Politica
Maria Rosaria Boccia smentisce Sangiuliano (e Meloni): «non ho mai pagato, dicevano che rimborsava il Ministero»
Il ministro della Cultura in una lettera a La Stampa sostiene che l’incarico a Maria Rosaria Boccia, a titolo gratuito, non è stato formalizzato, che l’influencer non è stata pagata, che non è stato speso denaro pubblico per i suoi spostamenti e che non ha avuto accesso ad atti ministeriali. Versione ribadita dalla presidente del Consiglio. Ma Boccia, sul proprio profilo Instagram, sconfessa Sangiuliano e Meloni, ribadisce di aver preso parte alle riunioni, di essere in possesso di documenti e di non aver mai pagato un euro per i suoi soggiorni.
Giorno dopo giorno, la vicenda della consulente misteriosa del Ministero della Cultura guadagna sempre maggior spazio nelle pagine politiche, mette sulla graticola il reggente del dicastero e suscita l’irritazione della premier. E la femme fatale Maria Rosaria Boccia, improvvisamente al centro del dibattito, ora che appare definitivamente sfumata la sua carriera ministeriale, parla a ruota libera e sconfessa la versione fornita da Gennaro Sangiuliano e ribadita da Giorgia Meloni. Praticamente in diretta televisiva.
Ieri prima è arrivata, finalmente, la risposta del diretto interessato. Il ministro ha inviato una lettera a La Stampa nella quale ha sostenuto la sua versione: avrebbe conosciuto la dottoressa Boccia a maggio, in occasione della campagne per le Europee, «riscontrandone un’identità di vedute» ed avrebbe «maturato l’intendimento di conferire alla dottoressa Boccia l’incarico, a titolo gratuito, di consigliere del ministro per i grandi eventi». Successivamente però, anche su consiglio del Gabinetto, ha deciso «di non dare corso alla nomina e l’ho comunicato formalmente». Ma, sottolinea il ministro, durante questo periodo di collaborazione, «la dottoressa Boccia non ha mai preso parte a procedimenti amministrativi» e soprattutto «mai un euro del ministero, neanche per un caffè, è stato impiegato per viaggi e soggiorni della dottoressa Boccia».
Versione ribadita qualche ora più tardi da Giorgia Meloni, ospite di Paolo Del Debbio a “4 di Sera” su Rete4: «mi garantisce [Sangiuliano, ndr] che questa persona [Boccia, ndr] non ha avuto accesso a nessun documento riservato, particolarmente per quello che riguarda il G7 e soprattutto mi garantisce che neanche un euro degli italiani e dei soldi pubblici è stato speso per questa persona».
Ma quasi in contemporanea, arriva la risposta di Maria Rosaria Boccia, tramite l’attivissimo profilo Instagram, che smentisce di fatto Sangiuliano e Meloni. Prima pubblica due documenti relativi al G7 Cultura. I documenti sono in gran parte oscurati, ma è possibile leggere l’intestazione, relative alla parte “Culture: global public good, global responsibility” e quella relativa alle “sessioni di lavoro”, che sono 4 e che durano un’ora ciascuna. Ma Boccia non si contiene più e in rapida successione pubblica una serie di stories nelle quali rafforza la sua versione: «Io non ho mai pagato nulla. Mi è sempre stato detto che il ministero rimborsava le spese dei consiglieri tant’è che tutti i viaggi sono sempre stati organizzati dal Capo segreteria del ministro» afferma nella prima. In merito alla sua presenza alle riunioni operative afferma: ««Quindi non abbiamo mai fatto riunioni operative? Non abbiamo mai fatto sopralluoghi? Non ci siamo mai scambiati informazioni?». E poi, in merito alla sua nomina, domanda ancora: «Siamo sicuri che la nomina non ci sia mai stata? A me la voce che chiedeva di strappare la nomina sembrava femminile. La riascoltiamo insieme?».
Sembrerebbe dunque che l’influencer alludesse al fatto di essere in possesso di audio che possano in qualche modo provare ciò che sostiene. E parrebbe quindi che ci attendono nuove puntate della soap opera di fine estate del Ministero della Cultura.
Politica
Valditara non si scusa: «mie parole strumentalizzate»
Il ministro non ritratta la figura barbina rimediata in occasione della visita di Giulio Cecchettin alle Camere: «Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati».
«Sono state strumentalizzate alcune mie affermazioni». Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara non ritira le sue parole sul legame tra violenza sulle donne e immigrazione illegale, ma precisa che sono state «strumentalizzate». «Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati» ha affermato al Salone dello Studente di Campus a Roma.
Un paio di giorni fa, avevano suscitato polemiche ed indignazione le sue parole a proposito dell’ «incremento dei fenomeni di violenza sessuale», che sarebbe riconducibile anche «a forme di marginalità e devianza, in qualche modo discendenti da immigrazione illegale». Non potevano non mancare proteste vibranti, ma Valditara sostiene che le sue parole «sono state strumentalizzate». Le polemiche hanno portato i membri della famiglia Cecchettin, che stavano presentando proprio in quel momento la Fonazione dedicata a Giulia, a prendere, seppur con garbo, le distanze.
Ed oggi il ministro prova a riavvicinarsi: «Raccolgo molto volentieri l’invito ad un confronto con Gino Cecchettin, che ha sempre usato parole molto equilibrate. Credo che il comune scopo che condividiamo, cioè combattere contro ogni forma di violenza sulle donne, ci debba vedere tutti dalla stessa parte».
