Politica
Dimissioni lampo al Mic: Francesco Spano lascia dopo 10 giorni
Il neo nominato, ma già ex, capo di gabinetto del ministro della Cultura Alessandro Giuli, Francesco Spano, lascia dopo 10 giorni dalla nomina. «Attacchi personali che non mi consentono di andare avanti». Il ministro esprime solidarietà: «clima barbarico». L’ex collaboratore di Giuli finito nel tritacarne per una nomina ritenuta controversa al marito, sposato civilmente qualche mese fa, e per alcuni fondi ad un’associazione Lgbtqi. Gli attacchi più feroci da FdI: «pederasta». Palazzo Chigi avrebbe esercitato pressioni per le dimissioni di Francesco Spano.
Francesco Spano non è più capo di gabinetto al Ministero della Cultura: dopo appena dieci giorni ha rassegnato le dimissioni. Il suo nome ha cominciato a comparire con una certa frequenza sui siti e sulle pagine dei giornali dopo le sibilline anticipazioni di Sigfrido Ranucci sulle prossime inchieste di Report. Ma già da una decina di giorni era diventato abbastanza popolare sulle chat di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, con toni non particolarmente lusinghieri, proprio subito dopo la sua nomina a consigliere del ministro Giuli. Spano è omosessuale. Bisogna specificarlo non per fare gossip, ma per fornire una chiave di lettura a tutta questa storia.
Il successore di Sangiuliano, Alessandro Giuli, lo ha scelto per prendere il posto di Francesco Gilioli. Ed i rumors sulle prossime inchieste di Report, innescate dalle anticipazioni di Ranucci, avevano investito proprio Gilioli e Spano. Qualcuno scommette che nei servizi della trasmissione ci saranno presunti dossier forniti dal primo. Qualcun altro pensa invece che abbiano a che fare con le nomine decise dal secondo, quando questi era segretario generale del MAXXI.
Nel 2022, confermato dal neo-presidente Giuli, Spano avrebbe scelto fra i collaboratori retribuiti del Museo nazionale delle arti del XXI secolo l’avvocato Marco Carnabuci, che da qualche mese è suo marito. I due sono sposati civilmente. L’anno successivo Carnabuci ha ottenuto un nuovo incarico: consulente specialistico per la predisposizione del MOG (modello organizzazione di gestione) a 14mila euro trimestrali. Difficile che Giuli, dato lo stretto rapporto con Spano, non fosse a conoscenza del legame tra i due.
Oltre a questo, ci sarebbe il caso dei finanziamenti concessi da capo dell’Unar, Ufficio governativo discriminazioni razziali, a un’associazione Lgbt, nella quale si è appreso poi che fossero disponibili prestazioni sessuali a pagamento. Spano è stato assolto da tutte le accuse.
Tuttavia, le dimissioni di Francesco Spano non sarebbero dovute alle inchieste giornalistiche, bensì, più semplicemente, dalle reazioni dei “suoi” e dal pressing esercitato da Palazzo Chigi. La sua nomina ha infatti provocato forti tensioni all’interno di Fratelli d’Italia. E’ stato il Fatto Quotidiano a rivelare il contenuto delle chat del gruppo “Fratelli d’Italia Roma”, che riunisce 200 esponenti di partito, tra cui consiglieri comunali ed onorevoli. Il coordinatore del IX Municipio Fabrizio Busnengo scrive: «Buongiorno, voglio segnalare il grosso malumore nel nostro partito per la nomina del pederasta Spano da parte del ministro Giuli». Poco dopo: «Spano ha posizioni ignobili sui temi Lgbtq». Quasi istantanea la risposta del coordinatore romano di Fratelli d’Italia, Marco Perissa, vicino a giorgia ed Arianna Meloni: «Ve lo dico chiaro e tondo non sono disponibile ad accettare che questa chat venga utilizzata per dare sfogo agli umori di chicchessia arrivando a tacciare di pedofilia il primo bersaglio che si decide di avere». Busengo viene rimosso dalla chat e si dimette da coordinatore. Le tensioni non si sopiscono, anzi, a destra i malumori continuano e diversi editorialisti della stampa amica si schierano a loro volta contro la nomina: Francesco Borgonovo, Nicola Porro, Mario Giordano. Il timore è che possa generare malumori tra l’elettorato più radicale.
