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Politica

L’intervento dei figli di Berlusconi a favore della riappacificazione con Meloni

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Silvio-Berlusconi-Ronzulli

Secondo indiscrezioni di stampa Pier Silvio avrebbe avuto contatati telefonici con la Meloni già prima dello strappo di Palazzo Madama, mentre successivamente Marina avrebbe detto al padre «fermati». Il ruolo dei figli di Berlusconi nelle trattative con la Meloni fa infuriare il Dd. Borghi: «Di cosa hanno parlato? Del futuro dell’azienda?».

Più che per ragionamenti politici ed imprenditoriali, per una questione d’immagine. Questo è quanto trapela al momento circa l’interventi dei figli di Berlusconi per far ragionare il padre e fargli riprendere il dialogo con la leader di Fratelli d’Italia. Proprio i loro sforzi avrebbero favorito, se non prodotto, l’incontro tra Meloni e Berlusconi atteso per oggi, che dovrebbe riportare il sereno nel centrodestra.

Secondo quanto riporta da Corriere infatti, Pier Silvio e Marina Berlusconi non avrebbero gradito lo strappo di Palazzo Madama. Il primo, già precedentemente al voto in Senato, avrebbe avuto due contatti telefonici con Giorgia Meloni. E per due volte avrebbe consigliato al padre di trovare un accordo. La seconda invece, dopo il voto in Aula e la frattura tra Forza Italia e Fratelli d’Italia si sarebbe recata ad Arcore e si sarebbe intrattenuta a lungo con il “genitore 1”. Da quanto è emerso, gli avrebbe lanciato un appello: «fermati». Messaggio che appunto sarebbe stato recepito del senatore.

Le mediazione dei figli di Berlusconi nelle trattive di centrodestra non è vista di buon occhio dalle opposizioni. Il senatore del Pd Enrico Borghi ha chiesto: ««Com’era la favola della destra normale in un paese normale? Nella trattativa per la formazione del governo entrano in campo i figli di Berlusconi, cioè i proprietari di Mediaset. Di cosa parlano con Meloni? Del futuro dell’azienda? Cose inconcepibili in qualunque altro paese occidentale».

Al di là dei possibili argomenti toccati, secondo il Corriere a spingere i figli di Berlusconi verso una distensione di rapporti con la Meloni sarebbe stata più una questione di prestigio che di convenienza politica. Il disappunto dei due rampolli sarebbe infatti motivato soprattutto dall’immagine del padre che è uscita dall’elezione del presidente del Senato. Ovvero quella di un uomo messo da parte dagli alleati e trascinato verso una disfatta clamorosa da una cerchia di ristretti adesso sotto stato d’accusa.

Mentre torna in sereno nell’asse di centrodestra, non si dissipano le ombre in Forza Italia. Malgrado il dietrofront del capo, nel partito convivono ancora tensioni ed anime che spingono verso direzioni opposte. Da un lato ci sono i “ricucitori”, ai quali si aggiungono i “vecchi saggi” Letta e Confalonieri, dall’altra quelli che invece spingono per la frattura con la Meloni. Qualora questi dovessero emergere e convincere Berlusconi a rompere, secondo indiscrezioni questa volta a firma Repubblica, sarebbero almeno tre i Senatori pronti a lasciare gli azzurri e navigare verso altri lidi: Casellati, Lotito, Fazzone. Nel mentre, quella che indicata come leader dei più irriducibili, Licia Ronzulli, minimizza e lavoro alla ricucitura: «Nei prossimi giorni il centrodestra si presenterà unito al Colle, per proporre al Presidente della Repubblica di conferire l’incarico all’on. Meloni, che ha il diritto-dovere di guidare il paese per portarlo fuori dalla crisi».

Attualità

Crosetto querela Il Giornale: «titolo falso e diffamatorio»

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crosetto querela il giornale diretto da sallusti

Al ministro della Difesa non è piaciuto il titolo che il quotidiano diretto da Sallusti ha dedicato all’incontro con il Procuratore Capo di Roma. Il direttore replica: «quando uno è nervoso perde la lucidità. L’articolo che abbiamo pubblicato è perfetto; il titolo è una sintesi come tutti i titoli lo sono».

Aveva promesso che non avrebbe avuto remore a denunciare giornali e giornalisti ed ha mantenuto la promessa il ministro della Difesa Guido Crosetto, anche se la querela arriva alla testata che non ci aspettava e per motivi diversi dalle accuse di conflitto d’interesse: a finire nel mirino di Crosetto è stato Il Giornale per un articolo, o per meglio dire un titolo, che il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti ha dedicato all’incontro tra il ministro e il Procuratore Capo di Roma Francesco Lo Voi.

L’argomento è ancora quello delle polemiche innescate dal titolare del dicastero della Difesa, che una decina di giorni fa ha parlato di «opposizione giudiziaria» come unico «pericolo» per il Governo Meloni. Parole che hanno innescato una lunga sequela di commenti, critiche e puntualizzazioni. In tale contesto, ieri Crosetto e Lo Voi hanno avuto un incontro chiarificatore. Diversa l’analisi de Il Giornale, che ha titolato «Inchiesta su Crosetto», sebbene nell’articolo specifica: «al momento, il titolare della Difesa non sarebbe indagato».

