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Politica

Infuocato intervento di Giorgia Meloni alla Camera: urla e critiche alle opposizioni, che protestano: «rispetto per il dibatto in Aula»

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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha risposto alla Camera alle opposizioni, alla vigilia del Consiglio Europeo, con un intervento infuocato dai toni da campagna elettorale, provocando critiche e proteste: «Condanniamo e stigmatizziamo con forza i toni assunti dalla presidente del consiglio dei ministri».

La Giorgia Meloni che prende la parola alla Camera ricorda più la leader dell’unico partito all’opposizione, che la presidente del Consiglio dei Ministri. L’infuocato intervento di Giorgia Meloni alla Camera dei Deputati per replicare alle opposizioni, al limite del comizio elettorale, arriva alla vigilia del Consiglio Europeo. Veemente, condito di urla, rivendicazioni, toni accesi e accuse alle opposizioni. Un intervento che ha provocato le proteste delle opposizioni, che chiedono maggior rispetto per il dibattito parlamentare.

La Meloni ha affrontato diversi argomenti. Dal Mes, («Non reputo utile all’Italia alimentare una polemica interna sul Mes. L’interesse dell’Italia è affrontare il negoziato sulla governance europea, dove si discuta nel complesso nel rispetto del nostro interesse nazionale»), alla gestione del flusso di migranti («vogliamo difenderci dai trafficanti di esseri umani») al rialzo dei tassi della BCE («non aiuterà contro l’inflazione, ma danneggerà l’economia. La cura è peggiore della malattia»), fino al ricorso ai fondi Pnrr per le spese militari («il governo non intende farlo»).

L’invettiva più eclatante della Meloni però, è stato un passaggio di berlusconiana memoria: «Onorevole Boldrini, le lezioni da quelli che andavano a braccetto con la Cuba di Fidel Castro e con le dittature comuniste di ieri e di oggi non le accetto. Pure Maduro, li abbiamo ‘abbraccettati’ tutti”».

L’infuocato intervento di Giorgia Meloni alla Camera ha suscitato le vivaci proteste dei membri dell’opposizione, non solo, o meglio non tanto, in merito ai contenuti del suo discorso, ma rispetto ai modi con cui questo è stato fatto.

La discussione si è ora spostata al Senato. Anche qui, al termine degli interventi, interverrà la prima ministra. «Condanniamo e stigmatizziamo con forza i toni assunti dalla presidente del consiglio dei ministri. Non è mai successo quello che abbiamo visto, non abbiamo ascoltato delle repliche ma dei veri e proprio attacchi, delle aggressioni e delle provocazioni inaccettabili nei confronti di membri dell’opposizione. Ci vuole rispetto per il dibattito in quest’Aula» ha affermato il democratico Piero De Luca.

La discussione si è ora spostata al dibattito. Anche qui, al termine degli interventi dei senatori, la presidente del consiglio prenderà la parola.

Attualità

Bersani assolto dall’accusa di diffamazione a Vannacci

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Il Tribunale di Ravenna ha assolto Pierluigi Bersani dall’accusa di diffamazione avanzata dal generale Roberto Vannacci. Il politico, rispondendo ai contenuti del libro “Il Mondo al Contrario” utilizzo l’epiteto «coglione», parlando del militare. Secondo i giudici si trattava di una allegoria.

Bersani non ha diffamato il generale Vannacci. Secondo il tribunale di Ravenna, che si è pronunciato sulla querela avanzata dal militare leghista, «il fatto non sussiste». La Procura, in seguito alla denuncia, aveva chiesto per Bersani una multa da 450 euro per diffamazione aggravata dal mezzo, «provata la penale responsabilità sulla base delle documentazioni audio-video». Bersani in un’intervista, riferendosi all’ipotetico bar Italia immaginato da Vannacci nel suo libro, chiese: «Ma se in quel bar lì è possibile dare dell’anormale a un omosessuale, è possibile anche dare del coglione a un generale?».

Secondo il giudice, le parole utilizzate dal politico «non possono essere qualificate come metaforiche», ma è successo che «l querelante abbia confuso la figura della metafora con quella della allegoria». Nel caso di Bersani confondere metafora con allegoria è ancor più facile.

