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Cronaca

Nessun rapimento, la madre ha confessato di aver ucciso la figlia di 5 anni, nel catanese

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La bambina di 5 anni scomparsa ieri a Mascalucia, nel catanese, non è stata rapita da un commando armato: la madre ha confessato di aver ucciso la piccola e di aver occultato il cadavere. La donna ha indirizzato le forze dell’ordine verso il luogo in cui aveva parzialmente sepolto il corpicino.

La notizia del rapimento di una bambina da parte di un commando armato aveva fatto scalpore e tutti i media, nazionali e locali, hanno riportato la denuncia della madre. La verità invece è molto più semplice ed orribile: è stata proprio la madre, Martina Patti ventitreenne, ad aver ucciso la figlia di 5 anni, ieri a Mascalucia nel catanese.

La donna aveva raccontato ai carabinieri che la bimba era stata rapita nei pressi dell’asilo che frequentava da tre uomini incappucciati, uno dei quali armato di pistola. I militi hanno mantenuto il più stretto riserbo, non fornendo particolari informazioni sulla vicenda, ma in serata hanno autorizzato la diffusione di due foto della bambina, per favorire le ricerche.

Ma i racconti della madre non hanno convinti del tutto, a causa di contraddizioni e coni d’ombra. Gli interrogatori sono proseguiti nel corso della notte e infine questa mattina, la madre di 24 anni ha confessato di aver ucciso la figlia di 5. Proprio lei ha detto dove ritrovare il corpicino, parzialmente sepolto in un campo incolto a circa 200 metri dalla loro abitazione, a Mascalucia. Sul luogo del ritrovamento, il padre della bambina, che non abitava da qualche tempo con loro , è scoppiato in lacrime.

Il mattinata il procuratore Zuccaro di Catania ha spiegato che il ritrovamento è avvenuto in seguito a «pressioni esercitate durante gli interrogatori» durante i quali «le erano state contestate varie incongruenze». Sempre in mattinata il procuratore ha aggiunto che la donna «ha fatto ritrovare il cadavere e adesso stiamo raccogliendo le sue dichiarazioni, presumibilmente confessorie».

Cronaca

Omar della strage di Novi Ligure rischia un nuovo processo: è accusato di maltrattamenti dall’ex moglie

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omar rischia un nuovo processo

Dopo aver passato quasi dieci anni in carcere, Mauro “Omar” Favaro, protagonista insieme alla fidanzata dell’epoca, Erika, della strage di Novi Ligure, molto probabilmente tornerà a processo: è stato denunciato per violenza sessuale e maltrattamenti nei confronti dell’ex moglie.

“Omar” molto probabilmente affronterà un nuovo processo. Il protagonista di uno dei più efferati delitti verificatisi in Italia, oggi quarantunenne, è stato accusato di violenza sessuale e maltrattamenti dall’ex moglie. Non si tratta di Erika. Erano minorenni quando hanno ucciso la famiglia della ragazza e dopo essere stati arrestati, ed essersi scambiati reciproche accuse per mesi, non si sono parlati mai più.

A denunciare Omar è stata la donna con la quale quale si è sposato una volta uscito dal carcere. Insieme hanno avuto una bambina. Per anni l’avrebbe fatta oggetto di vessazioni e maltrattamenti. L’avrebbe minacciata di sfregiarla con l’acido, o di lasciarla su una sedia a rotelle. Per insultarla l’avrebbe chiamata a più riprese «anoressica». Nei giorni scorsi si sono chiuse le indagini nei suoi confronti e ora Omar rischia un nuovo processo.

La vicenda riapre il dibattito sulla funzione riabilitativa del carcere. Erika ed Omar sono rimasti in prigione poco meno di una decina d’anni, in due istituti diversi. Lei, come scrive Maurizio Crosetti per Repubblica, «giocando a pallavolo e imparando il giardinaggio, poi la musicoterapia in una struttura psichiatrica dove ha conosciuto il suo compagno di adesso, un educatore, chitarrista. Uscita di prigione, Erika De Nardo si occupa di campagna e vigne sul lago di Garda». Lui invece ha imparato un mestiere e dopo essere stato rimesso libertà ha cominciato a lavorare come operaio.