Ed in merito alle polemiche: «E che cosa ho detto? Ho detto che a queste violenze sessuali contribuisce anche, è importante l’anche, la marginalità e la devianza conseguenti a una immigrazione irregolare. Allora non ho detto che è l’immigrato che è causa di questo, ho detto la marginalità e la devianza».
Politica
Il governo costretto alla “ritirata” in Albania: ridotto il contingente nei Cpr
Il Viminale ha disposto la riduzione del contingente di forze dell’ordine nei centri di permanenza e rimpatrio allestiti in Albania. Si teme che la Corte dei Conti possa contestare un danno erariale e intanto si attende la decisione della corte Europea, che potrebbe definitivamente sotterrare l’operazione.
E’ stata definita «rimodulazione», ma ha tutti i contorni di uno smobilitazione generale. Nonostante le dichiarazioni agguerrite («i giudici non ci fermeranno») ed ingerenze non richieste da parte di futuri consiglieri esteri, il governo difficilmente potrà proseguire la campagna d’Albania: il Viminale ha disposto la riduzione delle forze dell’ordine nei Centri di permanenza e rimpatrio di Shengjin e Gjader.
Una cinquantina gli agenti che dovrebbero fare ritorno in Italia. Dalle inziali 259 unità pensate, nei due centri rimarrà solo il personale strettamente necessario per coprire i turni di vigilanza da sei ore, 170 agenti, anche quando i Cpr sono vuoti, come in questo momento.
E dopo che due navi con a bordo 16 migranti prima ed 8 dopo sono state fatte tornare indietro, ci si chiede se altre ne partiranno mai verso l’atra sponda dell’Adriatico e se la Corte dei Conti avanzerà un’accusa di danno erariale. Mentre continua il braccio di ferro con la magistratura italiana, in seguito alle pronunciazioni dei Tribunali di Roma e Bologna, al Ministero e a Palazzo Chigi rimangono in attesa della sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla designazione di “Paesi Sicuri”. Un sentenza che non è assolutamente scontato possa dare ragione al governo e che potrebbe soppiantare definitivamente il progetto di trasferire in Albania i migranti soccorsi in mare.
Politica
Meloni al sindaco di Bologna Lepore: «non ho visto camicie nere, ma solo quelle blu degli agenti aggrediti»
Duro scambio tra la premier e il primo cittadino felsineo dopo gli scontri durante il corteo di CasaPound, con il sindaco che denuncia una gestione discutibile dell’ordine pubblico e la premier che lamenta doppiogiochismo. Lepore replica a Giorgia Meloni: «non confonda la collaborazione con l’obbedienza. Perché è stato permesso che 300 persone con le svastiche al collo e la camicia nera sventolassero le loro bandiere marciando al passo dell’oca a pochi passi dalla stazione?». Salvini: «le uniche camicie nere rimaste sono sotto alle loro camicie rosse».
Scintille a distanza tra il sindaco di Bologna Massimo Lepore e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo gli scontri avvenuti sabato scorso nel capoluogo emiliano tra forze dell’ordine e la rete di sinistra che protestava contro il corteo di CasaPound. Le frizioni sono state innescate dalle parole del primo cittadino: «Il governo ci ha inviato 300 camicie nere».
«Io di camicie nere non ne ho viste, semmai ho visto quelle blu degli agenti di polizia che sono stati aggrediti dagli antagonisti amici della sinistra». Così Meloni alla manifestazione in favore della candidata del centrodestra alle regionali, Elena Ugolini. La premier, per la delusione dei suoi sostenitori, è intervenuta soltanto in videocollegamento, trattenuta dal protrarsi del vertice con i sindacati CGIL e UIL, che oltretutto non è servito nemmeno ad evitare lo sciopero generale. «Lepore ha una doppia faccia, se io sono una picchiatrice fascista non mi chieda di collaborare» ha detto ancora la premier ai suoi.
La replica del sindaco non si è fatta attendere: «Io di faccia ne ho una sola, guardo ai cittadini bolognesi e chiedo rispetto per la mia città oltraggiata sabato da un corteo di 300 camicie nere. La premier Giorgia Meloni non confonda la collaborazione con l’obbedienza, non possono esserci scambi su questo » ha detto in un’intervista concessa a Repubblica. Lepore precisa: «io non ho dato a Meloni della picchiatrice fascista». E poi incalza: «Chiedo spiegazioni sulla gestione dell’ordine pubblico. Perché è stato permesso che 300 persone con le svastiche al collo e, ribadisco, la camicia nera, sventolassero le loro bandiere marciando al passo dell’oca a pochi passi dalla stazione? Il fatto che sia stato permesso è un oltraggio alla città».
Secondo il sindaco la manifestazione di CasaPound era prevista inizialmente in piazza della Pace, in una zona più periferica vicina allo stadio, ma poi il Ministero dell’Interno avrebbe preso un’altra decisione, diversa da quella pattuita nel comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza. «Il ministero spieghi chi è che ha cambiato la decisione e perché. È doveroso verso la città. E anche perché esattamente un’ora dopo la manifestazione tutto il governo ha iniziato a fare dichiarazioni contro la nostra città. ‘Zecche rosse’, ‘addosso ai centri sociali’, ‘sinistra connivente con i movimenti».
Sulla vicenda è intervenuto a suo modo anche il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che oggi ha fatto visita ai «ragazzi del Reparto mobile della Polizia che sono stati vigliaccamente assaltati dai300 criminali rossi […] figli di papà che erano là a cercare camicie nere non ci sono». La video testimonianza pubblicata sui social conclude con una riflessione tra politica ed armocromia: «le uniche camicie nere rimaste sono sotto alle loro camicie rosse, perché gli unici fascisti rimasti sono quelli dei centri sociali».
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