Un titolo che però il diretto interessato ha giudicato fuorviante: «Oggi quasi tutti i quotidiani danno dell’incontro una rappresentazione corretta. Il Giornale invece inventa di sana pianta un titolo gravemente diffamatorio, totalmente falso costruito evidentemente con il solo intento di infangare» ha affermato Crosetto motivando la sua decisione di far partire la querela e dimostrandosi ancora una volta intransigente verso i giornali e le interpretazioni dei giornalisti.

Non si è fatta attendere la replica del direttore responsabile Sallusti: «Mi sembra che il ministro sia molto nervoso e quando uno è nervoso perde la lucidità. L’articolo che abbiamo pubblicato è perfetto; il titolo è una sintesi come tutti i titoli lo sono, l’inchiesta è sulle parole di Crosetto, non su Crosetto. L’inchiesta è sul tema sollevato da Crosetto e credo che questo lo capisca anche uno stupido». Il direttore continua: «Aspetto la sua querela, mi chiedo come mai non abbia querelato anche il ‘Corriere della Sera’ che lui sostiene aver fatto un titolo, una sintesi eccessiva del suo pensiero. Evidentemente ha qualche timore a querelare il ‘Corriere della Sera’ e pensa di avere gioco facile a querelare giornali che gli sono sempre stati vicini nella sua azione».

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Mondo

L’Italia è uscita ufficialmente dalla Via della Seta, l’accordo per gli scambi commerciali con Pechino

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l'italia esce dalla via della seta

L’Italia non rinnoverà il memorandum sulla Belt & Road Initiative alla sua scadenza, nel 2024. Era stato il primo Paese G7 ad aderire.

Sebbene fosse nell’aria già da un po’, l’uscita ufficiale è avvenuta in sordina: l’Italia è uscita dalla Belt & Road Initiative, la nuova Via della Seta, l’accordo siglato nel 2019 dall’allora presidente del Consiglio Conte e il premier cinese Xi Jinping per agevolare gli scambi commerciali tra Europa ed Asia. Alla scadenza naturale, il prossimo 22 marzo 2024, il memorandum non verrà rinnovato.

Da Palazzo Chigi è giunto un semplice «no comment», mentre la Farnesina nel messaggio con cui informava della decisione Pechino, ha specificata che rimane l’ «amicizia strategica» tra i due Paesi.

L’Italia era stato il primo Paese del G7 ad aderire alla Via della Seta. Ed è anche la prima a fare un passo indietro. La mossa è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia in estate e a seguire dalla visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Né Italia, né Cina hanno diramato un comunicato: Pechino non vuole dare troppa enfasi alla notizia per evitare che altri Paesi seguano l’esempio italiano, mentre Roma preferisce non indispettire il potente amico strategico orientale.

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Politica

La maggioranza affossa il salario minimo, alla Camera scoppia il caos

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protesta alla camera salario minimo affossato

Quando il maxiemendamento che affossa la proposta di istituire un salario minimo di 9 euro l’ora è stato approvato, dai banchi dell’opposizioni si sono levati cartelli e grida di protesta. Un deputato si è perfino avvicinato ai banchi della maggioranza con fare minaccioso, ma è stato fermato dai commessi.

153 favorevoli, 118 contrari, 3 astenuti e il salario minimo va in soffitta: il maxiemendamento della maggioranza che affossa la proposta è stato approvato. E le opposizioni, tranne Italia Viva, hanno fatto scattare una protesta plateale.

Al momento del voto in Aula, le tensioni dei mesi scorsi sono definitivamente esplose. Dai banchi delle opposizioni sono spuntati cartelli con le scritte «salario minimo negato» e «non in mio nome», mentre alcuni deputati si sono avvicinati agli scranni della maggioranza gridando «vergogna». Seduta sospesa e commessi costretti a strappare dalle mani dei deputati i cartelli. Un onorevole particolarmente focoso è stato perfino trattenuto prima che potesse raggiungere i banchi dei deputati dei partiti di governo.

«Noi andremo avanti insieme alle altre opposizioni come portarla avanti già raccolto 500mila firme. Anche oggi abbiamo agito in maniera compatta e continueremo a farlo» ha affermato Elly Schlein, che ha aggiunto: «’Meloni volta spalle alle condizioni materiali di lavoro. Hanno deciso da che parte stare stanno con chi sfrutta lavoro e spalancano le porte ai contratti pirata». Dello stesso avviso Giuseppe Conte che, al pari della segretaria dem, ha ritirato la firma dal provvedimento: «Con la stessa arroganza con cui fate fermare un treno per far scendere un ministro, voi avete fermato la speranza di 3,6 milioni di lavoratrici e lavoratori che sono sottopagati. Questo gesto proditorio non lo compirete in mio nome e nel nome del M5S: state facendo carta straccia del salario minimo legale» ha detto ieri alla Camera, strappando platealmente il testo del provvedimento.

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