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Cronaca

Un sit-in per ricordare David Rossi sotto Mps a 11 anni dalla sua morte

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assolti i dirigenti Mps Monte dei Paschi di Siena

Sotto la finestra dalla quale l’ex responsabile della comunicazione di Monte dei Paschi di Siena è caduto in circostanze misteriose la figlia, Massimo Giletti, Antonino Monteleone, Carmelo Miceli e Pietro Orlandi.

Carolina Orlandi, figliastra di David Rossi, ha organizzato un sit-in ad 11 anni dalla morte dell’ex responsabile della comunicazione di Mps, nel quale i partecipanti si sono sdraiati a terra sotto la finestra dell’ufficio dal quale è caduto in circostanze ancora misteriose. Sono rimasti lì per 21 minuti. Il tempo in cui Rossi è rimasto a terra agonizzante, immortalato da una telecamera.

«Alle 19.43 David è precipitato dalla finestra della Banca e dopo l’impatto a terra ha continuato a muoversi per 21 minuti. Per almeno 21 minuti sappiamo con certezza che David fosse ancora vivo e stesse resistendo per continuare a vivere mentre una telecamera di sorveglianza era puntata su di lui, dove poteva e doveva essere visto» ha detto la donna.

Tra i presenti al sit-in in memoria di David Rossi, il giornalista Massimo Giletti, l’inviato de Le iene Antonino Monteleone, il legale Carmelo Miceli e Pietro Orlandi. Per la figlia di Rossi, intervistata dal Corriere della Sera, «le ferite nella parte anteriore del suo corpo non sono compatibili con la caduta». Per Orlandi «è una certezza: grazie alla commissione d’inchiesta sappiamo che David è stato picchiato dietro la banca poco prima di cadere ma né la Procura di Siena, né quella di Genova hanno ritenuto opportuno aprire un fascicolo per indagare su questo. È gravissimo», ha precisato Orlandi, ricordando il lavoro della prima commissione d’inchiesta parlamentare, che si è poi dovuta sciogliere a causa della caduta del governo precedente. Due giorni fa si è insediata la seconda, presieduta dal deputato FdI, Gianluca Vinci, che continuerà il lavoro svolto finora. Gli organizzatori della protesta pacifica sono stati identificati dai carabinieri di stanza in piazza Montecitorio, che hanno chiesto la rimozione delle fotografie definite «lesive».

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Cronaca

Riccardo Bossi, figlio di Umberto, indagato per truffa: avrebbe percepito indebitamente il Rdc

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il figlio di bossi riccardo indagato per truffa sul reddito di cittadinanza

Riccardo Bossi, figlio primogenito del fondatore della Lega Nord, è indagato per truffa ai danni dello Stato a Busto Arsizio: tra il 2020 ed il 2023 avrebbe percepito indebitamente 12 mila euro di Reddito di cittadinanza.

Il figlio del Senatur e fratello maggiore del Trota, Riccardo Bossi, è indagato per truffa aggravata ai danni dello stato, perché avrebbe, secondo il pm della Procura di Busto Arsizio, incassato indebitamente il Reddito di cittadinanza.

Sotto la lente di ingrandimento ci sono 43 mensilità da 280 euro, per un importo complessivo da 12.800 euro. L’erogazione del reddito di cittadinanza, rende noto Ansa, era però collegata al canone di locazione di un appartamento come sostegno al pagamento. Appartamento dal quale, però, secondo quanto accertato dagli inquirenti, Bossi era già stato sfrattato in quanto moroso. Di qui la contestazione del reato.

Il figlio primogenito di Bossi si è avvalso della facoltà di non rispondere ed ora ha 20 giorni di tempo per chiedere di essere ascoltato o per presentare le memorie difensive, prima della probabile richiesta di rinvio a giudizio.

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