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Proteste in Perù dopo il golpe fallito, una cinquantina gli italiani bloccati nel Paese

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Le quattro ragazze italiane bloccate su un bus diretto in Bolivia per due giorni (Foto Ansa).

Trasferite in un ostello le quattro ragazze che sono rimaste per due giorni bloccate in Perù su un bus diretto in Bolivia. Arrestato per ribellione l’ex presidente Castillo, che ha tentato il colpo di mano per sfuggire all’impeachment per corruzione. Proteste in tutto il Paese: strade e ferrovie bloccate. Almeno 8 morti negli scontri.

Il Perù si trova in un abituale stato di caos. Il fatto che l’ex presidente Pedro Castillo sia stato arrestato dopo aver cercato di assumere pieni poteri poco prima di essere destituito per le pesanti accuse di corruzione, non è poi una notizia così scioccante. L’ultimo presidente ad aver concluso naturalmente il suo mandato è stato Fernando Belaùnde Terry, nel 1985. Dopo, il passaggio di consegne è sempre stato traumatico, fino ad arrivare al suicidio nel 2019 di Alan Garcia, che si sparò un colpo in testa prima dell’arresto. Il golpe fallito da Castillo ha determinato il suo arresto e ha scatenato un moto di proteste in tutto il Paese. Strade e collegamenti sbarrati, Perù pressoché paralizzato e migliaia di turisti bloccati, tra cui una cinquantina di italiani. Tra loro le quattro ragazze che per due giorni sono rimaste bloccate all’interno di un bus, nei pressi di un paesino del Perù, diretto in Bolivia.

In seguito alle proteste e al blocco delle vie di comunicazione, si sono infatti formate code chilometriche in diverse province. Le quattro ragazze italiane sono così rimaste bloccate sul bus che è rimasto a lungo incolonnato sulla strada che collega il Perù e la Bolivia.

Sono esauste, ma stanno bene. Tre romagnole ed una toscana, Giulia Opizzi, Martina Meoni, Federica e Lorenza Zani hanno tra i 21 e i 33 anni e sono state obbligate per due giorni a dormire e mangiare su un bus locale, con altre 50 persone bloccate all’interno di una fila di diversi chilometri di mezzi incolonnati nel villaggio di Checacupe, al confine tra Perù e Bolivia.

«Stavamo andando in Bolivia dal Perù e ci siamo ritrovati davanti a un muro di terra e a manifestanti di paesini dove parlano ancora la lingua antica peruviana – ha raccontato una delle ragazze quando è era riuscita a mettersi in contatto con l’Italia – C’è gente che non ha più soldi per mangiare, persone che non riescono a tornare a casa, a prendere un aereo perché cancellati, non fanno passare ambulanze e siamo senza servizi igienici. La polizia inesistente perché è impegnata in città…abbiamo provato a dialogare con i manifestanti ma non si smuovono. Molte persone non hanno più soldi!».

Dopo l’intervento della Farnesina e dell’Ambasciata, le ragazze sono state raggiunte e trasferite in un ostello, dove adesso attendono di poter lasciare il Paese. Oltre a loro, un’altra cinquantina di connazionali sarebbero bloccati, ma in condizioni più agevoli rispetto a quelle a cui sono state costrette le giovani.

Nel frattempo il caos è dilagato in Perù, dove la vice presidente Dina Boarte, che ha preso il posto del destituito Pedro Castillo, ha proclamato lo stato d’emergenza. In seguito alle proteste per le strade è già salito a 8 il numero delle vittime.

Pedro Castillo, eletto con il partito socialista, dal quale ha poi preso le distanze, ha tentato il colpo di stato, senza avere costruito un adeguato appoggio politico. Arrestato, rimarrà detenuto per 18 mesi.

Ha annunciato lo sciolgimento del Congresso, indetto un coprifuoco, accentrato tutti i poteri su di sé e indetto nuovi elezioni a 9 mesi. Secondo molti osservatori si sarebbe trattato di una mossa dettata dalla disperazione: i suoi stessi ministri, almeno quelli rimasti dopo le decine di giravolte avvenute durante il suo breve mandato, gli hanno voltato le spalle e la polizia lo ha arrestato per ribellione.

Da progressista si era spostato verso posizioni più conservatrici ed è stato travolto da inchieste sulla corruzione. La destra, capeggiata da Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, in carcere per corruzione , aveva appena presentato per la terza volta la richiesta di impeachment e quasi sicuramente l’avrebbe ottenuta. Castillo ha dunque tentato il golpe, fallito, e la sua vice lo ha sostituito aprendo ad un governo di unità nazionale, col placet di Fujimori. Poi stato d’emergenza, le proteste popolari che chiedono la liberazione di Castillo e nuove elezioni, gli scontri e il Paese bloccato.

Francesca Pia Lombardi

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In tre in sella senza casco: polemiche sul cantante Ultimo

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Il video che mostra tre persone in motorino senza casco, tra le quali il cantante Ultimo, sfrecciare per le vie di Napoli ha suscitato diverse critiche e in molti chiedo al cantante di chiedere scusa pubblicamente per l’esempio sbagliato che ha fornito.

