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La Lega alza il tiro: «sì ad un nuovo patto di governo, ma solo senza M5S e se profondamente rinnovato»

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Massimiliano Romeo Lega

Il centrodestra di governo, dopo l’incontro tra Lega e Forza Italia, avanza una proposta di sostegno al premier Draghi, ma con precise indicazioni. Un nuovo patto di governo è possibile solo se non comprenderà anche i pentastellati e solo se il governo che verrà sarà cambierà radicalmente nella composizione e nelle scelte politiche.

La prima rottura leghista arriva direttamente in Aula, durante l’intervento del capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. Poi, al termine dell”incontro di Villa Grande, e durante la pausa di un’ora e mezza della seduta parlamentare, è lo stesso Salvini a condividere sui social la “Nota del centrodestra di governo”, ovvero Lega e Forza Italia, che si dice «disponibile a un “nuovo patto” di governo e continuerà a dare il suo contributo per risolvere i problemi dell’Italia soltanto con un nuovo governo, guidato ancora da Mario Draghi, senza il Movimento 5 Stelle e profondamente rinnovato».

Una posizione quindi sulla falsa riga della risoluzione depositata dallo stesso Romeo, insieme a Roberto Calderoli, al termine del discorso del premier, nella quale si chiedeva :«un governo profondamente rinnovato, sia per le scelte politiche sia nella composizione». Il capogruppo leghista poi pianta tre paletti: no al Reddito di Cittadinanza, no a interessi delle multinazionali, discontinuità in tema immigrazione.

Dunque non si è consumata nessuna divisione tra Lega e Forza Italia, mentre rimane un netta divisione con Fratelli d’Italia. Berlusconi avrebbe anticipato la decisione emersa dal vertice al premier Draghi e poi avrebbe avuto, come Salvini e tutti i leader della maggioranza, anche un colloquio telefonico con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Appare dunque più complicato adesso convincere il centrodestra, in particolare la Lega, e trovare il nuovo patto di governo chiesto dal premier. Da una parte Draghi ha chiesto di andare avanti coesi e senza imposizioni. Dall’altra, il centrodestra detta imposizioni. Così come il Movimento 5 Stelle, che ha tenuto la sua posizione, affidata all’intervento in Aula di Ettore Licheri, senza nessuna apertura.

Calano dunque le possibilità che Mario Draghi possa rimanere a Palazzo Chigi, ma c’è ancora margine per ogni soluzione. Al termine della “pausa tecnica” al Senato, parleranno i big di partito. Alle 19 circa, la replica di Mario Draghi. Fino a quel momento non sarà possibile avere risposte definitive.

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Beppe Grillo annuncia un «delicato messaggio»: M5S alla resa dei conti?

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Su X, “l’elevato” annuncia importanti dichiarazioni che potrebbero segnare una svolta nella faida interna con Giuseppe Conte.

«Domani, martedì alle 11.03, collegatevi sul mio Blog, sul mio canale Youtube e sulla mia Pagina Facebook. Ho un delicato messaggio da annunciare», con queste parole, accompagnate dalla foto che lo ritrae in compagnia del co-fondatore Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo prepara la resa dei conti interna al Movimento 5 Stelle. Su X “l’elevato” annuncia, creando una certa suspense, la prossima puntata della faida con Conte, che a questo punto sembra arrivata ad una svolta.

Cosa comunicherà Beppe Grillo nel suo delicato messaggio? Rivendicherà il «diritto all’estinzione»? Annuncerà una seconda discesa in campo? Espellerà con un colpo di mano i dissidenti? Al momento si hanno a disposizione solo le supposizione dei ben informati. Secondo il Corriere della Sera, Grillo sarebbe pronto a dar battaglia sul simbolo, con l’intento di riappropriarsene. Questo, dopo che è riuscito a sospendere il voto dell’Assemblea Costituente e chiederne la ripetizione, invitando contestualmente i suoi a disertare il voto.

Di sicuro la guerra intestina al Movimento si sta trasformando in uno stillicidio di consensi e il magrissimo risultato in Emilia-Romagna, seppur motivato da altre concause, lo simboleggia appieno. Proprio in questa regione, con il V-Day di Bologna, il M5S si è presentata per la prima volta come forza dirompente. Il tempo, i mutamenti, il ricambio generazionale (mancato) e le alleanze di governo (mutevoli) hanno cambiato radicalmente le cose, ma è la faida tra Grillo e Conte, tra ritorno alle origini e trasformazione in partito, che ha portato il M5S sull’orlo della scissione.

L’annuncio di Grillo arriva in seguito ad una netta presa di posizione da parte di un ex sostenitore, Marco Travaglio, che ha dedicato a «quel comico che aveva un blog» un editoriale al vetriolo nel quale, senza giri di parole, gli manda un sonoro «vaxxxxxxlo». «Ha talmente rotto i coxxxxni che due iscritti su tre l’hanno abolito. E lui ha fatto ripetere il voto: non gli basta un vaxxxxxxlo, ne vuole due!».

