Cronaca
Omicidio Sharon Verzeni, il 31enne fermato ha confessato
E’ “l’uomo in bicicletta” il presunto responsabile dell’omicidio di Sharon Verzeni. Ad un mese dal delitto, l’uomo è stato fermato ed ha confessato.
Dopo un mese di piste a vuoto e ricerche apparentemente senza esito, all’improvviso le indagini hanno subito un’accelerazione. Ieri sera un uomo è stato fermato. Poche ore dopo «ha reso piena confessione». Il colpevole dell’omicidio di Sharon Verzeni, la donna lasciata morire per strada lo scorso 30 luglio a Terno d’Isola, nel bergamasco, è “l’uomo in bicicletta”. Si chiama Moussa Sangare, ha 31 anni, italiano, disoccupato. Avrebbe ucciso «senza motivo».
Maria Cristina Rota, procuratrice aggiunta a Bergamo, durante una conferenza stampa ha rilasciato alcune dichiarazioni: «Stanotte al termine di serratissime indagini siamo pervenuti a identificare il signore in bicicletta che nel corso della nottata ha reso prima spontanee dichiarazioni poi una piena confessione». Durante l’interrogatorio, Moussa Sangare ha detto di avere «avuto un raptus improvviso». «Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa», ha affermato il trentunenne. Sangare è nato a Milano, ma la famiglia è originaria del Mali. Vive a Suisio, distante appena cinque chilometri dal luogo del delitto. È accusato di omicidio volontario premeditato.
La procuratrice spiega che l’indagine è «stata agevolata dalla collaborazione di due cittadini stranieri, ma regolari sul territorio italiano, che si sono presentati spontaneamente presso la caserma dei carabinieri e hanno riferito ciò che sapevano. Grazie alla loro dichiarazione e all’analisi di tantissime telecamere è stato possibile tracciare l’intero percorso fatto dal ciclista che è stata poi scenario del crimine». Si tratta di due «cittadini stranieri di origine marocchine inseriti nel territorio, incensurati, due lavoratori, due onesti cittadini che si trovavano sul luogo del delitto e che in realtà inizialmente si sono presentati per segnalare un’altra presenza strana – ha proseguito – ma la prima segnalata non era strana e poi è stata segnalata la presenza del ciclista su cui si è lavorato».
Moussa Sangare quel giorno è uscito per uccidere. Lo dimostrerebbero i 4 coltelli che aveva con sé. Ed il fatto che poco prima ha minacciato due ragazzini minorenni. Sangare avrebbe infatti «come da lui stesso dichiarato, puntato il coltello contro due ragazzini di 15-16 anni, minacciandoli». La procuratrice Rota invita i due ragazzi a «presentarsi in una caserma dei carabinieri o al comando provinciale per riferire se erano presenti e se effettivamente si è verificata questa minaccia».
Dopo aver sventolato il coletto in direzione dei due giovani, avrebbe incontrato Sharon Verzeni e l’avrebbe seguita. Ed avrebbe deciso di colpirla. «Non c’è stato alcun movente, non si conoscevano e non hanno mai avuto contatti» ha reso noto la procuratrice che ha aggiunto: «sentiva l’impulso di accoltellate, sentiva il bisogno di compiere questo gesto. La signora ha avuto la sfortuna di passare di lì, si è trovata al posto sbagliato nel momento sbagliato».
Dopo essere stata raggiunta da 4 coltellate, è stata la stessa vittima a chiamare il 118: «Aiuto! Mi hanno accoltellata gridato disperata. I soccorsi non hanno fatto in tempo. Dopo un mese di ricerche infruttuose, negli ultimi giorni gli inquirenti hanno cominciato a stringere il cerchio intorno all’uomo immortalato mentre si allontanava velocemente dalla scena del delitto. Dopo essere stato individuato e fermato, “l’uomo in bicicletta” ha ammesso le sue colpe.
