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La Carfagna con Calenda, Di Maio con Tabacci: al centro si manovra per trovare un appoggio

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Montecitorio

Mara Carfagna formalizza oggi il suo passaggio ad Azione di Carlo Calenda, Luigi Di Maio e Bruno Tabacci vicini all’accordo per formare una lista in appoggio al centrosinistra, Matteo Renzi da solo. Partiti e politici di centro, vecchi e nuovi, sono al lavoro per capire con chi accordarsi.

Non sembrerebbe essere durato tanto il periodo lontano dalla politica di Mara Carfagna dopo il suo addio da Forza Italia, a giudicare dal fatto che oggi formalizzerà l’intesa raggiunta con Carlo Calenda e il suo passaggio ad Azione. Ma non si tratta dell’unico ribaltone che sta avvenendo al centro, dove politici e partiti sono tutti al lavoro per stabilire intese e alleanze, per assicurarsi un posto nel prossimo parlamento. E per due new entry centriste, Carfagna e Di Maio, una fuoriuscita: Giovanni Toti torna col centrodestra. L’ex grillino e vicepremier invece sta per sancire un’intesa col centralissimo Tabacci. L’unico che sembra fermo al momento, ma non per sua scelta, è Matteo Renzi, che non sembra in grado di trovare sponde e che dovrà probabilmente correre da solo. Probabilmente per un’ultima volta.

In politica, la logica e l’aritmetica non contano. Se si sommano le proiezioni dei consensi di due forze politiche lontane tra loro, il risultato dell’addizione non sempre è maggiore degli addendi. In breve, se due partiti con basi elettorali diverse si uniscono solo per aumentare i consensi, non è detto che i loro elettori aumentino, anzi, c’è il rischio che calino. E con questo paradigma dell’assurdo che stanno facendo i conti i partiti e le forze politiche del centro.

Diversi personaggi, diverse formazioni, un unico comun denominatore: da soli non vanno da nessuna parte e sono pochi quelli che raggiungerebbero la soglia di sbarramento, ottenendo almeno un seggio nel prossimo Parlamento. E se si mettessero tutti insieme appassionatamente, senza soluzione di continuità, i loro elettori potrebbero dirottare il voto verso altri lidi, perché insoddisfatti da questo o quel politico. Un bel dilemma visto che ci sono solo un paio di mesi per accasarsi, non solo per queste formazioni, ma anche per quelle all’esterno.

Enrico Letta ha visto naufragare il suo progetto di campo largo, prima ancora che venisse varato. Il centro adesso è un campo minato, in cui non solo chi vi si trova, o vi si è ritrovato, deve fare bene i calcoli e decidere con chi trovare un’intesa. L’idea di mettere insieme tutti i pezzi in una coalizione sgangherata e divisa, non è soltanto poco raccomandabile, ma è proprio impraticabile.

E così in questi giorni, al centro si susseguono le scosse di assestamento dopo il terremoto provocato dal voto di fiducia al Dl Aiuti. Mara Carfagna, che si è unita alla schiera di coloro che hanno lasciato Forza Italia, ha reso noto che oggi formalizzerà il passaggio ad Azione di Carlo Calenda, il quale si è offerto alla nazione, con l’umiltà che lo contraddistingue, come prossimo premier. Luigi Di Maio invece, secondo quanto diramato da alcune indiscrezioni di stampa, è a un passo dall’accordo con Bruno Tabacci. Insieme sono pronti a lanciare una lista che dovrebbe appoggiare il centrosinistra e trovare l’intesa con il Pd. Se la Carfagna e Di Maio entrano per la prima volta nel centro, Giovanni Toti invece, dopo mesi passati a flirtare con Calenda, Renzi e i dem, volge di nuovo lo sguardo a destra e rientra nello schieramento da cui era uscito, con buona pace di Forza Italia, che deve celare il suo malcontento in nome dei collegi uninominali liguri. L’unico che al momento sembra essere stato scaricato da tutti, fuori dai calcoli dei partiti e costretto a correre da solo verso una quasi impossibile elezione è Matteo Renzi, ma mai dire mai quando si tratta delle manovre dell’ex rottamatore.

Una volta che finalmente saranno ultimati gli schieramenti, si chiuderà il parla-mercato e saranno completati anche gli ultimi cambi di casacca, si potrà dunque capire meglio la composizione delle coalizioni alle elezioni di settembre. L’impressione è che sarà una sfida a due tra destra e sinistra, con la prima in clamoroso vantaggio e con il Movimento 5 Stelle a fungere da terzo polo. Una volta chiusi i seggi, in base alla composizione del Parlamento, partiranno discussioni, veti reciproci, proposte, accordi e accordicchi per discutere del governo che verrà.

