Attualità
Durigon querela Domani, carabinieri in redazione per sequestrare l’articolo
E’ lo stesso quotidiano a raccontare che i carabinieri sono entrati nella redazione di Domani, dopo la querela di Durigon, per sequestrare un articolo, già pubblicato on-line, riguardante la condanna ad un collaboratore del sottosegretario. Dura presa di posizione del Comitato di Redazione: «libertà dei media sotto scacco. La redazione di Domani si trova per l’ennesima volta messa all’indice da un membro del governo».
Il quotidiano Domani rende noto di aver ricevuto lo scorso venerdì 3 marzo, la visita inaspettata dei carabinieri, che hanno eseguito il provvedimento di sequestro di un articolo « a firma di Giovanni Tizian e Nello Trocchia riguardante la condanna di Simone Di Marcantonio». Il sequestro dell’articolo pubblicato da Domani arriva in seguito alla querela del sottosegretario Claudio Durigon della Lega.
Durissima la presa di posizione del Comitato di Redazione, che parla di «attacchi alla stampa» e tira in ballo senza giri di parole il governo e la presidente Meloni: «Una procedura a dir poco irrituale, motivata con la necessità di procurarsi l’articolo stesso (peraltro reperibile già pubblicamente sul sito del giornale).
La redazione di Domani si trova per l’ennesima volta messa all’indice da un membro del governo: già la premier Giorgia Meloni stessa non ha esitato, neppure a incarico assunto, nel voler portare in tribunale il direttore e il vicedirettore di questo giornale.
Ora un sottosegretario di questo governo ha presentato una querela con l’esito che i carabinieri sono entrati nella redazione di un giornale. Ormai è evidente su scala europea l’utilizzo delle querele a scopo di intimidazione della libera stampa: a livello internazionale le querele bavaglio hanno anche un nome, “slapp”, sberle.
Ma è anche chiaro che siamo di fronte a una eccezione italiana, per l’uso abusivo del potere allo scopo di condizionare la libertà di informazione. Questa redazione vuole mettere in allerta l’opinione pubblica sugli attacchi alla stampa, e anche confermare il patto di fiducia con i propri lettori: i giornalisti di Domani non si fanno intimidire».
Poco dopo lo stesso quotidiano ha reso noto di aver ricevuto numerose attestazioni di solidarietà e sostegno da parte di associazioni, colleghi e lettori.
Attualità
L’ombra dei licenziamenti su Stellantis, Tavares: «non scarto nulla»
Durante un’intervista al Salone dell’Auto di Parigi, l’amministratore delegato del colosso automobilistico italo-francese non ha escluso la possibilità di licenziamenti negli stabilimenti Stellantis.
«Non scarto nulla». Un non detto ai microfoni di Radio Rtl che rischia di valere più di mille parole. L’ammissione, o meglio la mancata smentita, da parte di Carlos Tavares, il portoghese amministratore delegato del gruppo italo-francese Stellantis, getta in angoscia centinaia di lavoratori, che temono sempre più per il proprio posto di lavoro. «La salute finanziaria di Stellanti non passa unicamente dalla soppressione di posti di lavoro, ma anche da tante altre cose: immaginazione, intelligenza, innovazione. Che è quello che stiamo facendo» ha aggiunto Tavares, che ha affermato che i licenziamenti in Stellantis non sono «al centro della nostra riflessione strategica».
Parole che arrivano dopo l’audizione in Parlamento di fronte alle commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato della settimana scorsa. In quell’occasione venne chiesto all’ad di illustrare i piani per il futuro del gruppo in Italia e di motivare per quale motivo i livelli di produzione fossero minori rispetto a quelli di altri Paesi nei quali il gruppo è attivo. Stellantis controlla 14 marchi automobilistici ed ha siti produttivi in 29 Paesi.
Le ipotesi di chiusure e licenziamenti hanno cominciato a ventilare con maggiore intensità nei giorni scorsi, in seguito ad un’altra intervista rilasciata dal portoghese, questa volta a Les Echos: «Se i cinesi prendono il 10% delle quote di mercato in Europa al termine della loro offensiva, questo vuol dire che peseranno per 1,5 milioni di auto. Questo rappresenta sette fabbriche di assemblaggio. I costruttori europei dovranno allora sia chiudere, sia trasferirle ai cinesi». E aveva aggiunto: «Chiudere le frontiere ai prodotti cinesi è una trappola: aggireranno le barriere investendo in stabilimenti in Europa. Stabilimenti che verranno in parte finanziati da sovvenzioni statali, nei Paesi a basso costo».
Attualità
Bambino morto alla festa patronale, ma non salta il live di Fedez. Il padre: «ti facevo più umano»
Il padre del bambino si è rivolto al cantante: «siamo venuti a Ozieri perché mio figlio cantava le tue canzoni. E’ successo a 200 metri da te. Potevi non cantare».
Nei giorni scorsi a Ozieri, in provincia di Sassari, si è verificata una tragedia durante la festa patronale: una porta di calcio è caduta, schiacciando un bambino di 9 anni, il quale è deceduto poco dopo. Nonostante tragedia, il concerto di Fedez in programma si è tenuto ugualmente, ma prima di cominciare a cantare il rapper ha chiesto un minuto di silenzio per il bambino morto. Dopo che la vicenda è divenuta nota, da più parti si sono sollevate parole di indignazione e sono in molti sui social a pensare che il concerto sarebbe dovuto essere annullato.
