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Record di migranti a Ceuta, la Spagna manda l’esercito. Salvini: “E da noi?”

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CEUTA – Caos migranti a Ceuta, enclave spagnola in Marocco, per l’arrivo in massa di almeno 8.000 persone – tra cui adolescenti, donne e bambini – in meno di due giorni: la Spagna ha schierato l’esercito e ne ha già rimandato indietro la metà. Come riporta l’Ansa, la crisi di Ceuta non ha precedenti. Mai prima d’ora la Spagna aveva dovuto gestire un così alto numero di migranti arrivati tutti insieme in un territorio che non supera gli 85.000 abitanti dopo aver superato irregolarmente un confine blindato dal lato marocchino.

Migliaia di persone sono riuscite a superare le barriere che dividono le spiagge di Ceuta da quelle marocchine, a nuoto, in canotto o arrampicandosi sulle scogliere che segnano il confine tra i due Paesi.

Madrid, come riporta l’Ansa, ha risposto con un piano di emergenza: militari schierati nei punti critici, 200 tra poliziotti e agenti della Guardia Civil mandati in rinforzo ed espulsioni immediate. Circa la metà dei migranti in arrivo è già stata rimandata indietro, ha annunciato il governo spagnolo. “È una grave crisi per la Spagna e per l’Europa”, ha dichiarato il premier Pedro Sánchez prima di volare personalmente a Ceuta per una visita d’urgenza insieme al ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska, assicurando che il Paese avrebbe agito “con fermezza di fronte a qualsiasi sfida e circostanza”.

Da Bruxelles sono stati diversi gli interventi sulla crisi migratoria in corso. “L’Ue è solidale con Ceuta e la Spagna. Abbiamo bisogno di soluzioni europee comuni per gestire le migrazioni. Possiamo raggiungere questo obiettivo se raggiungiamo un accordo sul nuovo Patto sulla migrazione”, ha scritto su Twitter la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. 

Intanto, in Italia alcuni politici si chiedono se sia possibile attuare le stesse strategie anche nel nostro Paese: “La Spagna (con un governo di sinistra) schiera l’Esercito ai confini per bloccare gli ingressi illegali. Aspettiamo notizie dal Viminale”, ha scritto Matteo Salvini su Twitter nelle scorse ore.  Il riferimento è all’attuale situazione italiana, contrassegnata da importanti flussi migratori soprattutto a Lampedusa. Qui nei giorni scorsi nel giro di 24 ore sono arrivate più di 2.000 persone, con decine di barconi soccorsi e fatti sbarcare sull’Isola delle Pelagie.

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Si discute di aborto a Porta a Porta: parlano 7 uomini. Vespa: «donne non disponibili»

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La puntata di ieri sera a Porta a Porta ha suscitato polemiche per via del parterre di ospiti chiamati a parlare del delicato tema dell’aborto: sette uomini.

A Porta a Porta si parlava di aborto e diritti femminili. Argomento tornato di stringente attualità dopo l’emendamento di FdI che consentirebbe l’ingresso delle associazioni pro-vita nei consultori. Terreno delicato e spinoso, sul quale è bene muoversi accortezza. Ed infatti è scoppiato un polverone, ben prima che l’Unione Europea storcesse il naso per l’inserimento dell’emendamento nella discussione sul Pnrr.

Le polemiche sono scoppiate a causa degli ospiti invitati a parlare: erano tutti uomini. Immediate le proteste del PD: «Cinque uomini in studio [più il conduttore ed un ospite in collegamento, ndr] a discutere di aborto: la Rai ai tempi di Giorgia Meloni lascia che sia un parterre tutto maschile a discutere dei diritti delle donne». Il Partito Democratico ha reso noto che porterà la questione in Commissione Vigilanza.

Ma il programma si difende. La redazione ha reso di noto di aver invitato diverse donne, ma che tutte si sono rese indisponibili. «Gli inviti per la trasmissione politica di giovedì 18 aprile sono stati fatti nei giorni precedenti al manifestarsi della polemica», precisa una nota della redazione, che spiega che sono state invitate tre parlamentari proprio del PD, che però non hanno partecipato alla trasmissione e sono state sostituite da Alessandro Zan. Stessa cosa per «una direttrice di giornale, anch’essa indisponibile». Al di là del parterre, poi, la redazione precisa che «l’aborto è stato solo uno degli otto temi trattati nella trasmissione di ieri».

