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Dopo le polemiche, Piantedosi tira dritto: «chi scappa non si fidi degli scafisti»

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Ieri una dichiarazione in tema migranti del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (che ha affermato: «La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo le vita dei propri figli») ha scatenato molte polemiche e le proteste indignate dell’opposizione, che parlavano di scarsa umanità. Il ministro oggi tira dritto e corregge il tiro, ma solo lievemente: «chi scappa da una guerra non deve fidarsi di scafisti privi di scrupoli».

Nemmeno Matteo Salvini prima del colpo di sole del Papeete, in piena sbornia elettorale, si è mai spinto a tanto. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, durante una conferenza stampa che aveva per oggetto di discussione il tragico nubifragio avvenuto di fronte alle coste calabresi, in seguito al quale si teme che siano morti oltre cento migranti, ha pronunciato una frase che ha suscitato tantissime polemiche: «La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo le vita dei propri figli». Tradotto maccheronicamente, sarebbe colpa di chi muore e fa morire: la responsabilità degli annegamenti andrebbe imputata in primis a chi ha deciso di partire.

Una linea che nessuno mai ha espresso a voce alta prima. Le responsabilità delle tragedie nel Mediterraneo sono state imputate di volta in volta a diversi fattori e diversi responsabili: gli scafisti, i governi dei Paesi che si affacciano sull’altra sponda del mare, le politiche europee, la scarsa organizzazione, o cooperazione, dei soggetti coinvolti ed altro ancora. Ma dire che la colpa dei nubifragi è di chi ha deciso di imbarcarsi, e magari portare con sé la propria famiglia, non era ancora stato detto.

Una tesi che ha immediatamente fatto sollevare un’ondata di polemiche, secondo le quali il ministro ha dimostrato scarsa umanità nei confronti dei morti in questo ed altri nubifragi. Una ricostruzione contro la quale però si scaglia lo stesso Piantedosi, che parla di «strumentalizzazioni politiche». In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro oggi ha ribadito: «Io penso che il messaggio debba essere chiaro: chi scappa da una guerra non deve affidarsi a scafisti senza scrupoli, devono essere politiche responsabili e solidali degli Stati ad offrire la via di uscita al loro dramma. Intendiamo fare il possibile per fermare le partenze ed evitare altre tragedie». Il ministro poi spiega: «ci siamo mossi sin dal nostro insediamento intensificando i corridoi umanitari con numeri (617 persone) che mai si erano registrati in un così breve lasso di tempo. In soli due mesi abbiamo anche approvato il decreto flussi che consentirà l’ingresso regolare di 83.000 persone».

Una posizione sulla quale si attesta anche Giorgia Meloni, che a caldo ha commentato «diciamo da sempre che bisogna fermare le partenze». E in merito alle polemiche relative al nuovo regolamento al quale devono sottostare le navi delle associazioni umanitarie impegnate nel recupero dei migranti nel Mediterraneo, è ancora Piatendosi a rispondere, smentendo qualsiasi ipotesi di correlazione con la tragedia appena consumatasi: «La nuova legge non prevede alcun divieto di presenza sugli scenari o di interventi di recupero, li abbiamo semplicemente assoggettati a un quadro normativo anche di rilievo internazionale».

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La Russa: «i partigiani in via Rasella non uccisero nazisti, ma una banda musicale di semi-pensionati altoatesini»

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Nuove polemiche e accuse di nostalgie del ventennio investono il presidente del Senato Ignazio La Russa, che oggi ha affermato che i partigiani in via Rasella non uccisero nazisti, ma «una banda musicale di semi pensionati altoatesini».

Più Giorgia Meloni fa le capriole per smentire legami con matrici fascisti, senza troppo successo, e più Ignazio La Russa, che ora è la seconda carica dello Stato, sembra impegnarsi nella direzione opposta. Dopo le polemiche sui busti del Duce, sulle mancate condanne al fascismo, sui figli gay, sulla celebrazione dell’anniversario della nascita dell’Msi e sul testo di commemorazione delle vittime delle Fosse Ardeatine, oggi scoppia una nuova grana, legata a quella precedente: l’attentato partigiano in via Rasella a Roma, in seguito al quale ci fu la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Secondo il presidente del Senato La Russa, intervistato da Libero, in via Rasella i partigiani non uccisero soldati nazisti, ma «una banda musicale di semi pensionati altoatesini». Non italiani, bensì «mezzi tedeschi e mezzi italiani, non si capiva bene in quel tempo». Per la seconda carica dello Stato, l’episodio fu una pagina «tutt’altro che nobile» della Resistenza. Ad aiutare il presidente del Senato a formulare questa ricostruzione storica, il direttore Pietro Senaldi.

Di determinati episodi del Novecento, sarà pur aperto ancora il dibattito storico relativo a cause e contesti, ma i fatti non sono molto interpretabili. Il 23 marzo del ’44 alcuni gappisti fecero detonare un ordigno al passaggio di una colonna nazista. 33 soldati tedeschi e 2 civili rimasero uccisi. Nel fuoco di rappresaglia caddero altre 4 persone. Qualche giorno dopo, la pagina nera delle Fosse Ardeatine, in cui non morirono solo italiani e quelli che furono scelti erano persone contrarie ai regimi del nazifascismo.

