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Cronaca

Fondazione Open, la Procura di Firenze chiede il rinvio a giudizio per Matteo Renzi e lui denuncia i magistrati

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Fondazione Open, Procura di Firenze chiede il rinvio a giudizio per Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti

Mentre l’inchiesta sulle presunta irregolarità nei finanziamenti alla fondazione Open sta per entrare nel vivo, l’ex premier passa al contrattacco e denuncia i magistrati fiorentini. La Procura di Firenze ha richiesto il rinvio a giudizio per 11 persone, tra cui appunto Renzi, Boschi e Lotti, ma anche gli imprenditori Carrai, Donnini e Toto, e il leader di Italia Viva denuncia i giudici che hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio.

Matteo Renzi ancora sotto i riflettori per questioni legate al denaro, ma questa volta non si tratta solo delle polemiche collegate alla retribuzione delle sue consulenze. L’inchiesta che lo coinvolge, riguardante presunti finanziamenti illeciti alla sua attività politica, mascherati come contributi alla Fondazione Open, è arrivata ad un punto di svolta. La Procura di Firenze ha richiesto il rinvio a giudizio per 11 persone. Tra loro, l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi appunto, l’ex Ministra per le riforme costituzionali e per i rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi, l’ex Ministro per lo sport Luca Lotti e gli imprenditori Marco Carrai, Patrizio Donnini e Alfonso Toto. Renzi, che non ha mai smesso di rigettare le accuse nei suoi confronti, passa al contrattacco, denuncia i giudici Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Antonino Nastasi e commenta: «finalmente inizia il processo nelle aule e non solo sui media».

La decisione del Gup su Renzi, Boschi, Lotti, gli altri soggetti indagati e le 4 società coinvolte dalla vicenda, è attesa per il prossimo 4 aprile. Allora si saprà se si procederà nei confronti dell’ex premier e dei suoi collaboratori più stretti, o meno. Le accuse nei confronti degli indagati sono, a vario titolo: finanziamento illecito ai partiti, traffico di influenze, corruzione, emissione di fatture per operazioni inesistenti, autoriciclaggio.

Le indagini relative ai finanziamenti alla Fondazione Open sono durate 2 anni. Gli inquirenti, dopo intercettazioni, perquisizioni e sequestri, hanno prodotto 90 mila pagine ammesse agli atti. Secondo l’accusa, la Fondazione Open, sulla carta gestita dall’ex Presidente della fondazione Alberto Bianchi, era in realtà controllata direttamente da Matteo Renzi e fungeva da “cassaforte” per la sua attività politica. Sempre secondo le ricostruzioni di chi indaga, tra il 2015 e il 2018 la Fondazione avrebbe incassato finanziamenti per oltre tre milioni e mezzo di euro, che sarebbero poi stati irregolarmente impiegati per attività politiche.

Matteo Renzi fin da quando l’inchiesta ha mosso i primi passi si è sempre dichiarato innocente e ha sostenuto che non sia mai avvenuto nessun atto illecito: «tutto è bonificato e tracciato», ha dichiarato all’indomani della chiusura delle indagini. Oggi, dopo che la Procura di Firenze ha richiesto il rinvio a giudizio per lui e per altre 10 persone, Renzi ha deciso di presentare denuncia alla Procura di Genova, che ha la competenza nei casi riguardanti i colleghi fiorentini, «per violazione dell’articolo 68 Costituzione, della legge 140/2003 e dell’articolo 323 del codice penale» contro gli stessi magistrati che hanno firmato la richiesta, colpevoli a suo dire di abuso di ufficio.

«Un atto scontato e ampiamente atteso – afferma una nota diramata dal suo staff – che arriva ad anni di distanza dai sequestri del novembre 2019 poi giudicati illegittimi dalla Corte di cassazione. I cittadini potranno adesso rendersi conto di quanto sia fragile la contestazione dell’accusa e di quanto siano scandalosi i metodi utilizzati dalla procura di Firenze».

La nota poi prosegue facendo un excursus delle vicende che hanno coinvolto i magistrati in questione: «il procuratore Creazzo [è stato] sanzionato per molestie sessuali dal Csm, il procuratore aggiunto Turco volle l’arresto dei genitori di Renzi poi annullato dal Tribunale della Libertà e il procuratore Nastasi [è stato] accusato da un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri di aver inquinato la scena criminis nell’ambito della morte del dirigente Mps David Rossi. Questi sono gli accusatori».

Cronaca

Giornalista trovata morta a Fasano, si indaga per isitigazione al suicidio

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Patrizia Nettis è stata istigata a compiere l’estremo gesto? E’ quanto si chiedono gli inquirenti che indagano per istigazione al suicidio relativamente alla morte della giornalista trovata morta nella sua casa di Fasano nel giugno scorso.

A illuminare il filone di indagine per istigazione al suicidio sulla morte di Patrizia Nettis, la giornalista trovata morta nella sua casa il 29 giugno, alcuni messaggini trovati sui cellulari degli uomini che la donna ha incontrato la sera precedente al ritrovamento del suo corpo. Si tratta di due persone con le quali ha avuto relazioni sentimentali, in momenti diversi. Prima un noto politico locale, poi un imprenditore. Quest’ultimo particolarmente risentito dal fatto che la vittima fosse ancora legata sentimentalmente all’altro.

Proprio alcuni messaggi che si sono scambiati i due dopo l’incontro chiarificatore, ha fatto ipotizzare agli investigatori che Patrizia Nettis possa essere stata spinta a porre fine alla sua vita. L’imprenditore promette che si impegnerà per distruggere la reputazione di Patrizia, che viene definita «cosa» dal momento che «non merita di essere definita donna». «Farò di tutto per infangarla, so già come muovermi, stavolta avrà una punizione esemplare. Questa è pericolosa, io farò in modo di farle attorno terra bruciata, tanto per iniziare».

