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La proposta indecente di Renzi a Calenda: «insieme facciamo il botto». Ma il leader di Azione tentenna

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Matteo Renzi corteggia Carlo Calenda dopo la sua rottura col Partito Democratico e rilancia l’idea del terzo polo: «sarebbe la grande sorpresa delle elezioni». Ma il leader di Azione accarezza l’idea di correre da solo ed aggira l’ostacolo raccolta firme: c’è l’esenzione.

Si incontreranno tra oggi e domani. Il leader di Italia Viva Matteo Renzi sussurrerà all’orecchio proposte elettorali indecenti e cercherà di sedurre il più ambito a queste elezioni, colui che oppose il gran rifiuto al Pd, Carlo Calenda. Il leader di azione da ago della bilancia è diventato un’ancora elettorale, tanto per la destra che per la sinistra: i suoi voti si fermano con lui. Al centro. Ed è a questa ancora, che secondo i sondaggi dovrebbe essere gettata nel prossimo Parlamento, che si vuole disperatamente aggrappare Matteo Renzi.

Renzi sa, a differenza di Calenda, che difficilmente raggiungerà la soglia del 3%, sotto alla quale i partiti rimangono esclusi da Montecitorio e Palazzo Madama. Calenda invece i numeri per correre da solo ce li avrebbe pure, ma con l’appoggio di Italia Viva sarebbe avvantaggiato anche se questa non passasse la soglia di sbarramento: sopra l’1%, i suoi voti finirebbero ad Azione. E Renzi sembra pronto anche ad un passo di lato per lasciare a Calenda il ruolo di front-runner: «se facciamo una lista unica ce ne sarà uno solo, se ne facciamo due, ce ne saranno due. E io sono pronto a dare una mano con generosità». Se Calenda accetta dunque, Renzi si dice disposto a farsi gregario e lasciare sotto i riflettori l’oggetto del desiderio della politica italiana in queste elezioni. Ma allora perché Calenda tentenna e sembra più propenso a declinare una cosi generosa offerta da parte di Matteo Renzi?

I motivi sono diversi. Innanzitutto l’aritmetica. La soglia del 3% sale fino al 10% nel caso delle coalizioni. E già in questo senso si fa più ripida la salita verso Montecitorio. Resterebbe in piedi l’ipotesi di presentarsi con un’unica lista di centro, relativamente forte, da presentare come terzo polo. Un’altra insidia, riguarda la raccolta delle 36 mila firme per presentare la candidatura di coalizione. Proprio sul nodo firme potrebbe giocarsi gran parte della trattativa. Calenda è convinto di avere in mano la carte vincente dell’esenzione, potentissima anche in fase di trattaive con Renzi: ««La legge parla chiaro. Chi ha eletto un parlamentare europeo anche con un contrassegno composto, come quello di “Pd Siamo Europei“, non deve raccogliere le firme». Quindi Azione avrebbe in mano la chiave per aprire la porta delle cabine elettorali. Renzi no.

Ma il vero ostacolo nel progetto del terzo polo, è il dualismo tra Renzi e Calenda. Due caratteri forti, poco inclini al compromesso, che non perdono occasione per ricordare i bei tempi del governo, ma che ricordano anche come ormai siano sbiadite quelle foto. «Un accordo tra di noi non è né scontato né banale. Con Renzi ci sono rapporti deteriorati nel tempo, ci unisce una consonanza programmatica e ci dividono alcune scelte. Non avrei mai fatto un accordo di governo con i 5S», le parole di Calenda. Appare invece molto più entusiasta Renzi che al Messaggero ha detto: «Io e Carlo insieme possiamo fare il botto». Più diffidente Calenda: «Con Renzi sono stato al governo e ho litigato sempre. È l’unica modalità in cui puoi ottenere da lui qualcosa, altrimenti ti si mangia a colazione».