La Meloni parte favorita. Ha ottenuto la premiership del centrodestra e può contare sulla base elettorale più consistente. Letta dal canto suo sta riuscendo a polarizzare lo scontro elettorale in una corsa a due della serie o lei o me. Una sorta di ritorno al bipolarismo perfetto, con due contendenti, supportati, e sopportati, da personaggi di contorno che, indipendentemente dalla loro forza elettorale, devono fungere da spalla per il candidato , o la candidata, premier.

Il gioco fa comodo ad entrambi: la leader di Fratelli d’Italia legittima sempre di più la propria posizione di forza nel centrodestra, grazie all’indiretto endorsement del suo oppositore. Il segretario dem invece, si presenta come l’unica alternativa ad un discorso che sembra già scritto: chi non vuole la Meloni premier, deve giocoforza votare per me per esprimere un voto utile. La strategia del “non voto” a destra, di cui si parla ormai da giorni. E al centro? Al centro c’è una miriade di partiti e partitini, vecchie glorie, esclusi eccellenti e personaggi in cerca di autore, che proveranno ad accasarsi in qualche modo in Parlamento per poi far valere il proprio peso specifico. Sui piatti della bilancia politica, ad urne chiuse, un seggio vale più di 10 punti percentuali.

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Giovanni Toti ha rassegnato le dimissioni da presidente di Regione Liguria

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giovanni toti arrestato

Dopo ottanta giorni, l’oramai ex governatore ligure ha mollato la presa. Con le dimissioni, Giovani Toti chiederà la revoca dei domiciliari, mentre sarebbe in arrivo la notifica di conclusione delle indagini e con essa il rinvio a giudizio. Già partita la campagna elettorale, si staglia all’orizzonte la sfida Orlando-Rixi. Al voto ad ottobre?

Giovanni Toti ha rassegnato le dimissioni da presidente di Regione Liguria, dopo ottanta giorni di arresti domiciliari. L’ex governatore è accusato di corruzione, falso, abuso di ufficio e finanziamento illecito. Toti potrebbe così far nuovamente richiesta di revoca degli arresti domiciliari.

Le indagini sarebbero alle battute conclusive. Mentre in Procura sfilano gli ultimi testimoni, sarebbero quasi concluse anche le analisi sui telefoni e sui dispositivi sequestrai nei mesi scorsi. Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio.

Sull’ex presidente ligure, grava il rischio di  processo immediato custodiale, senza passare dall’udienza preliminare. I pubblici ministeri Luca Monteverde e Federico Manotti potrebbero disporlo da martedì 30 luglio, quando scadranno i termini per presentare ricorso al tribunale del riesame contro i domiciliari. Tra i presupposti per richiedere un processo immediato però, vi è proprio quello di essere sottoposti a custodia cautelare. Con le dimissioni cade di fatto il pericolo di reiterazione del reato e dunque l’istanza di revoca dei domiciliari, già avanzata e respinta in due occasioni, non dovrebbe incontrare grossi ostacoli. Rimesso in libertà, Toti potrebbe disinnescare dunque il pericolo di giudizio immediato.

Nel frattempo, si è già aperta la partita per la sua successione. Il toto-nomi ha già indicato i probabili sfidanti: Andrea Orlando del Partito Democratico ed Edoardo Rixi della Lega, vice di Salvini ai Trasporti. La lista dell’ex governatore ha ratificato il nuovo nome : Cambiare – Con Giovanni Toti, senza la parola presidente. I consiglieri hanno spiegato che in questo modo, in caso di elezioni, non dovranno raccogliere di nuovo le firme. Toti non sarebbe intenzionato a candidarsi in prima persona, come suggerirebbe la rimozione della parola presidente dal nome della lista. La tornata elettorale sarà anticipata tra ottobre e novembre, forse accorpata con le urne in Emilia-Romagna e Umbria.

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L’Italia si riarma: spesa militare sale a 34 miliardi di euro

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Oggi è stato approvato in Commissione Difesa al Senato l’ultimo dei 27 programmi di acquisto presentati da inizio legislatura. Tra i nuovi armamenti in arrivo, 24 caccia Eurofighter, 272 carri armati tedeschi e 890 missili israeliani. La spesa militare in Italia sfiora i 35 miliardi di euro.