Dopo l’incontro a tre, Patrizia ha telefonato ad entrambi nel corso della stessa notte. Molte chiamate non avrebbero ricevuto risposta. Un testimone ha parlato anche della voce di un uomo proveniente dalla casa della giornalista quella notte: «basta con queste sceneggiate» avrebbe urlato. Il testimone ha raccontato anche di aver udito il rumore del portone sbattere. Poi, nulla più fino a quando un amico, preoccupato, si è fatto aprire la porta di casa dalla colf.

Al momento nessuno è stato iscritto al registro degli indagati per la morte della giornalista, sul cui corpo non è ancora stata effettuata l’autopsia.

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Cronaca

I genitori di Filippo Turetta non hanno accettato l’incontro in carcere

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Il pubblico ministero aveva dato il proprio benestare, ma il legale della famiglia ha spiegato che l’incontro in carcere slitterà e che servirà supporto psicologico sia al ragazzo che ai genitori.

Slitta l’incontro tra Filippo Turetta ed i suoi genitori nel carcere di Verona, dove si trova rinchiuso per l’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Il pm aveva dato il via libera alla richiesta avanzata dal ragazzo, ma i genitori di Filippo Turetta hanno deciso di rinviare l’incontro in carcere. Il legale del giovane ha reso noto che per l’incontro sarà necessario un supporto psicologico sia per il ragazzo che per i suoi genitori.

Ieri, all’interrogatorio di garanzia, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere, ma ha rilasciato alcune dichiarazioni spontanee con le quali ha sostanzialmente ribadito quello che aveva già confessato alle autorità tedesche. Avrebbe dunque ammesso l’omicidio e si sarebbe detto «affranto» per la tragedia: «non voglio sottrarmi alle mie responsabilità. Voglio pagare quello che sarà giusto per aver ucciso la mia ex fidanzata».

Al momento sembra improbabile che verrà richiesta una perizia psichiatrica nei suoi confronti, anche perché difficilmente verrebbe accettata in questa fase un’istanza della difesa per valutare se Turetta fosse capace o meno di intendere e volere al momento dei fatti. Non è escluso che possa però essere richiesta più avanti.

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La lettera dal carcere del trapper Shiva al figlio appena nato: «ho imparato la lezione»

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arrestato rapper shiva

Il Tribunale del riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai legali del trapper arrestato lo scorso 26 ottobre per tentato omicidio, dopo una sparatoria.

«Non poterti ancora vedere è la peggior condanna e la peggiore lezione che potessi ricevere. Non mi perdonerò mai di questa assenza, ma sarà un motivo in più per rimediare con tutto l’amore che ho». Così conclude la lettera che il trapper Shiva, nome d’arte di Andrea Arrigoni, ha dedicato al figlio appena nato dal carcere di San Vittore dove si trova rinchiuso dal 26 ottobre per tentato omicidio.

La lettera è stata scritta nella «cella 12» del carcere di San Vittore e pubblicata dallo staff di Shiva sui suoi canali social. Una lettera scritta in stampatello, con qualche cancellatura e firmata semplicemente Andrea. «Oggi è il giorno più bello della mia vita, ma allo stesso tempo il più triste. È nato mio figlio, ma non mi è stato permesso essere presente al momento della sua nascita. Non pensavo mai di dover scrivere questa lettera, dovevi nascere due settimane fa e so che mi hai aspettato tutto questo tempo, fino all’ultimo ho sperato di esserci ma le cose non sono andate come previsto. Ho scoperto della tua nascita dei fuochi d’artificio che hanno fatto per te sapendo così che oggi, 25 novembre 2023, è diventato il giorno più importante della mia vita in mezzo a tutto questo caos e tu sei la mia benedizione».

Shiva si trova in carcere per aver sparato nel luglio scorso a due persone, due lottatori di Mma ritenuti membri della “crew rivale” capeggiata da Rondo da Sosa. Tra i due nei mesi precedenti si sono verificati diversi screzi, conditi da dissing (canzoni dai contenuti esplicitamente offensivi, ndr) scambio reciproco di insulti, ma anche aggressioni. Fino all’episodio del 12 luglio scorso, quando il trapper sparò due colpi di pistola, all’esterno della sua casa discografica.

Mentre era già rinchiuso nel carcere di San Vittore, Shiva è stato raggiunto da un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere, per una rissa avvenuta a San Benedetto del Tronto a settembre. In quell’occasione vennero arrestate altre 4 persone, poi finite ai domiciliari, vicine al trapper milanese. In base alle accuse, avrebbero partecipato ad una rissa con alcuni ragazzi del posto, armati di coltello. In tre rimasero feriti.

La crew di Shiva poi sarebbe coinvolta anche in un altro episodio di violenza, verificatosi a giugno, a Perugia, in concomitanza con il Nature Musci Festival, al quale ha preso parte anche il trapper milanese. In quella circostanza, le persone nella cerchia del cantante avrebbero aggredito e rapinato uno degli organizzatori del concerto, dopo averlo trascinato all’esterno dell’albergo nel quale si trovava. La vittima dell’aggressione oltre ad essere stata colpita, avrebbe dovuto consegnare loro i contanti che aveva con sé, 150 euro, ed il telefono cellulare. Non contenti, gli aggressori gli avrebbero tolto anche una scarpa, perché convinti che nascondesse altro denaro. Solo l’intervento del personale dell’albergo avrebbe posto fine all’aggressione e la vittima avrebbe riportato diverse lesioni, comprese alcuni tagli di striscio procurati da un coltello.

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