Politica
Nuovo incarico per Vannacci, il generale esulta, ma Crosetto frena: «qualcosa bisognava fargliela fare»
Il generale finito alla ribalta per le sue dichiarazioni borderline contenute nel libro autoprodotto “Il mondo al contrario”, è stato nominato capo di Stato maggiore del comando forze operative terrestri. Se Vannacci parla gi incarico prestigioso, il ministro della Difesa glissa: «l’ha venduta come se andasse a fare chissà che cosa, è un compito adatto al suo curriculum, perché qualcosa bisognava fargliela fare in attesa che l’inchiesta vada avanti».
Nemmeno il tempo di cominciare il nuovo lavoro, che al generale Roberto Vannacci è stato notificato l’avvio dell’inchiesta nei suoi confronti, relativamente alla vicenda del libro “Il mondo al contrario”. Proprio oggi ha preso avvio il periodo di affiancamento propedeutico come capo di Stato maggiore de Comando Forze Operative Terrestri, ma, come ha spiegato Crosetto, non si tratta di una promozione.
Vannacci ha ricominciato a lavorare dopo essere stato sollevato dal suo precedente incarico, ma secondo alcune indiscrezioni di stampa, avrebbe già preso un mese di licenza «per motivi famigliari», in attesa che prenda avvio un eventuale processo disciplinare nei suoi confronti.
Il generale ha preso bene la notizia del nuovo incarico: «è una nomina adeguata al mio background. Sarò il capo di tutto lo staff e coadiuverò il comandante in capo». Non è altrettanto entusiasta il ministro della Difesa Guido Crosetto, che sgombera il campo da ogni dubbio: «non è stato né promosso, né retrocesso». Crosetto, che biasima i commenti di chi si sente esperto «di questioni e tematiche militari», specifica: «Il generale non va a fare il capo delle forze operative terrestri, va a fare il capo di Stato maggiore del comando forze operative terrestri, che ha un suo capo, cioè il generale Camporeale, che dipende da un vice, Ristuccia, e da questo vice dipende Vannacci. Lui l’ha venduta come se andasse a fare chissà che cosa, è un compito adatto al suo curriculum, perché qualcosa bisognava fargliela fare in attesa che l’inchiesta vada avanti perché l’inchiesta andrà avanti».
Secondo diversi osservatori, il nuovo incarico di Vannacci avrebbe anche una valenza politica: servirebbe e a tenerlo lontano dalla corsa alle urne per le Europee del 2024. Un’eventuale candidatura è un’idea che potrebbe aver accarezzato non soltanto il generale. Non a caso, tra i primi a complimentarsi col generale è stato Matteo Salvini, leader della Lega, il partito al quale Vannacci è stato accostato.
E per rendere il dibattito ancor più acceso, Vannacci ha pensato bene di dir la sua anche sul tema femminicidio, che però non gli piace «chiamarlo così. Quindi l’assassinio di un tabacchino lo chiameremmo commercianticidio?». Per Vannacci non bisogno distinguere per genere le vittime di un delitto, perché altrimenti si violerebbe «il principio di applicazione universale della legge».
Politica
Scontro in maggioranza sul canone Rai: occhiataccia di Meloni a Tajani
Dopo che Forza Italia ha votato contro la proposta leghista di abbassare il canone Rai, il carroccio si è vendicato affossando un emendamento azzurro in materia fiscale. Dalle opposizioni si sgolano ad annunciare un’imminente crisi di maggioranza, ma la premier, pur non risparmiando un’occhiataccia a favor di telecamera a Tajani, è al lavoro per ricompattare le fila: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai».
Antonio Tajani ha provato a far finta di nulla e a simulare una coesione che nella maggioranza, dopo lo scontro sul canone Rai, di fatto non c’è. La premier invece non ha voluto celare un evidente disappunto. Alla chiusura dei Med Dialogues, la conferenza annuale organizzata dalla Farnesina con l’Ispi per dare slancio all’azione dell’Italia nel mondo, è emersa tutta la tensione che si respira nella maggioranza. Anche perché dopo il botta e risposta di ieri tra Tajani e Salvini ed il voto contrario di oggi degli azzurri al taglio del canone Rai, è arrivata quella che ha tutti i contorni della vendetta leghista: in commissione Bilancio al Senato, un emendamento al decreto fiscale sulla sanità in Calabria proposto dal senatore forzista Claudio Lotito, non è passato a causa dell’astensione della Lega.
Dalle opposizioni già si affrettano ad annunciare una crisi di governo. Meloni sa che in realtà la situazione non è così critica: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai» ha detto ai cronisti, prima di svicolare da un’uscita secondaria in seguito al suo rapido intervento. Sul palco è stata invitata con tutte le carinerie del caso, sia istituzionali che politiche, proprio da Tajani, che molto si è speso in ringraziamenti alla presidente. Certamente più fredda la reazione della premier: occhiataccia, rapida stretta di mano e ringraziamento di circostanza.
