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Inchiesta Covid di Bergamo, indagati Conte e Speranza. Il leader M5S: «tranquillo di fronte al Paese»

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La Guardia di Finanza ha dato il via alle notifiche di reato per pandemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio per venti indagati, tutti volti di primo piano della politica italiana. Tra questi l’ex premier Conte, l’ex ministro Speranza, il presidente dell’Iss Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Locatelli, l’ex presidente del Cts Miozzo, quello della Protezione civile Borrelli oltre al governatore della regione Lombardia Fontana e l’ex assessore della sanità lombardo Gallera. 

A tre anni di distanza dall’inizio della pandemia di Covid, scoppiata proprio nel territorio bergamasco nel febbraio 2020, il procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la super visione del Procuratore Antonio Chiappani hanno chiuso l’inchiesta per epidemia colposa con una ventina di indagati tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della salute Roberto Speranza, il governatore della Lombardia Attilio Fontana e l’ex assessore della sanità lombardo Giulio Gallera. Con questa lunga indagine si è tentato di individuare le responsabilità di quella immane tragedia di cui ancora tutti noi ricordiamo le immagini della lunga fila di camion dell’esercito cariche di bare delle vittime per essere traportate fuori regione per la cremazione.

Conte, capo del M5S, ha immediatamente dichiarato: «Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura. Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani per aver operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica». Mentre Speranza, nella sua nota ha affermato «ho sempre pensato che chiunque abbia avuto responsabilità nella gestione della pandemia debba essere pronto a renderne conto. Sono molto sereno e sicuro di aver sempre agito con disciplina ed onore nell’esclusivo interesse del Paese».

Nella giornata di oggi verranno notificati 17 avvisi di conclusioni delle indagini, nei quali verranno contestati i reati di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti di ufficio e anche falso a personalità come il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il coordinatore dell’allora Comitato Scientifico Agostino Miozzo, l’ex capo della protezione civile Angelo Borrelli e tra i tecnici del ministero della salute l’ex dirigente Francesco Maraglino. Mentre per Conte e Speranza gli atti dovranno prima essere trasmessi al Tribunale dei Ministri.

In una nota del Procuratore Chiappani si legge che «le indagini sono state articolate, complesse e consistite nell’analisi di una rilevante mole di documenti informatici o cartacei nonché di migliaia di mail e di chat telefoniche in uso ai soggetti interessati dall’attività investigativa, oltre che nell’audizione di centinaia di persone informate sui fatti». La ricostruzione dei fatti è partita dal 5 gennaio 2020, quando l’Oms aveva lanciato l’allarme globale.

Gli accertamenti della GdF si sono svolte in tre livelli: uno locale, uno regionale e infine nazionale coinvolgendo Conte, Speranza, l’ex ministro dell’Interno Luciana Lamorgese oltre che vari tecnici ministeriali, concentrandosi principalmente sulla mancata istituzione della zona rossa uguale a quella predisposta nel Lodigiano, mancato aggiornamento del piano pandemico, fermo al 2006, che seppur datato se applicato avrebbe potuto limitare la trasmissione del Covid nella Bergamasca e di conseguenza abbattere notevolmente l’incidenza della mortalità nella zona. A riprova della cosa vengono riportati i dati che il Prof. Crisanti inserisce nella sua consulenza, derivati da un modello matematico in base al quale si deduce che se fosse stata istituita la zona rossa in Val Seriana, al 27 febbraio 2020 i morti sarebbero stati 4.148 in meno e al 3 marzo 2020 avrebbero contato 2.659 decessi in meno rispetto ai numeri effettivamente registrati.

A seguito delle decisioni della Procura i parenti delle vittime hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, commentando che: «Da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un’Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid19, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni».

Francesca Pia Lombardi

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Crosetto querela Il Giornale: «titolo falso e diffamatorio»

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Al ministro della Difesa non è piaciuto il titolo che il quotidiano diretto da Sallusti ha dedicato all’incontro con il Procuratore Capo di Roma. Il direttore replica: «quando uno è nervoso perde la lucidità. L’articolo che abbiamo pubblicato è perfetto; il titolo è una sintesi come tutti i titoli lo sono».

Aveva promesso che non avrebbe avuto remore a denunciare giornali e giornalisti ed ha mantenuto la promessa il ministro della Difesa Guido Crosetto, anche se la querela arriva alla testata che non ci aspettava e per motivi diversi dalle accuse di conflitto d’interesse: a finire nel mirino di Crosetto è stato Il Giornale per un articolo, o per meglio dire un titolo, che il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti ha dedicato all’incontro tra il ministro e il Procuratore Capo di Roma Francesco Lo Voi.

L’argomento è ancora quello delle polemiche innescate dal titolare del dicastero della Difesa, che una decina di giorni fa ha parlato di «opposizione giudiziaria» come unico «pericolo» per il Governo Meloni. Parole che hanno innescato una lunga sequela di commenti, critiche e puntualizzazioni. In tale contesto, ieri Crosetto e Lo Voi hanno avuto un incontro chiarificatore. Diversa l’analisi de Il Giornale, che ha titolato «Inchiesta su Crosetto», sebbene nell’articolo specifica: «al momento, il titolare della Difesa non sarebbe indagato».