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Altri 3 miliardi per il Ponte sullo Stretto di Messina, protestano le opposizioni

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Rimodulati gli stanziamenti del fondo per lo sviluppo e la coesione, Fsc, 2021-2027. Al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti arrivano nuovi fondi e potrà contare su 3 miliardi in più per il Ponte sullo Stretto di Messina: 14,7 anziché i previsti 11,6.

Secondo le opposizioni si tratta di uno «sciacallaggio» o di un «contentino» alla Lega dopo lo strappo con Forza Italia sul canone Rai. Per il governo si tratta invece di un impulso decisivo ad un’opera tanto attesa. Il Cipess, Comitato per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, assicura che entro questo mese sarà presentato il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina e che i lavori prenderanno avvio nel 2025, anche perché l’opera più contare su 3 miliardi in più rispetto a quanto previsto.

E’ quanto emerso dalla riunione d’urgenza del Cipess convocata a Palazzo Chigi per assegnare subito le risorse del fondo di sviluppo e coesione ai ministeri. E così il Dicastero delle Infrastrutture, potrà ora contare su 2,3 miliardi in più, per un totale di 9,2 miliardi. Quasi tutti, nello specifico 6,1 miliardi, saranno dirottati sul Ponte, che appunto adesso avrebbe a disposizione più di 14 miliardi.

Protestano le opposizioni. Se per Boccia del PD «il governo vive solo di scambi di potere», Bonelli di Avs afferma: «Si prosciuga il fondo per lo sviluppo e coesione: parliamo di una cifra pari a 6 miliardi che serviva per il trasporto pubblico, per le scuole, la sanità e la manutenzione del territorio». Anche i 5 stelle attaccano il governo: «È uno sciacallaggio che penalizza ulteriormente le regioni meridionali»,

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Scontro in maggioranza sul canone Rai: occhiataccia di Meloni a Tajani

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Dopo che Forza Italia ha votato contro la proposta leghista di abbassare il canone Rai, il carroccio si è vendicato affossando un emendamento azzurro in materia fiscale. Dalle opposizioni si sgolano ad annunciare un’imminente crisi di maggioranza, ma la premier, pur non risparmiando un’occhiataccia a favor di telecamera a Tajani, è al lavoro per ricompattare le fila: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai».

Antonio Tajani ha provato a far finta di nulla e a simulare una coesione che nella maggioranza, dopo lo scontro sul canone Rai, di fatto non c’è. La premier invece non ha voluto celare un evidente disappunto. Alla chiusura dei Med Dialogues, la conferenza annuale organizzata dalla Farnesina con l’Ispi per dare slancio all’azione dell’Italia nel mondo, è emersa tutta la tensione che si respira nella maggioranza. Anche perché dopo il botta e risposta di ieri tra Tajani e Salvini ed il voto contrario di oggi degli azzurri al taglio del canone Rai, è arrivata quella che ha tutti i contorni della vendetta leghista: in commissione Bilancio al Senato, un emendamento al decreto fiscale sulla sanità in Calabria proposto dal senatore forzista Claudio Lotito, non è passato a causa dell’astensione della Lega.

Dalle opposizioni già si affrettano ad annunciare una crisi di governo. Meloni sa che in realtà la situazione non è così critica: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai» ha detto ai cronisti, prima di svicolare da un’uscita secondaria in seguito al suo rapido intervento. Sul palco è stata invitata con tutte le carinerie del caso, sia istituzionali che politiche, proprio da Tajani, che molto si è speso in ringraziamenti alla presidente. Certamente più fredda la reazione della premier: occhiataccia, rapida stretta di mano e ringraziamento di circostanza.

Non sarà una crisi di governo, ma qualche grattacapo Meloni lo ha. Al di là dello scontro sul canone Rai, Tajani è infastidito per l’appoggio che la premier sembra aver concesso a Noi Moderati, come se ne volesse fare una stampella centrista nella maggioranza nel caso di frizioni con gli azzurri, ma anche per le ingerenze di Salvini in temi di politica estera. L’ultima è stata quella relativa al mandato d’arresto a Netanyahu: Salvini ha detto che il presidente israeliano sarebbe benvenuto in Italia, smentendo di fatto la linea della Farnesina.

C’è poi un altro punto da tenere in considerazione: chi prenderà le deleghe di Fitto? Tajani le vorrebbe per i suoi, anche alla luce dell’impegno profuso in Europa per far accettare la figura di Fitto come vicepresidente e per portare FdI nella maggioranza Ursula. Il nome che circola in queste ore però, andrebbe in tutt’altra direzione: Elisabetta Belloni, ora a capo del Dis, già segretario generale della Farnesina e con una una consolidata carriera da funzionaria alle spalle. Qualora fosse nominata ministro, è il timore di Tajani, potrebbe offuscare il ministro degli Esteri nei rapporti con le cancellerie europee e spostare gli equilibri della coalizione nei rapporti con l’estero.

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