Rimane comunque ancora tutto da stabilire e conoscendo i soggetti in questione, potrebbero arrivare delle soprese. C’è tempo fino a venerdì 12 per la parola definitiva, quindi c’è ancora qualche giorno per corteggiamenti, promesse e litigi. Intanto escono i primi sondaggi relativi alla fantomatica creatura del terzo polo: tra il 6% e l’8% al momento le intenzioni di voto registrate da Euromedia Research.

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Beppe Grillo annuncia un «delicato messaggio»: M5S alla resa dei conti?

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Su X, “l’elevato” annuncia importanti dichiarazioni che potrebbero segnare una svolta nella faida interna con Giuseppe Conte.

«Domani, martedì alle 11.03, collegatevi sul mio Blog, sul mio canale Youtube e sulla mia Pagina Facebook. Ho un delicato messaggio da annunciare», con queste parole, accompagnate dalla foto che lo ritrae in compagnia del co-fondatore Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo prepara la resa dei conti interna al Movimento 5 Stelle. Su X “l’elevato” annuncia, creando una certa suspense, la prossima puntata della faida con Conte, che a questo punto sembra arrivata ad una svolta.

Cosa comunicherà Beppe Grillo nel suo delicato messaggio? Rivendicherà il «diritto all’estinzione»? Annuncerà una seconda discesa in campo? Espellerà con un colpo di mano i dissidenti? Al momento si hanno a disposizione solo le supposizione dei ben informati. Secondo il Corriere della Sera, Grillo sarebbe pronto a dar battaglia sul simbolo, con l’intento di riappropriarsene. Questo, dopo che è riuscito a sospendere il voto dell’Assemblea Costituente e chiederne la ripetizione, invitando contestualmente i suoi a disertare il voto.

Di sicuro la guerra intestina al Movimento si sta trasformando in uno stillicidio di consensi e il magrissimo risultato in Emilia-Romagna, seppur motivato da altre concause, lo simboleggia appieno. Proprio in questa regione, con il V-Day di Bologna, il M5S si è presentata per la prima volta come forza dirompente. Il tempo, i mutamenti, il ricambio generazionale (mancato) e le alleanze di governo (mutevoli) hanno cambiato radicalmente le cose, ma è la faida tra Grillo e Conte, tra ritorno alle origini e trasformazione in partito, che ha portato il M5S sull’orlo della scissione.

L’annuncio di Grillo arriva in seguito ad una netta presa di posizione da parte di un ex sostenitore, Marco Travaglio, che ha dedicato a «quel comico che aveva un blog» un editoriale al vetriolo nel quale, senza giri di parole, gli manda un sonoro «vaxxxxxxlo». «Ha talmente rotto i coxxxxni che due iscritti su tre l’hanno abolito. E lui ha fatto ripetere il voto: non gli basta un vaxxxxxxlo, ne vuole due!».

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Altri 3 miliardi per il Ponte sullo Stretto di Messina, protestano le opposizioni

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Rimodulati gli stanziamenti del fondo per lo sviluppo e la coesione, Fsc, 2021-2027. Al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti arrivano nuovi fondi e potrà contare su 3 miliardi in più per il Ponte sullo Stretto di Messina: 14,7 anziché i previsti 11,6.

Secondo le opposizioni si tratta di uno «sciacallaggio» o di un «contentino» alla Lega dopo lo strappo con Forza Italia sul canone Rai. Per il governo si tratta invece di un impulso decisivo ad un’opera tanto attesa. Il Cipess, Comitato per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, assicura che entro questo mese sarà presentato il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina e che i lavori prenderanno avvio nel 2025, anche perché l’opera più contare su 3 miliardi in più rispetto a quanto previsto.

