Mondo
Scandalo sulla Chiesa in Polonia: prete ospita orgia gay e non chiama i soccorsi dopo un’overdose
Un prete in Polonia avrebbe ospitato un’orgia gay e non avrebbe chiamato i soccorsi quando un prostituto noleggiato per la serata è finito in overdose.
Chiesa polacca nuovamente nella bufera. Non è la prima volta che accade, non è l’unico caso accaduto recentemente. Il nuovo scandalo che si è abbattuto sulla Chiesa in Polonia ha come protagonista un prete che avrebbe ospitato un’orgia gay con tanto di overdose da viagra ed omissione di soccorso.
In seguito alla notizia, il vescovo della diocesi di Sosnowiec ha presentato le proprie dimissioni, mentre è stata avviata un’indagine interna. Lo scandalo è stato aperto da un articolo di Gazeta Wyborcza. Nella notte tra il 30 ed il 31 agosto scorsi, a casa di un prete un ragazzo ha avuto un collasso. Si tratterebbe di un prostituto ingaggiato per un’orgia, finito in overdose da viagra. Il ragazzo ha rischiato di non farcela, anche perché in un primo momento il sacerdote non avrebbe chiamato i soccorsi. L’accusa nei suoi confronti infatti è di omissione di soccorso.
Secondo i media polacchi, avrebbe addirittura cercato di tenere fuori i sanitari, una volta giunti sul posto. Nessun fatto accertato a livello giudiziario al momento, ma la diocesi avrebbe confermato queste ricostruzioni ed avrebbe reso noto di aver chiuso un’indagine interna nella quale avrebbe rilevato una «violazione molto grave delle norme morali». Oltre al secordote sarebbero coinvolti dall’inchiesta anche due laici. Il prete sarebbe stato destituito dal vescovo, prima che questi rassegnasse le dimissioni.
Non si tratta del primo scandalo sessuale che coinvolge la Chiesa polacca. Nel 2010 l’allora rettore del seminario della stessa parrocchia, Sosnowiec, avrebbe avuto una rissa in gay bar. Nel marzo scorso invece un sacerdote di 40 anni è stato coinvolto dalle indagini sull’omicidio di un diacono di 26 anni. Il prete si suicidò.
Mondo
Sindaco messicano decapitato una settimana dopo la sua elezione
Alejandro Arcos Catalan è stato eletto sindaco di Chilpancingo, in Messico, la settimana scorsa. Ieri la polizia ha ritrovato la sua testa mozzata sopra un pickup.
Una truce storia proveniente dal Messico riaccende i riflettori sullo strapotere dei cartelli della droga nel Paese del Centro America, dove Alejandro Arcos Catalan, sindaco della città di Chilpancingo, è stato ucciso e decapitato. Le immagini del brutale omicidio sono state diffuse sui social e sono agghiaccianti. Mostrano la testa mozzata della vittima appoggiata sopra un pickup.
Alejandro Arcos Catalan ha centrato l’elezione la settimana scorsa nella città dello Stato messicano meridionale di Guerrero, una delle aree più colpite dalla violenza dei cartelli della droga data la sua posizione lungo la costa del Pacifico.
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Ancora un’esplosione nel centro di Colonia: un ferito
A Colonia si è verificata una nuova esplosione, a poche centinaia di metri dalla discoteca dove lunedì scorso è scoppiata una bomba.
Dopo che lo scorso lunedì 16 settembre un ordigno è deflagrato all’entrata di un ristorante discoteca, provocando un ferito, questa mattina, mercoledì 18 settembre, una nuova nuova esplosione è riecheggiata nel centro di Colonia. Anche questa volta si tratterebbe di una bomba ed anche in questo caso una persona è rimasta ferita, un passante di 40 anni. Le sue condizioni fortunatamente non sarebbero serie ed è stato ascoltato dagli inquirenti in qualità di testimone.
L’esplosione di questa mattina a Colonia è avvenuta nella Ehrenstrasse. Il vanity Club, la discoteca dove è stato piazzato un ordigno lunedì scorso, dista solo poche centinaia di metri. Che tra i due casi possa esserci un collegamento appare più di un sospetto, anche se al momento non è chiara la matrice dei due attentati.
Mondo
Venezuela, Maduro al contrattacco: mandato d’arresto per Gonzalez
La faida tra l’erede di Chavez ed il suo sfidante si fa più sempre più aspra. Maduro accusa di cospirazione e terrorismo Gonzalez, che aveva a sua volta denunciato brogli elettorali e che si trova in semi-clandestinità dal 30 luglio.
Poco più di un mese dopo le elezioni presidenziali, il Venezuela scivola sempre più nel caos dopo che nella notte è stato spiccato, e ratificato a tempo di record, un mandato d’arresto per lo sfidante di Nicolas Maduro, Edmundo Gonzalez Urrutia. Le accuse sono di «usurpazione di ufficio, diffusione di false informazioni, incitamento a disobbedire alla legge, incitamento all’insurrezione e associazione a delinquere».
All’indomani del voto Gonzalez ha denunciato brogli elettorali, ha contestato la proclamazione di Maduro con il 52% dei voti da parte del Consiglio elettorale nazionale ed ha mostrato dati sugli scrutini che lo davano in netto vantaggio. Poco più di un mese dopo, è arrivata la risposta decisa del governo, anche se la richiesta d’arresto reca la firma della Procura ed è stata approvata dal Tribunale di Prima Istanza con Funzioni di Controllo.
E’ lo stesso presidente a mettere il cappello sull’iniziativa: «Crede di essere al di sopra della legge questo signor codardo, ha la pretesa di dire che non riconosce la legge, che non riconosce nulla. Questo è inammissibile, non accade in nessun’altra parte de mondo», ha detto nel corso del suo programma settimanale “Con Maduro+” sulla tv di Stato.
L’ex ambasciatore Gonzalez, che dopo il mandato d’arresto si trova in condizione di semi-clandestinità, non appare in pubblico dal 30 luglio. Dal giorno delle elezioni in tutto il Paese si sono verificati scontri e disordini e si stimano che siano oltre 2.400 le persone arrestate o detenute. L’Onu ha speso parole pesanti, parlando di «clima di terrore» in Venezuela, mentre i Paesi dell’Unione Europea e molti stati latino americani non riconosceranno il risultato elettorale, fino a che il governo venezuelano non mostrerà prove inconfutabili. Gli Stati Uniti invece hanno già riconosciuto Gonzalez come vero vincitore.
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