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La ministra della Famiglia Roccella: “Non ho volontà e nemmeno il potere di cambiare la 194”

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ROMA -Eugenia Roccella è la nuova Ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità nel governo di Giorgia Meloni. L’esponente di Fratelli d’Italia è nata a Bologna e ha 68 anni. È la figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale, Franco Roccella, e della pittrice Wanda Raheli. Negli anni giovanili femminista è stata lei stessa militante del Partito Radicale e leader del Movimento di Liberazione della Donna. In quegli anni, era il 1975, pubblicò il libro Aborto: facciamolo da noi. Laureata in lettere moderne, dal 2000 è giornalista professionista.

Durante la campagna elettorale ha ripreso la sua storica battaglia contro la legge 194, e ha detto: “Io sono femminista e le femministe non hanno mai considerato l’aborto un diritto”.

Roccella è stata portavoce nel 2007, con Savino Pezzotta, del Family Day, la manifestazione dedicata alla difesa dei valori tradizionali della famiglia promossa dall’associazionismo cattolico. Nel 2013 ha fondato “Di mamma ce n’è una sola”, il primo comitato italiano contro l’utero in affitto. È nota anche per le sue battaglie contro l’aborto e contro la fecondazione medicalmente assistita.

E proprio quel libro del 1975, Aborto: facciamolo da noi è stato ieri lo spunto di un articolo su La Stampa di Loredana Lipperini. La risposta di Roccella arriva oggi, sempre su La Stampa, con una lettera al direttore dove Roccella ripercorre quegli anni di impegno femminista che la portarono, come ricorda lei stessa, a un digiuno di 15 giorni “per un obiettivo tipicamente radicale, poi raggiunto, cioè la fissazione dei tempi di discussione della legge sull’aborto in commissione”.

“Parlavamo di diritto? Sì, lo facevamo”, scrive Roccella, che sottolinea come in realtà “erano i radicali a farlo, a differenza delle femministe storiche, e spesso erano accusati di tradire lo slogan femminista («nessuna legge sul nostro corpo») chiedendo, appunto, una legge”.

“Ma delle battaglie di quegli anni – scrive ancora Roccella – nessuno ha più memoria, e se oggi si parla di aborto è solo per usarlo come arma contundente e impropria contro un governo che non è di sinistra e non è nemmeno tecnico (un peccato assai grave), e bisogna agitare lo spauracchio dell’attacco ai diritti delle donne”.

“Che questa maggioranza sia stata votata dagli italiani ha poca importanza – sottolinea ancora la neo ministra – così come non importa che il governo sia guidato da una donna, un fatto rivoluzionario nella storia, molto maschilista, della politica italiana”.

“La verità è complessa – spiega poi Roccella – non si può ridurre a slogan, e nemmeno a semplificazioni del tipo «ha cambiato idea», o peggio, «ha rinnegato il suo passato». Non ho rinnegato proprio nulla. Anche allora l’aborto non era la nostra massima aspirazione, ma un male necessario, per non essere schiacciate in un ruolo che chiudeva le donne in una gabbia di oppressione e subalternità”.

Ma oggi, scrive Roccella, “Tutto è cambiato, la sinistra sostiene il liberismo procreativo, il nuovo fiorente mercato del corpo, fatto di contratti, compravendite, affitti di parti del corpo femminile; le femministe che ritengono che la fonte dell’esclusione delle donne sia il corpo sessuato sono definite con disprezzo Terf, e non c’è spazio per un pensiero irregolare”.

“Giorgia Meloni ha ripetuto fino alla nausea che non vuole cambiare la legge sull’aborto, e io non solo non ho nessuna volontà di farlo, ma non ne avrei nemmeno il potere, visto che dell’applicazione della legge 194 si occupa il ministero della Salute insieme alle Regioni”, puntualizza Roccella che conclude: “Se davvero a qualcuno importa conoscere la verità sull’aborto che Lipperini chiede, e anche cosa ha voluto dire vivere dentro una famiglia radicale, dentro il piccolo e straordinario mondo pannelliano, potrà farlo. Ma non mi sembra ci sia in circolazione molta reale curiosità per chi la pensa diversamente, e dietro tutta la retorica della diversità temo si nasconda solo la voglia di rimanere ben chiusi nelle proprie certezze”.

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In tre in sella senza casco: polemiche sul cantante Ultimo

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ultimo senza casco

Il video che mostra tre persone in motorino senza casco, tra le quali il cantante Ultimo, sfrecciare per le vie di Napoli ha suscitato diverse critiche e in molti chiedo al cantante di chiedere scusa pubblicamente per l’esempio sbagliato che ha fornito.