«Né durante le dichiarazioni spontanee né durante l’interrogatorio Moussa Sangare ha mai dimostrato di essere sotto l’effetto di sostanze alcoliche o di droghe» aggiunge ancora Rota, che afferma che l’uomo si è detto “dispiaciuto per quello che ha fatto». Le sue dichiarazioni «hanno poi consentito di recuperare sia gli abiti che lui indossava, sia dei coltelli – uno in particolare, che aveva seppellito, già nella disponibilità del Ris – che riteniamo sia il coltello utilizzato per uccidere Sharon. Lo riteniamo in base alla lunghezza e alla larghezza della lama che è compatibile con i segni riscontrati dal medico legale sul corpo».
I famigliari hanno ben accolto la notizia della sua cattura: «Ci solleva e spazza via anche tutte le e speculazioni che sono state fatte sulla vita di Sharon».
Cronaca
Grave una ragazza colpita da una statuetta caduta da un balcone a Napoli
Lo scorso 15 settembre una ragazza di origine padovana in gita a Napoli insieme al fidanzato, è stata colpita da una pesante statuetta in onice caduta da un balcone. Si trova in gravi condizioni.
E’ ricoverata in terapia intensiva dopo essere stata sottoposta ad un delicato intervento chirurgico all’Ospedale del Mare, la ragazza colpita da una statuetta caduta da un balcone a Napoli lo scorso 15 settembre. La giovane si trovava nella città partenopea in compagnia del fidanzato per una vacanza. Mentre percorreva via Sant’Anna di Palazzo ai Quartieri Spagnoli è stat colpita dal pesante manufatto in onice.
Subito dopo l’urto, la ragazza è caduta a terra, priva di sensi e perdendo copiosamente sangue. Trasportata d’urgenza e stabilizzata al vicino ospedale Vecchio Pellegrini, è stata poi trasferita all’Ospedale del Mare. L’incidente si è verificato alle 16. Poco dopo i due avrebbero dovuto raggiungere Capodichino per prendere l’aereo che li avrebbe riportati a Parigi, dove vivono.
Cronaca
Neonato morto a Parma, accusata la madre 22enne: «nessuno sapeva della gravidanza»
Gli inquirenti hanno trovato i resti di un altro neonato nello stesso giardino. Si pensa ad una confessione.
Nemmeno la famiglia e l’ex fidanzato della ragazza sarebbero stati a conoscenza della gravidanza della giovane, che avrebbe partorito da sola e non sarebbe stata seguita da un ginecologo. Il corpicino del piccolo è stato trovato nel giardino di casa, ad agosto. Un mese dopo, sono affiorati nuovi resti. La ragazza è accusata di omicidio volontario e occultamento.
Il 9 agosto scorso nel giardino di una villetta di Traversetolo, in provincia di Parma, è stato ritrovato il corpo senza vita di un neonato. In seguito all’esame del Dna è stato possibile identificare la madre, una ragazza di 22 anni, ed il padre, l’ex fidanzato della giovane, che sarebbe stato all’oscuro della gravidanza. E dopo più di un mese dalla prima macabra scoperta, nello stesso giardino sono stati rinvenuti i resti di quello che sembrerebbe un secondo neonato. Gli inquirenti non l’avrebbero scoperto casualmente, ma la scoperta sarebbe il frutto di una confessione.
Nemmeno i genitori della giovane sarebbero stati a conoscenza della gravidanza. La ragazza avrebbe tenuto la cosa nascosta a tutti, non sarebbe stata seguita da un ginecologo ed avrebbe partorito da sola. Non è chiara la causa del decesso del bambino, che l’autopsia ha stabilito fosse vivo al momento del parto, ma la giovane madre è accusata di omicidio volontario ed occultamento di cadavere.
Il primo corpo è stato ritrovato sepolto sotto un sottile strato di terra lo scorso 9 agosto, da un vicino. Sarebbe stato lui a dare l’allarme. Il primo cittadino del comune parmense ha però dato una versione differente. Sarebbe stata la nonna della ragazza a trovare il corpicino, dopo che il cane ha scavato in quel punto. La famiglia non si trovava in zona, ma era partita per una vacanza a New York. Vacanza che non è stata interrotta dopo la scoperta.