Ora, questo episodio è ancora discusso e fonte di dibattito storico appunto, ma la ricostruzione di Ignazio La Russa appare un po’ forzata. Indipendentemente dalla discussione di storiografia però, esprimere una posizione simile spiana la strada ad accese polemiche di carattere politico. Sono passati solo pochi mesi da quando a Russa presiede il Senato, eppure sono già piovute diverse critiche, in diversi momenti, ma con una medesima matrice: il fascismo, verso il quale La Russa proprio non riesce ad esprimere parole di condanna.

Immediatamente si è levato un muro di biasimo da parte delle opposizioni. Schlein parla di «parole inaccettabili e indecenti», Boccia chiede «rispetto alla storia di chi ha fondato la Repubblica», mentre il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo sostiene che si tratti: «dell’ennesimo, gravissimo strappo teso ad assolvere il fascismo e delegittimare la Resistenza».

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Papa Francesco ricoverato al Gemelli per un’infezione respiratoria: notte serena

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La Santa Sede non ha ancora diffuso nuove comunicazioni sulle condizioni di papa Francesco, ricoverato al Gemelli, che avrebbe però trascorso una notte tranquilla. Annullati molti impegni per il Pontefice comprese le udienze di giovedì e venerdì. Molta apprensione da parte del Vaticano per il suo stato di salute e per una possibile Pasqua senza la sua presenza nei riti sacri.

È trascorsa la prima notte per il Pontefice al policlinico Gemelli di Roma. Papa Francesco si trova ricoverato per un’infezione respiratoria. Il direttore della sala stampa vaticana, Matteo Bruni nella serata di ieri ha comunicato che «nei giorni scorsi papa Francesco ha lamentato alcune difficoltà respiratorie e questo pomeriggio si è recato presso il Policlinico A. Gemelli per effettuare alcuni controlli medici. L’esito degli stessi ha evidenziato un’infezione respiratoria (escluso il Covid19) che richiederà alcuni giorni di opportuna terapia medica ospedaliera». «Papa Francesco è toccato dai tanti messaggi ricevuti ed esprime la propria gratitudine per la vicinanza e la preghiera».

Durante l’udienza generale il Santo Padre era molto sereno e non sembrava accusare gravi malesseri, tranne che per la sua solita difficoltà di deambulazione per il dolore al ginocchio. È apparso molto affaticato solo nel momento in cui è stato aiutato ad alzarsi dalla sua carrozzina per salire sulla papamobile per tornare nei suoi appartamenti a Santa Marta, dove dopo poco tempo ha avuto il malore.

Tale notizia ha immediatamente fatto il giro dei media internazionali attraverso un rimbalzo di ipotesi sulle cause del ricovero e sulle sue reali condizioni e pericoli nascosti. Infatti fin da subito ciò che era stato definito dalla Santa Sede nel suo bollettino come «controlli precedentemente programmati» sono risultati essere un tentativo di non creare eccessivi allarmismi, poiché di programmato c’era poco quanto niente.

A seguito di ciò sono state annullate tutte le udienze di oggi e venerdì, inoltre «si è fatto spazio nell’agenda perché i controlli possano proseguire per il tempo eventualmente necessario». Già nel tardo pomeriggio di ieri si è appreso dalle fonti mediche l’esito negativo della tac toracica, con grande sollievo dell’intero entourage), mentre sarebbe sotto stretto controllo la saturazione dell’ossigeno nel sangue. Sarebbero stati scongiurato problemi cardiaci. Al momento, secondo le dichiarazioni dei medici la situazione non desterebbe preoccupazione.

Avvicinandosi la Settimana Santa con tutti gli impegni pastorali molto faticosi, il Vaticano avrebbe già pensato a un progetto alternativo per le celebrazioni.

La Conferenza episcopale italiana ha reso noto un comunicato dove «nell’augurare al Santo Padre una rapida ripresa, la Presidenza affida al Signore, ai medici e al personale sanitario che, con professionalità e dedizione, si prendono cura di Lui».

Francesca Pia Lombardi

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Nordio: «Il governo non vuole abolire il reato di tortura, ma serve una modifica»

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Carlo Nordio, ministro di Giustizia, ha affermato in aula che il governo non ha nessuna intenzione di abolire il reato di tortura, anche se «un aspetto tecnico deve essere rimodulato». L’onorevole Zan: «preoccupante».

«Posso dire senza se e senza ma che il governo Meloni non ha alcuna intenzione di abrogare il reato di tortura: abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo. Il reato di tortura è un reato odioso e abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo». Il ministro di Giustizia Carlo Nordio sgombra il campo dai dubbi sulle intenzioni del governo in merito al reato di tortura. Poi rilascia un commento che richiama indietro i dubbi: «C’è solo un aspetto tecnico che deve essere rimodulato, perché al momento ci sono carenze tecniche di specificità e tipicità che devono connotare la struttura della norma penale». Tradotto dal politichese, potrebbe subire modifiche.

Una posizione che i dem definiscono «preoccupante» per bocca dell’onorevole Zan che ha affermato: «il ministro dice che il governo non vuole abrogare il reato di tortura, ma apre a modifiche: o sbugiarda la volontà politica del suo stesso partito, o è in malafede».

Il reato di tortura, il cui iter legislativo risale al 2014, prevede punizioni severe per chi causa sofferenze acute, priva o limita la libertà personale, agisce con crudeltà, attua comportamenti inumani o degradanti della dignità delle persone.

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