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«Lo spot è blasfemo»: i telespettatori cattolici vogliono fermare la pubblicità delle patatine

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Un associazione di telespettatori cattolici chiede il blocco per uno spot che mostra alcune suore prendere le patatine al posto dell’ostia durante la messa, che considerano blasfemo.

Alcune suore prendono la comunione, ma al posto dell’ostia ci sono le patatine. Il volto delle religiose è pervaso di sublime estasi, ma sembra più una passione carnale che una divina infatuazione. Ci sono insomma tutti gli elementi giusti per scatenare una polemica. E chi ha commissionato lo spot delle patatine che ora l’Aiart, associazione di telespettatori cattolici, vuole boicottare perché «blasfemo», “non poteva non saperlo”: non è la prima volta che Amica Chips finisce nel vortice delle polemiche per i suoi spot. E non è la prima volta, di conseguenza, che Amica Chips ottiene doppia pubblicità con una sola compagnia promozionale. Bravo l’ufficio marketing.

Lo spot accusato di essere blasfemo è semplice, ma efficace: ci sono un sacerdote e delle suore i chiesa, durante la messa. Una religiosa si rende conto che il tabernacolo è vuoto e lo riempie repentinamente di patatine. Quando la prima novizia, estasiata, viene imboccata, tra le navate riecheggia la croccantezza dell’insolita ostia.

Subito dopo la messa in onda dello spot delle patatine, l’associazione dei telespettatori cattolici ne ha chiesto la sospensione, perché «offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti».

Non è la prima volta che Amica Chips deve correggere il tiro, dopo una comunicazione particolarmente creativa. Qualche anno fa, dovette mandare in onda una versione più addolcita di uno spot che aveva per protagonista Rocco Siffredi, il quale, tra doppi sensi ed allusioni, raccontava le sue patatine preferite.

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Rovazzi derubato in diretta social, ma era solo una trovata di marketing

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Il cantante presenta un nuovo singolo con una trovata d’effetto: «non pensavo creasse un cortocircuito mediatico così ampio».

Fabio Rovazzi seduto al tavolino di un bar impegnato in una conversazione social in diretta con i suoi follower. Alle sue spalle compare un losco figuro con aria tremendamente sospetta che si guarda intorno furtivamente. Un attimo dopo la scena cambia drasticamente ed il primo piano di Rovazzi viene sostituito dalle immagini sfocate del telefono che, incurante del fatto di essere appena passato ad un nuovo possessore, continuava a filmare. Il furto del telefono di Fabio Rovazzi, derubato in diretta social, ieri è stato uno dei fatti più discussi ed anche più trattati dai media. Ma era tutto una burla.

Si trattava di una mossa di marketing per il lancio del nuovo singolo di Rovazzi, “Il Maranza”. Il cantante lo ha reso noto oggi, affermando con un’ingenuità credibile quasi quanto il furto subito che non pensava che la trovata «potesse creare un cortocircuito mediatico così ampio».

«Ho pensato a un’idea divertente di marketing da utilizzare per lanciare in maniera inusuale l’uscita del mio brano con Il Pagante» ha affermato Rovazzi, il quale ha spiegato perché ha scelto di far finta di essere stato derubato in diretta: « Ho solo messo in scena una barra del pezzo che abbiamo scritto: – /Giravo in Corso Como/Si è avvicinato un uomo/Mi ha chiesto una Marlboro e l’orologio/Non so che ore sono/In tasca sento un vuoto/Mi hanno pullappato (mi hanno derubato)/ Con una moto/ Ora ho un sogno solo/Vorrei diventare come uno di loro/Un maranza»

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Lite a distanza tra Gruber e Mentana: «l’incontinenza è una brutta cosa», «maleducata»

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A far battibeccare i due mezzibusti più permalosi del palinsesto di La7, il collegamento dato in ritardo dal direttore del telegiornale alla conduttrice di Otto e Mezzo.