Le immagini che mostrano tre persone, tra le quali il cantante Ultimo, in sella ad un motorino mentre sfrecciano senza casco per le vie di Napoli, hanno suscitato critiche e polemiche. Non si tratta di un video rubato da qualche paparazzo, ma di un filmato pubblicato su TikTok.Il cantante, guardando in macchina sorridente, fa perfino un gesto di saluto.

Il video è subito diventato virale e contemporaneamente sono montate le critiche di chi crede che si tratti di un pessimo messaggio fornito ai più giovani da parte di un volto noto. L’episodio è diventato perfino un caso politico in seguito al post del deputato napoletano Francesco Emlio Borrelli, Alleanza Verdi-Sinistra: «Ci hanno segnalato un video pubblicato su TikTok che immortala il cantante Ultimo in giro per i Quartieri Spagnoli di Napoli su uno scooter con altre due persone. Nessuno, compreso l’artista, indossa il casco. Una cosa inaccettabile da un personaggio pubblico seguito da tanti giovani. A meno che non ci dica che si tratta di un suo ‘sosia’, chieda scusa pubblicamente al più presto».

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Che cos’è la chiazza verde fosforescente nelle acque di Venezia?

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Si tratterebbe di un liquido tracciante usato in idraulica per verificare eventuali perdite nei tubi e negli scarichi, innocuo per la salute umana. Nessuna sigla ambientalista ha rivendicato il gesto, pertanto si pensa ad uno scherzo o ad un errore umano durante una riparazione.

Suggestive ed inquietanti al contempo, le foto dell’acqua del Canal Grande di Venezia tinta di verde fosforescente hanno fatto il giro del mondo ed hanno alimentato diverse teorie, alcune anche strampalate. Ora invece si sarebbe capito che cosa ha colorato le acque dei canali veneziani: la fluoresceina, un colorante usato come tracciante durante i lavori idraulici, per rilevare perdite nei tubi e negli scarichi. La fluoresceina è innocua per l’uomo, si può reperire tranquillamente e bastano pochi millilitri per colorare diversi litri d’acqua.

Si è pensato che potesse essere una protesta ambientalista sull’esempio di quelle avvenute nei mesi scorsi, nelle quali sono stati imbrattati fontane e palazzi, ma nessuno ha rivendicato il gesto. La mancata rivendicazione porta ed escludere dunque la pista ambientalista e a concentrarsi maggiormente verso la goliardia di qualche bontempone, oppure verso un erroneo sversamento del colorante durante qualche lavoro.

Tra coloro che pensano che l’acqua di Venezia si diventata verde fosforescente in seguito ad una qualche protesta ambientalista, Luca Zaia, presidente di Regione Veneto, che commentando la chiazza allargatasi fino a San Marco aveva paventato il rischio emulazione da «personaggi in cerca di clamore».

Secondo gli esperti, bastano un paio di grammi di fluoresceina per colorare 200 litri d’acqua. In genere il suo effetto dura un paio d’ore, ma per sciogliersi completamente nelle acque dei canali veneziani servirà qualche giorno.

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Il questionario di una scuola di Roma: «Di che razza è il vostro bambino?»

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Un questionario sottoposto ai genitori degli alunni di una scuola elementare di Roma finisce nel mirino delle critiche per via di una domanda contente un riferimento alla razza del bambino.

Il questionario fatto girare tra i genitori degli alunni dell’Ics Borsi-Saffi del quartiere capitolino di San Lorenzo è uno strumento utilizzato per individuare eventuali disturbi dell’apprendimento dei bambini. Tra le informazioni richieste ai genitori, oltre ai dati anagrafici e quelle sul nucleo famigliare, una domanda del questionario però ha fatto scalpore: quella che chiedeva di indicare «gruppo etnico o razza del bambino» ai genitori degli alunni della scuola di Roma.

Giuseppe Romano, psicoterapeuta del Centro clinico Marco Aurelio, che ha offerto a titolo gratuito il servizio di individuazione dei Dsa all’istituto, ha spiegato che si tratta di un vecchio modello standard ancora in uso, privo di alcun intento discriminatorio. In merito alla mancata correzione al riferimento alla «razza», lo psicologo ha ammesso che semplicemente nessuno ci ha pensato e che si è trattato di un’ingenuità.

Ma il caso è andato montando, anche a livello politico. Sette deputati del Pd eletti nel Lazio, tra cui Orfini e Zingaretti, hanno annunciato che sulla questione presenteranno un’interrogazione parlamentare al ministro Valditara. I dem, che hanno definito «inaccettabile» l’episodio, vogliono evitare che in futuro possano ripetersi certi malintesi e non hanno ritenuto sufficientemente esaurienti le spiegazioni fornite dal centro clinico.

Nel frattempo, dopo le obiezioni di alcuni genitori e nonni che hanno sollevato la questione, il modulo è stato moficato e non vi è più un riferimento alla razza, bensì alla nazionalità del bambino.

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