Le immagini che mostrano tre persone, tra le quali il cantante Ultimo, in sella ad un motorino mentre sfrecciano senza casco per le vie di Napoli, hanno suscitato critiche e polemiche. Non si tratta di un video rubato da qualche paparazzo, ma di un filmato pubblicato su TikTok.Il cantante, guardando in macchina sorridente, fa perfino un gesto di saluto.

Il video è subito diventato virale e contemporaneamente sono montate le critiche di chi crede che si tratti di un pessimo messaggio fornito ai più giovani da parte di un volto noto. L’episodio è diventato perfino un caso politico in seguito al post del deputato napoletano Francesco Emlio Borrelli, Alleanza Verdi-Sinistra: «Ci hanno segnalato un video pubblicato su TikTok che immortala il cantante Ultimo in giro per i Quartieri Spagnoli di Napoli su uno scooter con altre due persone. Nessuno, compreso l’artista, indossa il casco. Una cosa inaccettabile da un personaggio pubblico seguito da tanti giovani. A meno che non ci dica che si tratta di un suo ‘sosia’, chieda scusa pubblicamente al più presto».

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Che cos’è la chiazza verde fosforescente nelle acque di Venezia?

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venezia acqua verde

Si tratterebbe di un liquido tracciante usato in idraulica per verificare eventuali perdite nei tubi e negli scarichi, innocuo per la salute umana. Nessuna sigla ambientalista ha rivendicato il gesto, pertanto si pensa ad uno scherzo o ad un errore umano durante una riparazione.

Suggestive ed inquietanti al contempo, le foto dell’acqua del Canal Grande di Venezia tinta di verde fosforescente hanno fatto il giro del mondo ed hanno alimentato diverse teorie, alcune anche strampalate. Ora invece si sarebbe capito che cosa ha colorato le acque dei canali veneziani: la fluoresceina, un colorante usato come tracciante durante i lavori idraulici, per rilevare perdite nei tubi e negli scarichi. La fluoresceina è innocua per l’uomo, si può reperire tranquillamente e bastano pochi millilitri per colorare diversi litri d’acqua.

Si è pensato che potesse essere una protesta ambientalista sull’esempio di quelle avvenute nei mesi scorsi, nelle quali sono stati imbrattati fontane e palazzi, ma nessuno ha rivendicato il gesto. La mancata rivendicazione porta ed escludere dunque la pista ambientalista e a concentrarsi maggiormente verso la goliardia di qualche bontempone, oppure verso un erroneo sversamento del colorante durante qualche lavoro.

Tra coloro che pensano che l’acqua di Venezia si diventata verde fosforescente in seguito ad una qualche protesta ambientalista, Luca Zaia, presidente di Regione Veneto, che commentando la chiazza allargatasi fino a San Marco aveva paventato il rischio emulazione da «personaggi in cerca di clamore».

Secondo gli esperti, bastano un paio di grammi di fluoresceina per colorare 200 litri d’acqua. In genere il suo effetto dura un paio d’ore, ma per sciogliersi completamente nelle acque dei canali veneziani servirà qualche giorno.

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Il questionario di una scuola di Roma: «Di che razza è il vostro bambino?»

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Un questionario sottoposto ai genitori degli alunni di una scuola elementare di Roma finisce nel mirino delle critiche per via di una domanda contente un riferimento alla razza del bambino.

Il questionario fatto girare tra i genitori degli alunni dell’Ics Borsi-Saffi del quartiere capitolino di San Lorenzo è uno strumento utilizzato per individuare eventuali disturbi dell’apprendimento dei bambini. Tra le informazioni richieste ai genitori, oltre ai dati anagrafici e quelle sul nucleo famigliare, una domanda del questionario però ha fatto scalpore: quella che chiedeva di indicare «gruppo etnico o razza del bambino» ai genitori degli alunni della scuola di Roma.

Giuseppe Romano, psicoterapeuta del Centro clinico Marco Aurelio, che ha offerto a titolo gratuito il servizio di individuazione dei Dsa all’istituto, ha spiegato che si tratta di un vecchio modello standard ancora in uso, privo di alcun intento discriminatorio. In merito alla mancata correzione al riferimento alla «razza», lo psicologo ha ammesso che semplicemente nessuno ci ha pensato e che si è trattato di un’ingenuità.

Ma il caso è andato montando, anche a livello politico. Sette deputati del Pd eletti nel Lazio, tra cui Orfini e Zingaretti, hanno annunciato che sulla questione presenteranno un’interrogazione parlamentare al ministro Valditara. I dem, che hanno definito «inaccettabile» l’episodio, vogliono evitare che in futuro possano ripetersi certi malintesi e non hanno ritenuto sufficientemente esaurienti le spiegazioni fornite dal centro clinico.

Nel frattempo, dopo le obiezioni di alcuni genitori e nonni che hanno sollevato la questione, il modulo è stato moficato e non vi è più un riferimento alla razza, bensì alla nazionalità del bambino.

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