«L’incontinenza è una brutta cosa». Lilli Gruber prende la palla ala balzo ed utilizza l’ultimo spot mandato in onda prima dell’inizio della sua trasmissione, dedicato appunto ad un integratore per il benessere della prostata, per lanciare una frecciata ad Enrico Mentana, con il quale è sorta una lite a distanza. Motivo della discordia, l’ossessione dei volti televisivi: il minutaggio.

«Buonasera e benvenuti alle 20:46, non alle otto e mezza» ha . E poi appunto, la frase che ha suscitato l’ira del reo, Enrico Mentana. Sul proprio profilo Instagram, lo spietato direttore del telegiornale di La7 ha risposto pubblicando i dati relativi all’ascolto. Non meno impietosa la didascalia: «Dall’uno al nove per cento in mezz’ora. Questa è la curva degli ascolti – del tutto simile a quelle dei giorni precedenti – del Tg La7 di ieri sera, segnato da fatti importanti e in continuo aggiornamento. A quel tg però ha imprevedibilmente fatto seguito un giudizio grevemente sprezzante nei miei confronti da parte di chi conduceva il programma successivo, che pure è ogni sera diretto beneficiario di quella curva ascendente».

Il post con cui Mentana ha acceso una lite che tutti sperano che questa sera possa riservare nuove puntate, non cita mai Lilli Gruber, secondo una precisa scelta artistica: «Un giudizio da cui finora nessuno tra i vertici di La7 ha sentito il bisogno di prendere le distanze. Piccolo episodio, ma molto indicativo. A questo punto le distanze, come è doveroso, le prendo io, dai maleducati e dagli ignavi».

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“Noi è, Io sono” la congrega che non crede nelle bollette, né nella patente

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Un bizzarro caso di cronaca avvenuto nei giorni scorsi a Brescia, successivo di qualche tempo rispetto ad un altro episodio bislacco accaduto sempre in Lombardia, accende i riflettori su “Noi è, Io Sono” una congrega italiana che segue le orme della setta statunitense “One People” che non riconosce gli Stati, le leggi e le forze dell’ordine.

Guardando le bollette del gas, specie negli ultimi inverni, sarà vacillata la fede di molti. Ed altrettante invocazioni al divino si saranno succedute. Ma la reazione di un cittadino di Iseo è fin troppo trascendentale: si rifiuta di pagare la bolletta perché non crede nello Stato e nelle leggi, tantomeno nella compagnia che gliel’ha recapitata. Fa parte di un gruppo che non riconosce alcuna organizzazione costituita e che si pone l’obiettivo di rinnovare la società. Si chiama “Noi è, Io Sono”, un’organizzazione che fin dal nome mette tutto in discussione, perfino la grammatica. E’ una sorta di costola italiana di “One People”, una setta statunitense attiva già da alcuni anni.

«Chi induce un uomo vivo a identificarsi nei documenti di una corporazione di diritto privato preclusa e pignorata, commette reato». Questa la motivazione del singolare ricorso presentato ad Iseo. La lettera non è stata recapitata alla compagnia elettrica, ma a sindaco, prefetto e questore. Ed è firmata con un’impronta insaguinata. Contiene anche una richiesta di risarcimento danni: «un’oncia troy al 99,9% valuta in argento puro». Qualora si avessero difficoltà a rintracciare il prezioso metallo, accetta anche un pagamento alternativo: «energia vitale». Che al cambio dovrebbe anche convenire.

Si tratta della seconda volta che un membro del gruppo “Noi è, Io sono” fa parlare di sé, sempre in Lombardia. Qualche mese fa, in provincia di Brescia, una signora è stata fermata per un controllo stradale ed è risultata senza patente. O meglio, una ce l’aveva: firmata con un’impronta di sangue, abilitava alla guida di veicoli, navi, aerei e affini, in quanto eterna essenza in corpo e fonte di valore. Sul sito del gruppo è anche possibile consultare la modulistica per ottenere queste ed altre certificazioni universali. Che però, almeno al momento, hanno un valore legale paragonabile al potere d’acquisto dei soldi del Monopoly.

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