Non sarà una crisi di governo, ma qualche grattacapo Meloni lo ha. Al di là dello scontro sul canone Rai, Tajani è infastidito per l’appoggio che la premier sembra aver concesso a Noi Moderati, come se ne volesse fare una stampella centrista nella maggioranza nel caso di frizioni con gli azzurri, ma anche per le ingerenze di Salvini in temi di politica estera. L’ultima è stata quella relativa al mandato d’arresto a Netanyahu: Salvini ha detto che il presidente israeliano sarebbe benvenuto in Italia, smentendo di fatto la linea della Farnesina.
C’è poi un altro punto da tenere in considerazione: chi prenderà le deleghe di Fitto? Tajani le vorrebbe per i suoi, anche alla luce dell’impegno profuso in Europa per far accettare la figura di Fitto come vicepresidente e per portare FdI nella maggioranza Ursula. Il nome che circola in queste ore però, andrebbe in tutt’altra direzione: Elisabetta Belloni, ora a capo del Dis, già segretario generale della Farnesina e con una una consolidata carriera da funzionaria alle spalle. Qualora fosse nominata ministro, è il timore di Tajani, potrebbe offuscare il ministro degli Esteri nei rapporti con le cancellerie europee e spostare gli equilibri della coalizione nei rapporti con l’estero.
Politica
Valditara non si scusa: «mie parole strumentalizzate»
Il ministro non ritratta la figura barbina rimediata in occasione della visita di Giulio Cecchettin alle Camere: «Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati».
«Sono state strumentalizzate alcune mie affermazioni». Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara non ritira le sue parole sul legame tra violenza sulle donne e immigrazione illegale, ma precisa che sono state «strumentalizzate». «Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati» ha affermato al Salone dello Studente di Campus a Roma.
Un paio di giorni fa, avevano suscitato polemiche ed indignazione le sue parole a proposito dell’ «incremento dei fenomeni di violenza sessuale», che sarebbe riconducibile anche «a forme di marginalità e devianza, in qualche modo discendenti da immigrazione illegale». Non potevano non mancare proteste vibranti, ma Valditara sostiene che le sue parole «sono state strumentalizzate». Le polemiche hanno portato i membri della famiglia Cecchettin, che stavano presentando proprio in quel momento la Fonazione dedicata a Giulia, a prendere, seppur con garbo, le distanze.
Ed oggi il ministro prova a riavvicinarsi: «Raccolgo molto volentieri l’invito ad un confronto con Gino Cecchettin, che ha sempre usato parole molto equilibrate. Credo che il comune scopo che condividiamo, cioè combattere contro ogni forma di violenza sulle donne, ci debba vedere tutti dalla stessa parte».
Ed in merito alle polemiche: «E che cosa ho detto? Ho detto che a queste violenze sessuali contribuisce anche, è importante l’anche, la marginalità e la devianza conseguenti a una immigrazione irregolare. Allora non ho detto che è l’immigrato che è causa di questo, ho detto la marginalità e la devianza».
Politica
Il governo costretto alla “ritirata” in Albania: ridotto il contingente nei Cpr
Il Viminale ha disposto la riduzione del contingente di forze dell’ordine nei centri di permanenza e rimpatrio allestiti in Albania. Si teme che la Corte dei Conti possa contestare un danno erariale e intanto si attende la decisione della corte Europea, che potrebbe definitivamente sotterrare l’operazione.
E’ stata definita «rimodulazione», ma ha tutti i contorni di uno smobilitazione generale. Nonostante le dichiarazioni agguerrite («i giudici non ci fermeranno») ed ingerenze non richieste da parte di futuri consiglieri esteri, il governo difficilmente potrà proseguire la campagna d’Albania: il Viminale ha disposto la riduzione delle forze dell’ordine nei Centri di permanenza e rimpatrio di Shengjin e Gjader.
Una cinquantina gli agenti che dovrebbero fare ritorno in Italia. Dalle inziali 259 unità pensate, nei due centri rimarrà solo il personale strettamente necessario per coprire i turni di vigilanza da sei ore, 170 agenti, anche quando i Cpr sono vuoti, come in questo momento.
E dopo che due navi con a bordo 16 migranti prima ed 8 dopo sono state fatte tornare indietro, ci si chiede se altre ne partiranno mai verso l’atra sponda dell’Adriatico e se la Corte dei Conti avanzerà un’accusa di danno erariale. Mentre continua il braccio di ferro con la magistratura italiana, in seguito alle pronunciazioni dei Tribunali di Roma e Bologna, al Ministero e a Palazzo Chigi rimangono in attesa della sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla designazione di “Paesi Sicuri”. Un sentenza che non è assolutamente scontato possa dare ragione al governo e che potrebbe soppiantare definitivamente il progetto di trasferire in Albania i migranti soccorsi in mare.
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