Un titolo che però il diretto interessato ha giudicato fuorviante: «Oggi quasi tutti i quotidiani danno dell’incontro una rappresentazione corretta. Il Giornale invece inventa di sana pianta un titolo gravemente diffamatorio, totalmente falso costruito evidentemente con il solo intento di infangare» ha affermato Crosetto motivando la sua decisione di far partire la querela e dimostrandosi ancora una volta intransigente verso i giornali e le interpretazioni dei giornalisti.

Non si è fatta attendere la replica del direttore responsabile Sallusti: «Mi sembra che il ministro sia molto nervoso e quando uno è nervoso perde la lucidità. L’articolo che abbiamo pubblicato è perfetto; il titolo è una sintesi come tutti i titoli lo sono, l’inchiesta è sulle parole di Crosetto, non su Crosetto. L’inchiesta è sul tema sollevato da Crosetto e credo che questo lo capisca anche uno stupido». Il direttore continua: «Aspetto la sua querela, mi chiedo come mai non abbia querelato anche il ‘Corriere della Sera’ che lui sostiene aver fatto un titolo, una sintesi eccessiva del suo pensiero. Evidentemente ha qualche timore a querelare il ‘Corriere della Sera’ e pensa di avere gioco facile a querelare giornali che gli sono sempre stati vicini nella sua azione».

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Andrea Giambruno pronto a far causa a Mediaset per i fuori onda trasmessi da Striscia la Notizia

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A rivelare le intenzioni dell’ex conduttore di Diario di Giorno La Stampa, che ha raccolto le dichiarazioni di alcuni amici di Giambruno, ai quali avrebbe confidato di voler fare causa a Mediaset: «mi hanno fatto fare una figura di mxxxa mondiale».

Andrea Giambruno dovrebbe imparare a valutare meglio quale è il momento più opportuno per parlare e in quale invece è meglio far silenzio e, soprattutto, a chi affidare le proprie confidenze. Dopo che alcune frasi dette mentre non era in onda, ma registrate dalle telecamere, gli hanno fatto perdere la fidanzata ed hanno ostacolato la sua carriera, le rivelazioni ad alcuni amici potrebbero complicare a sua rivincita professionale. Giambruno infatti sarebbe intenzionato a a fare causa a Mediaset e forse sarebbe stato meglio non rivelare queste intenzioni.

« L’avvocato mi ha detto che così vinciamo sicuro», avrebbe detto Andrea Giambruno ad alcuni amici al tavolo di un ristorante, secondo quanto riportato da La Stampa, che ha pubblicato la notizia secondo la quale l’ex conduttore di Diario di Giorno, tornato tra le fila degli autori dopo la bufera mediatica che l’ha travolto, sarebbe pronto a far causa a Mediaset.

Le accuse sarebbero violazione della privacy e diffamazione a mezzo stampa. Secondo tale tesi, i contenuti diffusi dalla popolare trasmissione erano colloqui privati, tra colleghi, intercettati sul luogo di lavoro, e che non potevano essere divulgati. Invece le battutacce, le assestate alle parti intime e le provocazioni alle colleghe sono state mandate in onda dalla stessa tv della quale è dipendente.

I fuori onda sono costati caro all’ex conduttore, retrocesso dietro le telecamere e silurato dall’ex compagna Giorgia Meloni con un comunicato a mezzo social. Da qui l’idea di Giambruno di far causa a Mediaset: «mi hanno fatto fare una figura di mxxxa mondiale».

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Il film di Paola Cortellesi campione di incassi non ha ricevuto finanziamenti ministeriali: «opera non straordinaria»

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negati finanziamenti al film di paola cortellesi c'è ancora domani

Per fortuna della regista, “C’è ancora domani” sta stupendo tutti al botteghino, dal momento che la commissione del Ministero della Cultura lo scorso anno le ha bocciato i finanziamenti.

Al bando “Contributi selettivi 2022 – II Sessione”, Categoria «Produzione di opere cinematografiche di lungometraggio di particolare qualità artistica e film difficili con risorse finanziarie modeste», il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, che ha guadagnato i consensi della critica e sta sbancando al botteghino, è arrivato 51°, ultimo posto in classifica, non ricevendo dunque finanziamenti ministeriali: «Progetto di opera non giudicata di straordinaria qualità artistica in relazione a temi culturali, a fatti storici, eventi, luoghi o personaggi che caratterizzano l’identità nazionale».

In sostanza, il film di Paola Cortellesi, che sta trainando il cinema italiano in questi giorni e che ha sollevato un dibattito di stringente attualità sulla violenza domestica, secondo il Ministero era di «non straordinaria qualità» e dunque non meritava i finanziamenti statali. “C’è ancora domani” ha già guadagnato 20 milioni di euro, terzo nel 2023 dietro Oppenheimer e Barbie. Era dai tempi dell’ultimo film di Checco Zalone che una pellicola italiana non faceva strappare tanti biglietti.

Dal Ministero, con una nota, precisano però che il film può contare su un ritorno economico aggiuntivo di 3,5 milioni di euro grazie al tax credit, la legge sul credito di imposta, e che la decisione è stata presa quando il dicastero era retto dall’ex ministro Dario Francheschini.

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