E’ quanto emerso dalla riunione d’urgenza del Cipess convocata a Palazzo Chigi per assegnare subito le risorse del fondo di sviluppo e coesione ai ministeri. E così il Dicastero delle Infrastrutture, potrà ora contare su 2,3 miliardi in più, per un totale di 9,2 miliardi. Quasi tutti, nello specifico 6,1 miliardi, saranno dirottati sul Ponte, che appunto adesso avrebbe a disposizione più di 14 miliardi.

Protestano le opposizioni. Se per Boccia del PD «il governo vive solo di scambi di potere», Bonelli di Avs afferma: «Si prosciuga il fondo per lo sviluppo e coesione: parliamo di una cifra pari a 6 miliardi che serviva per il trasporto pubblico, per le scuole, la sanità e la manutenzione del territorio». Anche i 5 stelle attaccano il governo: «È uno sciacallaggio che penalizza ulteriormente le regioni meridionali»,

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Scontro in maggioranza sul canone Rai: occhiataccia di Meloni a Tajani

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Dopo che Forza Italia ha votato contro la proposta leghista di abbassare il canone Rai, il carroccio si è vendicato affossando un emendamento azzurro in materia fiscale. Dalle opposizioni si sgolano ad annunciare un’imminente crisi di maggioranza, ma la premier, pur non risparmiando un’occhiataccia a favor di telecamera a Tajani, è al lavoro per ricompattare le fila: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai».

Antonio Tajani ha provato a far finta di nulla e a simulare una coesione che nella maggioranza, dopo lo scontro sul canone Rai, di fatto non c’è. La premier invece non ha voluto celare un evidente disappunto. Alla chiusura dei Med Dialogues, la conferenza annuale organizzata dalla Farnesina con l’Ispi per dare slancio all’azione dell’Italia nel mondo, è emersa tutta la tensione che si respira nella maggioranza. Anche perché dopo il botta e risposta di ieri tra Tajani e Salvini ed il voto contrario di oggi degli azzurri al taglio del canone Rai, è arrivata quella che ha tutti i contorni della vendetta leghista: in commissione Bilancio al Senato, un emendamento al decreto fiscale sulla sanità in Calabria proposto dal senatore forzista Claudio Lotito, non è passato a causa dell’astensione della Lega.

Dalle opposizioni già si affrettano ad annunciare una crisi di governo. Meloni sa che in realtà la situazione non è così critica: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai» ha detto ai cronisti, prima di svicolare da un’uscita secondaria in seguito al suo rapido intervento. Sul palco è stata invitata con tutte le carinerie del caso, sia istituzionali che politiche, proprio da Tajani, che molto si è speso in ringraziamenti alla presidente. Certamente più fredda la reazione della premier: occhiataccia, rapida stretta di mano e ringraziamento di circostanza.

Non sarà una crisi di governo, ma qualche grattacapo Meloni lo ha. Al di là dello scontro sul canone Rai, Tajani è infastidito per l’appoggio che la premier sembra aver concesso a Noi Moderati, come se ne volesse fare una stampella centrista nella maggioranza nel caso di frizioni con gli azzurri, ma anche per le ingerenze di Salvini in temi di politica estera. L’ultima è stata quella relativa al mandato d’arresto a Netanyahu: Salvini ha detto che il presidente israeliano sarebbe benvenuto in Italia, smentendo di fatto la linea della Farnesina.

C’è poi un altro punto da tenere in considerazione: chi prenderà le deleghe di Fitto? Tajani le vorrebbe per i suoi, anche alla luce dell’impegno profuso in Europa per far accettare la figura di Fitto come vicepresidente e per portare FdI nella maggioranza Ursula. Il nome che circola in queste ore però, andrebbe in tutt’altra direzione: Elisabetta Belloni, ora a capo del Dis, già segretario generale della Farnesina e con una una consolidata carriera da funzionaria alle spalle. Qualora fosse nominata ministro, è il timore di Tajani, potrebbe offuscare il ministro degli Esteri nei rapporti con le cancellerie europee e spostare gli equilibri della coalizione nei rapporti con l’estero.

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