Caccia Eurofighter, carri armati, missile e bombe per gli F-35, manche fregate, sottomarini e ammodernamenti per il comparto navale. Questo il contenuto dell’ultimo programma di acquisto approvato in Commissione Difesa al Senato. Con questo, sale a 27 il numero di pacchetti approvati da inizio legislatura. La spesa militare in Italia sale dunque a 34,6 miliardi di euro, cifra che non raggiunge il famigerato 2% del Pil, ma che dimostra un evidente incremento dei fondi: in precedenza si aggirava sui 25 miliardi.

Il voto di oggi ha trovato il solo parere contrario del Movimento 5 Stelle. Sono proprio i capogruppo nelle commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama Marco Pellegrini e Bruno Marton a riassumere gli impegni stipulati oggi: «La Difesa incassa così l’ok definitivo ad altri 24 caccia Eurofighter Typhoon (7,5 miliardi, 280 milioni di spesa per quest’anno e il prossimo) – un lotto che in passato era stato tagliato a favore del programma F-35 e che oggi viene invece riesumato in aggiunta a quelli, e a migliaia di missili e bombe della Lockheed Martin (700 milioni, 130 la spesa 2024-2025) per armare proprio i famigerati aerei americani. Semaforo verde anche per l’ammodernamento di due fregate classe Doria (240 milioni) – che arriva subito dopo l’ok all’acquisto di due nuove fregate Fremm che non erano previste dal programma originale di 10 navi – e per l’acquisto di una nave (70 milioni) per il monitoraggio delle infrastrutture sottomarine energetiche e informatiche e per la bonifica dei fondali da ordigni inesplosi, unico programma a cui non ci siamo opposti».

Nel 2010 infatti, quando il ministro della Difesa era l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa, l’Italia abbandonò il progetto Eurofighter per sposare quello che vedeva come protagonisti gli ormai celeberrimi F-35. Una mossa che provocò malumori anche nel suo fronte, dal momento che comportò un aumento delle spese belliche. Oggi invece si è deciso che gli aerei a decollo verticale resteranno alla Marina, mentre i caccia Eurofighter saranno assegnati all’aeronautica.

La lista della spesa bellica comprende anche 21 nuove batterie missilistiche semoventi a lunga gittata Himars, dell’americana Lockheed Martin, per 960 milioni e, per rimpiazzare le armi cedute a Kiev, 12 lanciatori Stinger e 890 missili Spike prodotti dalla israeliana Rafael. La Marina, tra le altre cose, acquista due nuove fregate Fremm, prodotte da Fincantieri per quasi due miliardi di euro e due sottomarini, per un miliardo e 3. Il totale di tutto l’impegno di spesa è 34,6 miliardi di euro, di cui mezzo miliardo già quest’anno.

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La soluzione di Delmastro per le carceri affollate: «stranieri a casa loro»

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Intervistato da Repubblica, il Sottosegretario alla Giustizia Delmastro offre la sua soluzione per allentare la pressione sulle carceri italiane: rimandare i detenuti stranieri nei Paesi di provenienza.

I penitenziari italiani vivono una situazione di emergenza cronica, tra celle sovraffollate, carenza di personale e strutture fatiscenti. Ma il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove ha avuto un’idea per aiutare le carceri: rimandare i detenuti stranieri nei rispettivi Paesi di provenienza. «Un terzo dei detenuti è straniera e costa tra i 137 e i 150 euro al giorno. Basta moltiplicare 19.213 detenuti stranieri per 365 giorni e abbiamo trovato i fondi per costruire carceri, assumere agenti e personale».

Secondo Delmastro bisogna «recuperare altri posti per umanizzare la pena. Tant’è che abbiamo sbloccato 166 milioni per l’edilizia penitenziaria incredibilmente bloccati, più 84 col Pnrr, recuperando 6.754 posti sui 10mila mancanti». Durante l’intervista il sottosegretario smentisce di aver detto di volere che i detenuti marciscano in galera: «No, voglio che la espiino perché guardo alle vittime e ai cittadini che non devono vivere nell’insicurezza».

A proposito del tema dei bambini detenuti insieme alle madri afferma: «abbiamo solo detto che il rinvio della pena non è più obbligatorio. Il giudice valuterà la pericolosità sociale. Nessun giudice dotato di senno la sbatte in galera col bimbo di un anno. Diverso è il caso di borseggiatrici seriali che non devono più confidare nell’impunità grazie alla maternità».

Infine, una battuta sul Gio, che in molti hanno definito la squadra di picchiatori anti-rivolte: «Non sono mai stato con le “guardie”, ma sempre al fianco degli agenti che con il Gio daranno un supporto importante per mantenere la sicurezza, tant’è che ci sarà anche il negoziatore».

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