Francesco Spano non accetta questo clima e rassegna le dimissioni dopo appena 10 giorni dalla nomina: «Il contesto venutosi a creare, non privo di sgradevoli attacchi personali, non mi consente più di mantenere quella serenità di pensiero che è necessaria per svolgere questo ruolo così importante» scrive nella lettera al ministro. «Nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, pertanto, ritengo doveroso da parte mia fare un passo indietro. Ciò non mi impedisce, evidentemente, di esprimerle la mia profonda gratitudine per la stima ed il sostegno che mi ha mostrato senza esitazione».
Giuli non può che prenderne atto: «Con grande rammarico, dopo averle più volte respinte, ricevo e accolgo le dimissioni del Capo di Gabinetto, Francesco Spano. A lui va la mia convinta solidarietà per il barbarico clima di mostrificazione cui è sottoposto in queste ore. Non da ultimo, ribadisco a Francesco Spano la mia completa stima e la mia gratitudine per la specchiata professionalità tecnica e per la qualità umana dimostrate in diversi contesti, ivi compreso il ministero della Cultura».
Politica
Valditara non si scusa: «mie parole strumentalizzate»
Il ministro non ritratta la figura barbina rimediata in occasione della visita di Giulio Cecchettin alle Camere: «Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati».
«Sono state strumentalizzate alcune mie affermazioni». Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara non ritira le sue parole sul legame tra violenza sulle donne e immigrazione illegale, ma precisa che sono state «strumentalizzate». «Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati» ha affermato al Salone dello Studente di Campus a Roma.
Un paio di giorni fa, avevano suscitato polemiche ed indignazione le sue parole a proposito dell’ «incremento dei fenomeni di violenza sessuale», che sarebbe riconducibile anche «a forme di marginalità e devianza, in qualche modo discendenti da immigrazione illegale». Non potevano non mancare proteste vibranti, ma Valditara sostiene che le sue parole «sono state strumentalizzate». Le polemiche hanno portato i membri della famiglia Cecchettin, che stavano presentando proprio in quel momento la Fonazione dedicata a Giulia, a prendere, seppur con garbo, le distanze.
Ed oggi il ministro prova a riavvicinarsi: «Raccolgo molto volentieri l’invito ad un confronto con Gino Cecchettin, che ha sempre usato parole molto equilibrate. Credo che il comune scopo che condividiamo, cioè combattere contro ogni forma di violenza sulle donne, ci debba vedere tutti dalla stessa parte».
Ed in merito alle polemiche: «E che cosa ho detto? Ho detto che a queste violenze sessuali contribuisce anche, è importante l’anche, la marginalità e la devianza conseguenti a una immigrazione irregolare. Allora non ho detto che è l’immigrato che è causa di questo, ho detto la marginalità e la devianza».
Politica
Il governo costretto alla “ritirata” in Albania: ridotto il contingente nei Cpr
Il Viminale ha disposto la riduzione del contingente di forze dell’ordine nei centri di permanenza e rimpatrio allestiti in Albania. Si teme che la Corte dei Conti possa contestare un danno erariale e intanto si attende la decisione della corte Europea, che potrebbe definitivamente sotterrare l’operazione.
E’ stata definita «rimodulazione», ma ha tutti i contorni di uno smobilitazione generale. Nonostante le dichiarazioni agguerrite («i giudici non ci fermeranno») ed ingerenze non richieste da parte di futuri consiglieri esteri, il governo difficilmente potrà proseguire la campagna d’Albania: il Viminale ha disposto la riduzione delle forze dell’ordine nei Centri di permanenza e rimpatrio di Shengjin e Gjader.
Una cinquantina gli agenti che dovrebbero fare ritorno in Italia. Dalle inziali 259 unità pensate, nei due centri rimarrà solo il personale strettamente necessario per coprire i turni di vigilanza da sei ore, 170 agenti, anche quando i Cpr sono vuoti, come in questo momento.
