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Cronaca

Si sparge la voce infondata che fosse un pedofilo: disabile ucciso da due ragazzi

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Lo hanno finito a suon di calci e pugni. Un disabile di 51 anni è stato ucciso a botte a Genova in seguito ad una spedizione punitiva di due ragazzi che erano convinti che fosse un pedofilo. Morto dopo un mese di agonia. L’intercettazione: «siamo stati grandi».

Nel quartiere si è sparsa la voce che Sergio Faveto, disabile di 51 anni esperto di informatica, fosse un pedofilo e due ragazzi lo hanno ucciso di botte. I due giovani, uno di 167, l’altro di 19 anni, hanno attuato una spedizione punitiva, in seguito alla quale lo hanno colpito con numerosi calci e pugni. L’uomo è morto dopo un mese di agonia. Non era un pedofilo.

I due giovani lo hanno massacrato di botte lo scorso 3 agosto, a Genova in piazza Unità d’Italia. Non hanno agito cercando di non farsi notare, ma lo hanno fatto di fronte ad amici e fidanzate. L’unica colpa di Faveto al momento accertata è quella di avere l’abitudine di sedersi su una panchina con un pc portatile e trascorrere lì le sue serate. Qualche volta ha anche mostrato dei video ai ragazzini: cartoni animati. Non c’era materiale pedopornografico nel suo dispositivo. Non risultano adescamenti o tentativi in tal senso. Eppure le sue serate solitarie navigando sul web da una panchina del parco, sono bastate a far spargere la diceria che fosse un pedofilo. E due ragazzi hanno deciso di punirlo.

I due ora sono accusati di omicidio preterintenzionale aggravato da futili motivi. Il maggiorenne si trova ai domiciliari, il minorenne è a piede libero. sono stati fermati dopo 8 mesi di indagine, ma non sono gli unici su cui si concentrano le indagini. Altre cinque persone hanno gli occhi degli inquirenti puntati addosso. Il primo è un cinquantenne che avrebbe sparso l’infondata notizia. In un’occasione avrebbe colpito alla testa Favetto e l’avrebbe apostrofato come «pedofilo» di fronte ai presenti. Questo fatto avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella decisione dei due ragazzi di attuare la spedizione punitiva .

Terrificanti le intercettazioni rese note dagli inquirenti: «Lo abbiamo picchiato siamo stati dei grandi, avrebbe detto uno dei due fermati. Un altro ragazzo invece, al telefono con il padre, ha affermato: «Papà, io non ho visto niente! Però questi tre qui… raccontavano cose nel quartiere perché finché non è morto erano tutti presi bene… Capito? Tipo siamo dei grandi, l’abbiamo picchiato. Poi è morto, e sono morti per la paura, sono scappati via».

Cronaca

Finto padre e finta cieca organizzano finto matrimonio per intascare il bonus bebè

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Foto d'archivio.

Lui si spacciava per padre di tre figli, lei per una persona ipovedente al 100%: hanno allestito un finto matrimonio per finta per intascare, oltre a reddito di cittadinanza e pensione di invalidità, il bonus bebé.

Chissà, forse alla base del loro rapporto c’era amore vero. Tutto il resto invece era fasullo. MA forse una condizione di disagio cronico l’avevano davvero: l’ingordigia. Non bastavano il Reddito di Cittadinanza e la pensione di invalidità ottenuti illecitamente, volevano anche il bonus bebè, così hanno organizzato un finto matrimonio che ha permesso loro di ottenere sussidi e soldi veri, così come sono veri i guai in cui si sono cacciati.

Un uomo ed una donna sono stati denunciati per falso in atto pubblico e truffa dopo che i finanzieri hanno riscontrato la mendacia delle loro dichiarazioni. La vicenda è stata resa nota dall’edizione romana de Il Messaggero.