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Suicidio assistito, il governo ricorre al Tar contro le delibere dell’Emilia-Romagna

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Palazzo Chigi si oppone alle delibere per regolamentare il suicidio assistito emanate da Stefano Bonaccini.

Iter e tempistiche stabilite per permettere alle aziende sanitarie di garantire il diritto dei malati a ricorrere al suicidio assistito, come sancito da una sentenza della Corte costituzionale. Questi i contenuti di un provvedimento sul suicidio assistito emanato della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, guidata da Stefano Bonaccini, contro il quale oggi hanno presentato ricorso al Tar la presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero della Salute.

Si tratta del secondo ricorso presentato contro le delibere sul suicidio assistito annunciate da Regione Emilia-Romagna, dopo quello presentato a marzo dalla consigliera di Forza Italia Valentina Castaldini. E’ lei stessa a rendere noto oggi che il governo le dà man forte in questa battaglia.

«Carenza di potere dell’ente» sull’oggetto del dibattito «e la contraddittorietà e l’illogicità delle motivazioni introdotte nelle linee guida inviate alle aziende sanitarie», tra le cause indicate alla base del ricorso.

I provvedimenti fissano un limite di 42 giorni a disposizione di enti ed istituzioni per rispondere alla domanda presentata da pazienti che richiedono l’esecuzione del fine vita. Sui social Bonaccini si è espresso duramente contro la decisione del governo: «Il Governo, anziché preoccuparsi di dare una legge al Paese e alle persone che vivono in condizioni drammatiche, sceglie addirittura di boicottare l’Emilia-Romagna che attua la sentenza dalla Corte Costituzionale».

«Per la destra- continua il post di Bonaccini – non basta negare un diritto alle persone sancito dalla Corte: per loro è preferibile che un paziente in condizione di fine vita debba rivolgersi ad un tribunale per vedersi riconosciuto quanto la Consulta ha finalmente sancito. Si è passato il limite. Non solo si negano i diritti delle persone riconosciuti dalla Corte costituzionale, ma si fa battaglia politica sulla pelle di pazienti che si trovano in condizioni drammatiche».

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«Lo spot è blasfemo»: i telespettatori cattolici vogliono fermare la pubblicità delle patatine

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Un associazione di telespettatori cattolici chiede il blocco per uno spot che mostra alcune suore prendere le patatine al posto dell’ostia durante la messa, che considerano blasfemo.

Alcune suore prendono la comunione, ma al posto dell’ostia ci sono le patatine. Il volto delle religiose è pervaso di sublime estasi, ma sembra più una passione carnale che una divina infatuazione. Ci sono insomma tutti gli elementi giusti per scatenare una polemica. E chi ha commissionato lo spot delle patatine che ora l’Aiart, associazione di telespettatori cattolici, vuole boicottare perché «blasfemo», “non poteva non saperlo”: non è la prima volta che Amica Chips finisce nel vortice delle polemiche per i suoi spot. E non è la prima volta, di conseguenza, che Amica Chips ottiene doppia pubblicità con una sola compagnia promozionale. Bravo l’ufficio marketing.

Lo spot accusato di essere blasfemo è semplice, ma efficace: ci sono un sacerdote e delle suore i chiesa, durante la messa. Una religiosa si rende conto che il tabernacolo è vuoto e lo riempie repentinamente di patatine. Quando la prima novizia, estasiata, viene imboccata, tra le navate riecheggia la croccantezza dell’insolita ostia.

Subito dopo la messa in onda dello spot delle patatine, l’associazione dei telespettatori cattolici ne ha chiesto la sospensione, perché «offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti».

Non è la prima volta che Amica Chips deve correggere il tiro, dopo una comunicazione particolarmente creativa. Qualche anno fa, dovette mandare in onda una versione più addolcita di uno spot che aveva per protagonista Rocco Siffredi, il quale, tra doppi sensi ed allusioni, raccontava le sue patatine preferite.

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