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Politica

Conte silura Grillo: «fa controinformazione»

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Il primo presidente del Consiglio espresso dal Movimento 5 Stelle ha licenziato il fondatore Beppe Grillo, rescindendo il contratto di collaborazione per la comunicazione.

Dopo mesi di frizioni e scontri a distanza, Giuseppe Conte ha accompagnato alla porta il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, che di fatto è stato licenziato. Il contratto di collaborazione da 300 mila euro annuali, ultimo legame tra l'”elevato” e la sua creatura, è stato chiuso. A spiegarlo è stato lo stesso Conte in un libro di Bruno Vespa che parla di Hitler e Mussolini (“Hitler e Mussolini. L’idillio fatale che sconvolse il mondo (e il ruolo centrale dell’Italia nella nuova Europa”).

Le parole di Conte sono tranchant: «Beppe Grillo è responsabile di una controcomunicazione che fa venire meno le ragioni di una collaborazione contrattuale». Tradotto, perché pagare qualcuno che parla male di noi? «Grillo ha rivendicato il compenso come garante anche nelle ultime lettere che mi ha scritto. Io non ho mai accettato che fosse pagato per questa funzione, che ha un intrinseco valore morale e non è compatibile con alcuna retribuzione».

Ma non si tratta solo di soldi: «Qualcosa si è incrinato in maniera irreversibile. Umanamente sono molto colpito da come si comporta. Vedere oggi che contrasta in maniera così plateale un processo di partecipazione democratica che ci riporta agli ideali originali di Casaleggio mi ha rattristato moltissimo. Perché, al contrario di quel che scrivono i giornali, lo scontro non è personalistico (Grillo contro Conte), ma vede Grillo battersi contro la sua stessa comunità». Insomma, la questione è personale: «già in passato ha avuto atteggiamenti velenosi nei miei confronti, ai quali non ho dato peso perché su tutto prevalevano gli interessi della comunità».

 

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Politica

Volano stracci in FdI: furibonda lite in pubblico tra Antonella Giuli e Federico Mollicone

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giorgia meloni ecri denuncia razzismo tra le forze dell'ordine

Prima delle dimissioni di Spano, in Transatlantico è scoppiata una furibonda lite tra la sorella del ministro Giuli, Antonella, ed il deputato FdI Francesco Mollicone.

Il vero tallone d’Achille del governo è la Cultura, intesa come Ministero. Dopo che le anticipazioni di Sigfrido Ranucci hanno sollevato un nuovo caso politico («È un nuovo caso Boccia che potrebbe essere al maschile»), sono arrivate le dimissioni lampo del capo di Gabinetto del ministro Alessandro Giuli, Francesco Spano, travolto dagli attacchi personali provenienti soprattutto da destra. Poco prima della ratifica,  in Transatlantico si è consumato un vero e proprio psicodramma tutto interno a FdI: tra la sorella del ministro, Antonella Giuli, ed il presidente della Commissione Cultura di Fratelli d’Italia Federico Mollicone è scoppiata una furibonda lite, nella quale sono volate anche parole pesanti. La Giuli è una giornalista assunta nell’ufficio stampa della Camera. I bene informati la vogliono molto vicina alla sorella della premier, Arianna Meloni.

Il motivo? Lei accusa lui di essersi fermato a parlare con un giornalista. Lui nega. Lei insiste e chiosa con un «ne riparleremo». Lui si avvicina con fare minaccioso: «Mi stai minacciando?». Qualcuno la porta via. Poi le dimissioni di Spano spostano l’attenzione, ma questa mattina Repubblica ha svelato il retroscena.

La tensione in FdI si taglia con il coltello. E’ sempre il quotidiano a raccontare che sulle chat di gruppo trova sempre più spazio un gossip su una presunta relazione tra Spano ed un altro esponente di partito. I vertici sarebbero più che infastiditi dalla situazione e ci sarebbe qualcuno già pronto a spingere per le dimissioni anche di Giuli. Ma non tutti sono d’accordo: «se va a casa lui, andiamo a casa tutti» sussurra un ministro al Corriere della Sera.

La situazione è intricata e il servizio di Report di domenica prossima potrebbe renderla esplosiva.

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