Lei si era spacciata come ipovedente al 100%. Lui, già sette anni fa, dichiarò padre di un bimbo appena nato, al quale seguiranno poi altri due “figli immaginari”, ma regolarmente registrati di fronte a un ufficiale del Campidoglio. Queste “condizioni” sono valse alla coppia di truffatori seriali una serie di sussidi.

Che però, forse, non erano sufficienti, pertanto hanno osato una nuova impresa: un finto matrimonio che avrebbe garantito loro anche gli assegni previsti dal bonus bebè e destinati ai neo-coniugi.

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Attualità

Amministrazione giudiziaria per BRT e Geodis per sfruttamento dei lavoratori

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Turni massacranti, pagamenti a cottimo e nemmeno sicuri, scarsa attenzione delle condizioni di sicurezza dei lavoratori. I giganti della logistica e delle spedizioni, BRT e Geodis, sono finiti in amministrazione giudiziaria, disposta dal Tribunale di Milano, per lo sfruttamento dei lavoratori.

Il colosso delle spedizioni BRT, che prima di essere acquisito dalle Poste francesi si chiamava Bartolini, è finito in amministrazione giudiziaria per sfruttamento dei propri lavoratori. stessa sorte per un altro gigante della logistica, Geodis. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano che ha rilevato turni massacranti ai quali erano sottoposto i corrieri, alcuni dei quali oltretutto venivano pagati a cottimo, in base al numero di consegne effettuate, e in determinati casi senza nemmeno la certezza di essere retribuiti.

Secondo la corte meneghina, l’azienda attraverso migliaia di cooperative, definite «meri serbatoi di manodopera» nel provvedimento con cui è stata disposta l’amministrazione giudiziaria per sfruttamento dei lavoratori a BRT, impiegava nelle proprie filiali corrieri costretti a turni infernali e in condizioni di precariato, anche nel caso di persone impiegate da oltre vent’anni .

Sia Geodis che BRT avevano già subito una sequestri per 126 milioni di euro per frode fiscale e caporalato, come ricordato da La Stampa. Riccardo Bonivento è stato nominato amministratore giudiziario e per una anno affiancherà il CdA.

Quella che viene definita una «prassi radicata e collaudata» si sarebbe andata consolidando una decina di anni fa. Il meccanismo avrebbe permesso a BRT di risparmiare fino a 100 milioni di euro all’anno. Oggetto particolare delle indagini, i «controlli di transumanza», ovvero quelli relativi alla passaggio dei lavoratori da una compagnia all’altra.

La corte si è spinta a dire che l’ad Costantino Dalmazio Manti fosse «a conoscenza di tutto il sistema». La multinazionale invece ha reso noto che l’amministratore delegato starebbe collaborando con la Procura.

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Cronaca

Neonato morto dopo la circoncisione fatta in casa

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Due donne nigeriane sono indagate per esercizio abusivo della professione medica e omicidio preterintenzionale aggravato, dopo la morte di un neonato al quale hanno fatto la circoncisione in casa. Anche la madre della piccola vittima risulta indagata.

Un neonato è morto in seguito ad una circoncisione effettuatagli in casa da persone non qualificate e in assenza di strumentazioni e condizioni di sicurezza. L’incredibile e tragica vicenda giunge dalla periferia capitolina, dove sono state fermate due donne, entrambe di origine nigeriana. Sono indagate per omicidio preterintenzionale aggravato ed esercizio abusivo della professione medica. Anche la madre del piccolo risulta indagata per concorso in omicidio preterintenzionale, ma a differenza delle altre due, non risultano misure cautelari a suo carico.

Il neonato morto a causa delle complicazioni dovute ad una circoncisione eseguita in casa, aveva appena 20 giorni. In seguito alla pratica alla quale è stato sottoposto, ha subito un copioso dissanguamento. La corsa disperata al policlinico di Tor Vergata si è rivelata inutile.

La circoncisione alla quale il neonato è stato sottoposto è stato eseguito in casa, a Colonna, nei dintorni di Roma, dove risiede una nutrita comunità nigeriana.

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