Nei giorni scorsi, il secondo ritrovamento. E c’è chi pensa che gli inquirenti siano stati indirizzati in quel punto da una confessione e che abbiano scavato «a colpo sicuro». Secondo quanto trapelato, in base ai primi rilievi effettuati il secondo corpicino sarebbe antecedente al primo e potrebbe essere venuto al mondo, e seppellito, nel 2023.
Si indaga per capire se la madre del neonato trovato senza vita a Parma abbia davvero fatto tutto da sola e se davvero nessuno si fosse accorto della gravidanza della giovane.
Cronaca
Alpinisti bloccati sul Monte Bianco: «veniteci a prendere o moriremo assiderati»
I loro telefoni non sono più raggiungibili. Sono partiti sabato, nonostante le previsioni meteo non particolarmente favorevoli, e sono stati sorpresi dalla nebbia e dal gelo durante la discesa. «Non sappiamo dove andare ed abbiamo freddo» una delle ultime comunicazioni. Soccorsi resi difficili dalle condizioni metereologiche. Dispersi anche due turisti coreani, dei quali non si conosce nemmeno la posizione.
Due alpinisti italiani di quarant’anni dalle 17:30 di sabato pomeriggio sono rimasti bloccati sul Monte Bianco. Avevano raggiunto la cima ed avevano cominciato la discesa, quando sono stati sorpresi dal maltempo, a circa 200 metri dalla vetta, sul versante francese. Si troverebbero a circa 4.600 metri. LE temperature sono in drastico calo e nebbia e forte vento impediscono loro di vedere e di spostarsi. Si troverebbero infatti a circa 300 metri di altezza da un rifugio d’emergenza, che però non sarebbero in grado di raggiungere. I tentativi di recuperarli per il momento non sono andati a buon fine.
I due alpinisti bloccati sul Monte Bianco, dei quali non sono state rese note le generalità, sono stati descritti come esperti di alta quota, ma non professionisti della montagna. I loro famigliari sono stati avvisati ed alcuni hanno già raggiunto Chamonix. Si sono mossi alla volta della vetta, nonostante le previsioni non fossero delle migliori. Sono partiti dal Rifugio des Cosmiques a quota 3.600 metri la notte tra venerdì e sabato. Probabilmente sono arrivati a 4.800 metri prima di prendere la discesa. Lì sono stati sorpresi dal calo della temperatura e dalla nebbia.
«Non vediamo nulla, veniteci a prendere, rischiamo di morire congelati» avrebbero detto durante l’ultima telefonata. I loro telefoni probabilmente si sono scaricati e non risultano più raggiungibili. In un messaggio hanno reso noto di non potersi muovere: «Siamo finiti in un crepaccio, ma ne siamo usciti, ma adesso non sappiamo bene dove siamo e abbiamo freddo, tanto freddo. Da dove scendiamo?». Trecento metri più in basso c’è il rifugio Vallot, un bivacco di emergenza con coperte.
I tentativi di recuperarli sono immediatamente scattati, ma non sono andati a buon fine. I soccorritori francesi del Pghm, Peloton de gendarmerie de haute montagne, hanno provato a raggiungerli ieri. Una squadra partita alle prime luci dell’alba. si è dovuta fermare all’altezza del Dome du Goûter a 4.200 metri a cause delle condizioni metereologiche. Stesso discorso per il tentativo di stamani alle 7. Le operazioni verranno riprese non appena il tempo lo consentirà. Anche gli elicotteri aspettano di potersi alzare in volo. Il Soccorso Alpino valdostano è in costante contatto con le famiglie degli alpinisti italiani coinvolti.
Mancano all’appello anche due escursionisti corani, dei quali si sono perse le tracce da sabato, ma di loro i soccorritori non conoscono nemmeno la posizione.
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