stessa notte. Molte chiamate non avrebbero ricevuto risposta. Un testimone ha parlato anche della voce di un uomo proveniente dalla casa della giornalista quella notte: «basta con queste sceneggiate» avrebbe urlato. Il testimone ha raccontato anche di aver udito il rumore del portone sbattere. Poi, nulla più fino a quando un amico, preoccupato, si è fatto aprire la porta di casa dalla colf.
Al momento nessuno è stato iscritto al registro degli indagati per la morte della giornalista, sul cui corpo non è ancora stata effettuata l’autopsia.
Cronaca
I genitori di Filippo Turetta non hanno accettato l’incontro in carcere

Il pubblico ministero aveva dato il proprio benestare, ma il legale della famiglia ha spiegato che l’incontro in carcere slitterà e che servirà supporto psicologico sia al ragazzo che ai genitori.
Slitta l’incontro tra Filippo Turetta ed i suoi genitori nel carcere di Verona, dove si trova rinchiuso per l’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Il pm aveva dato il via libera alla richiesta avanzata dal ragazzo, ma i genitori di Filippo Turetta hanno deciso di rinviare l’incontro in carcere. Il legale del giovane ha reso noto che per l’incontro sarà necessario un supporto psicologico sia per il ragazzo che per i suoi genitori.
Ieri, all’interrogatorio di garanzia, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere, ma ha rilasciato alcune dichiarazioni spontanee con le quali ha sostanzialmente ribadito quello che aveva già confessato alle autorità tedesche. Avrebbe dunque ammesso l’omicidio e si sarebbe detto «affranto» per la tragedia: «non voglio sottrarmi alle mie responsabilità. Voglio pagare quello che sarà giusto per aver ucciso la mia ex fidanzata».
Al momento sembra improbabile che verrà richiesta una perizia psichiatrica nei suoi confronti, anche perché difficilmente verrebbe accettata in questa fase un’istanza della difesa per valutare se Turetta fosse capace o meno di intendere e volere al momento dei fatti. Non è escluso che possa però essere richiesta più avanti.
Cronaca
La lettera dal carcere del trapper Shiva al figlio appena nato: «ho imparato la lezione»

Il Tribunale del riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai legali del trapper arrestato lo scorso 26 ottobre per tentato omicidio, dopo una sparatoria.
«Non poterti ancora vedere è la peggior condanna e la peggiore lezione che potessi ricevere. Non mi perdonerò mai di questa assenza, ma sarà un motivo in più per rimediare con tutto l’amore che ho». Così conclude la lettera che il trapper Shiva, nome d’arte di Andrea Arrigoni, ha dedicato al figlio appena nato dal carcere di San Vittore dove si trova rinchiuso dal 26 ottobre per tentato omicidio.
La lettera è stata scritta nella «cella 12» del carcere di San Vittore e pubblicata dallo staff di Shiva sui suoi canali social. Una lettera scritta in stampatello, con qualche cancellatura e firmata semplicemente Andrea. «Oggi è il giorno più bello della mia vita, ma allo stesso tempo il più triste. È nato mio figlio, ma non mi è stato permesso essere presente al momento della sua nascita. Non pensavo mai di dover scrivere questa lettera, dovevi nascere due settimane fa e so che mi hai aspettato tutto questo tempo, fino all’ultimo ho sperato di esserci ma le cose non sono andate come previsto. Ho scoperto della tua nascita dei fuochi d’artificio che hanno fatto per te sapendo così che oggi, 25 novembre 2023, è diventato il giorno più importante della mia vita in mezzo a tutto questo caos e tu sei la mia benedizione».
Shiva si trova in carcere per aver sparato nel luglio scorso a due persone, due lottatori di Mma ritenuti membri della “crew rivale” capeggiata da Rondo da Sosa. Tra i due nei mesi precedenti si sono verificati diversi screzi, conditi da dissing (canzoni dai contenuti esplicitamente offensivi, ndr) scambio reciproco di insulti, ma anche aggressioni. Fino all’episodio del 12 luglio scorso, quando il trapper sparò due colpi di pistola, all’esterno della sua casa discografica.
Mentre era già rinchiuso nel carcere di San Vittore, Shiva è stato raggiunto da un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere, per una rissa avvenuta a San Benedetto del Tronto a settembre. In quell’occasione vennero arrestate altre 4 persone, poi finite ai domiciliari, vicine al trapper milanese. In base alle accuse, avrebbero partecipato ad una rissa con alcuni ragazzi del posto, armati di coltello. In tre rimasero feriti.
La crew di Shiva poi sarebbe coinvolta anche in un altro episodio di violenza, verificatosi a giugno, a Perugia, in concomitanza con il Nature Musci Festival, al quale ha preso parte anche il trapper milanese. In quella circostanza, le persone nella cerchia del cantante avrebbero aggredito e rapinato uno degli organizzatori del concerto, dopo averlo trascinato all’esterno dell’albergo nel quale si trovava. La vittima dell’aggressione oltre ad essere stata colpita, avrebbe dovuto consegnare loro i contanti che aveva con sé, 150 euro, ed il telefono cellulare. Non contenti, gli aggressori gli avrebbero tolto anche una scarpa, perché convinti che nascondesse altro denaro. Solo l’intervento del personale dell’albergo avrebbe posto fine all’aggressione e la vittima avrebbe riportato diverse lesioni, comprese alcuni tagli di striscio procurati da un coltello.
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