E dopo che due navi con a bordo 16 migranti prima ed 8 dopo sono state fatte tornare indietro, ci si chiede se altre ne partiranno mai verso l’atra sponda dell’Adriatico e se la Corte dei Conti avanzerà un’accusa di danno erariale. Mentre continua il braccio di ferro con la magistratura italiana, in seguito alle pronunciazioni dei Tribunali di Roma e Bologna, al Ministero e a Palazzo Chigi rimangono in attesa della sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla designazione di “Paesi Sicuri”. Un sentenza che non è assolutamente scontato possa dare ragione al governo e che potrebbe soppiantare definitivamente il progetto di trasferire in Albania i migranti soccorsi in mare.
Politica
Meloni al sindaco di Bologna Lepore: «non ho visto camicie nere, ma solo quelle blu degli agenti aggrediti»
Duro scambio tra la premier e il primo cittadino felsineo dopo gli scontri durante il corteo di CasaPound, con il sindaco che denuncia una gestione discutibile dell’ordine pubblico e la premier che lamenta doppiogiochismo. Lepore replica a Giorgia Meloni: «non confonda la collaborazione con l’obbedienza. Perché è stato permesso che 300 persone con le svastiche al collo e la camicia nera sventolassero le loro bandiere marciando al passo dell’oca a pochi passi dalla stazione?». Salvini: «le uniche camicie nere rimaste sono sotto alle loro camicie rosse».
Scintille a distanza tra il sindaco di Bologna Massimo Lepore e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo gli scontri avvenuti sabato scorso nel capoluogo emiliano tra forze dell’ordine e la rete di sinistra che protestava contro il corteo di CasaPound. Le frizioni sono state innescate dalle parole del primo cittadino: «Il governo ci ha inviato 300 camicie nere».
«Io di camicie nere non ne ho viste, semmai ho visto quelle blu degli agenti di polizia che sono stati aggrediti dagli antagonisti amici della sinistra». Così Meloni alla manifestazione in favore della candidata del centrodestra alle regionali, Elena Ugolini. La premier, per la delusione dei suoi sostenitori, è intervenuta soltanto in videocollegamento, trattenuta dal protrarsi del vertice con i sindacati CGIL e UIL, che oltretutto non è servito nemmeno ad evitare lo sciopero generale. «Lepore ha una doppia faccia, se io sono una picchiatrice fascista non mi chieda di collaborare» ha detto ancora la premier ai suoi.
La replica del sindaco non si è fatta attendere: «Io di faccia ne ho una sola, guardo ai cittadini bolognesi e chiedo rispetto per la mia città oltraggiata sabato da un corteo di 300 camicie nere. La premier Giorgia Meloni non confonda la collaborazione con l’obbedienza, non possono esserci scambi su questo » ha detto in un’intervista concessa a Repubblica. Lepore precisa: «io non ho dato a Meloni della picchiatrice fascista». E poi incalza: «Chiedo spiegazioni sulla gestione dell’ordine pubblico. Perché è stato permesso che 300 persone con le svastiche al collo e, ribadisco, la camicia nera, sventolassero le loro bandiere marciando al passo dell’oca a pochi passi dalla stazione? Il fatto che sia stato permesso è un oltraggio alla città».
Secondo il sindaco la manifestazione di CasaPound era prevista inizialmente in piazza della Pace, in una zona più periferica vicina allo stadio, ma poi il Ministero dell’Interno avrebbe preso un’altra decisione, diversa da quella pattuita nel comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza. «Il ministero spieghi chi è che ha cambiato la decisione e perché. È doveroso verso la città. E anche perché esattamente un’ora dopo la manifestazione tutto il governo ha iniziato a fare dichiarazioni contro la nostra città. ‘Zecche rosse’, ‘addosso ai centri sociali’, ‘sinistra connivente con i movimenti».
Sulla vicenda è intervenuto a suo modo anche il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che oggi ha fatto visita ai «ragazzi del Reparto mobile della Polizia che sono stati vigliaccamente assaltati dai300 criminali rossi […] figli di papà che erano là a cercare camicie nere non ci sono». La video testimonianza pubblicata sui social conclude con una riflessione tra politica ed armocromia: «le uniche camicie nere rimaste sono sotto alle loro camicie rosse, perché gli unici fascisti rimasti sono quelli dei centri sociali».
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