Ieri sui social ha espresso tutto il suo disappunto ed il suo dolore il padre del bambino morto in seguito alla tragedia, Ivan Putzu, che sui social ha scritto: «Ciao Fedez, ti facevo una persona più umana visto che hai dei figli. In quel momento che cantavi ad Ozieri, io padre di Gioele il bambino deceduto a 200 metri da te, ero per terra con mio figlio chiedendogli di riaprire gli occhi e chiedendo di prendere la mia vita, e di lasciare vivere lui. Noi abitiamo ad Olbia, siamo venuti a Ozieri perchè mio figlio cantava le tue canzoni e voleva vederti cantare dal vivo. Tutto questo non gli è stato possibile. Potevi non cantare per una sera e rispettare il mio dolore».
Ieri Fedez aveva affidato ai social la sua difesa, definendo la polemica che l’ha investito «schifosa» e scagliandosi veementemente contro la stampa: «Sono stato avvertito di questa terribile tragedia poco prima di salire sul palco. Prima di esibirmi ho chiesto a tutto il pubblico, più di 15mila persone, di fare un minuto di silenzio per commemorare Gioele ed esprimere la nostra vicinanza alla famiglia» afferma il rapper prima di accusare i media di aver strumentalizzato la vicenda: «Nessuno si è permesso di dire nulla. Vergona a chi? Ma come si fa ragazzi? Solo perché la settimana scorsa è andata virale la roba che l’autotune era sbagliato, dobbiamo inventarci una cazzata senza avere un minimo di rispetto per una tragedia del genere? Questo la dice lunga sullo stato dell’informazione italiana». Nella didascalia si poteva leggere che la polemica è stata montata da «gente che si definisce “giornalista”», i quali fanno «sinceramente cxxxxe».
Attualità
Ancora polemiche su Rainews: «4 minuti di monologo di Salvini sul caso Open Arms»
Matteo Salvini ha pubblicato sui social un video che lo immortala su sfondo nero durante la sua “confessione” sul caso Open Arma, che Rainews ha trasmesso integralmente, suscitando le proteste delle opposizioni e del comitato di redazione.
Nuove polemiche investono Rainews ed in particolare il direttore Paolo Petrecca, dopo che il canale ha trasmesso integralmente il video in cui Matteo Salvini affida ai social la sua “arringa difensiva” sul Caso Open Arms. Ed ancora una volta, forte presa di posizione da parte del comitato di redazione, che con una nota critica pesantemente la scelta editoriale.
L’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, attualmente ai Trasporti, non sta passando momenti felici. Non solo la sua leadership suscita qualche mugugno all’interno del carroccio ed i consensi sono in calo: i giudici di Palermo hanno chiesto una condanna a 6 anni sul caso Open Arms. Il leader della Lega è accusato di accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito lo sbarco di 147 migranti, nel 2019. La sua difesa sarà presentata in aula il prossimo 18 ottobre dall’avvocata (ed ex ministra) Giulia Bongiorno. Ma nei giorni scorsi Salvini ha già presentato un’arringa, pubblicata sui social.
Nel video, «Matteo Salvini, nato a Milano il 9 marzo 1973, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno da giugno 2018 a settembre 2019» appare corrucciato. Volto serio, voce bassa, sfondo nero. In 4 minuti «confessa» di aver «aver difeso l’Italia e gli italiani» e di «mantenuto la parola data». Secondo l’ex ministro dell’Interno, grazie alla sua «azione di governo erano diminuiti sbarchi, morti e dispersi nel Mar Mediterraneo» e che ai migranti a bordo dell’Open Arms non è stato permesso di sbarcare« perché non potevamo più essere il campo profughi di tutte», ma «a sinistra ha deciso che difendere i confini italiani è un reato». La nave dal canto suo, avrebbe cominciato «a navigare per il Mediterraneo, raccogliendo clandestini e puntando verso l’Italia», dopo aver « testardamente rifiutato ogni richiesta di aiuto, di soccorso, di sbarco in porti diversi rispetto a quelli italiani», arrivando a dir di « no perfino allo Stato di bandiera, cioè alla Spagna, … per ben due volte».
La chiusa è da cineteca: «Mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa o processato per aver difeso i confini del proprio Paese. L’articolo 52 della Costituzione italiana recita “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”. Mi dichiaro colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani. Mi dichiaro colpevole di aver mantenuto la parola data». Il filmato si chiude con il testo dell’articolo 52 della Costituzione.
Il video pubblicato da Salvini è stato trasmesso integralmente dai Rainews e, ancora una volta, sono scoppiate le polemiche nei confronti del direttore Paolo Petrecca. Protestano le opposizioni, che già avevano criticato la scelta di trasmettere integralmente i comizi di chiusura delle campagne elettorali dei candidati del centrodestra in Campania e di non coprire mediaticamente lo spoglio delle elezioni francesi. I parlamentari dem hanno annunciato un esposto all’Agcom.
Netta la presa di posizione da parte del cdr, che con una nota, ha pubblicamente biasimato la scelta: «Ancora una volta il nostro canale usato come megafono per le dichiarazioni di un membro di primo piano del governo – attaccano i rappresentanti dei giornalisti -. Ancora una volta saltate le regole del buon giornalismo e il lavoro di mediazione di una intera redazione. Chi ha deciso di mandarlo in onda? Cosa dice il direttore Petrecca? Riteniamo doveroso quanto meno offrire lo stesso tempo alla controparte». Non è la prima volta che i giornalisti della testata criticano la linea editoriale del direttore.
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