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Salario Minimo: l’UE approva la direttiva

Per Giorgia Meloni si tratta di un’ «arma di distrazione di massa», mentre secondo Brunetta «è contrario alla nostra cultura industriale».

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Commissione Europea approva direttiva su salario minimo nei Paesi UE

Linee guida orientate a «garantire una vita dignitosa dei lavoratori», ma senza alcun tipo di obbligo. Questo emerge dopo una trattativa serratissima sul salario minimo nei Paesi UE, che è andata avanti per tutta la notte in Commissione Europea.

La proposta di adottare il salario minimo nei Paesi UE, presentata dalla Commissione Europea nel 2020, è stata approvata. Il trilogo, ovvero l’accordo tra Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo, è giunto dopo una trattativa serratissima, che è andata avanti per tutta la notte. L’annuncio, via Twitter, è stato dato alle 4 del mattino.

Si conclude quindi un iter durato oltre un anno e mezzo, dopo un’accelerata decisa impressa dalla Francia nelle ultime settimane. A Macron d’altronde, fa comodo presentarsi con questo risultato alle elezioni legislative di domenica prossima.

Va specificato che la direttiva non impone nessun obbligo legislativo ai Paesi Ue, anche perché la Commissione non ha potere di legiferare sulle remunerazioni dei singoli stati. In sostanza, la Commissione Europea riconosce che in Europa vi sono lacune in termini di remunerazione, contrattazioni collettive e protezione dei posti di lavoro, che vanno colmate secondo principi «adeguati ed equi», volti a «garantire una vita dignitosa ai lavoratori e ridurre la povertà lavorativa». La palla dunque passa adesso ai singoli Paesi, che dovranno decidere internamente come e quando adottare la direttiva, che comunque è vincolante nell’obiettivo. I Paesi membri hanno due anni per recepirla.

Ad oggi, il salario minimo è previsto solo in 21 Paesi Ue, con grosse differenze: ad esempio in Bulgaria è stato fissato a 332 euro, mentre in Lussemburgo a 2.256. In Germania recentemente è statao innalzato fino ai 12 euro l’ora. In Italia manca, come in Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia e Cipro .

Non tardano ad arrivare le prime reazione. Se da una parte il Movimento 5 Stelle esulta e la rivendica come una battaglia interna e Possibile sprona ad aderire alla raccolta firme sulla quale insiste da tempo, dall’altra Giorgia Meloni lo bolla come un’arma di distrazione di massa», mentre Renato Brunetta afferma che «il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali».

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Marina Berlusconi nominata Cavaliere del lavoro: «lo dedico a mio padre»

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marina berlusconi cavaliere del lavoro

Oggi a Palazzo del Quirinale si è tenuta la cerimonia di consegne delle onorificenze dell’Ordine al Merito del Lavoro ai 25 Cavalieri del Lavoro nominati dal Capo dello Stato Sergio Mattarella il 2 giugno, tra cui Marina Berlusconi. 

La famiglia Berlusconi può vantare un altro cavaliere del lavoro: Marina, figlia primogenita di Silvio, ha ricevuto la prestigiosa onorificenza oggi, a Palazzo del Quirinale. Tecnicamente però, si tratta della prima della famiglia, dal momento che il padre si autosospese dalla Federazione dei cavalieri del lavoro nel 2014, in seguito alla condanna per frode fiscale. Lei però dedica il premio proprio al genitore: «Dedico questo riconoscimento a mio padre, che nel 1977 ricevette lo stesso titolo. Sono passati più di quarant’anni, ma ricordo come fosse ieri quella giornata a Roma in cui mia madre, io e mio fratello Pier Silvio lo accompagnammo alla cerimonia per questa onorificenza: ero una bambina, e quel momento resterà per sempre nel mio cuore».

«È un onore grandissimo, per il quale desidero davvero esprimere tutta la mia gratitudine al Presidente Mattarella e al Consiglio dell’Ordine al Merito del Lavoro» ha affermato la presidente del  Gruppo Mondadori, Mediaset e Fininvest e neo Cavaliere Marina Berlusconi.

 

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Ranucci anticipa nuove inchieste sul Ministero della Cultura: il governo suda freddo

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perquisizione della Dia nella redazione di Report e a casa dell'inviato Mondani

Sigfrido Ranucci domenica torna in onda con una nuova stagione di Report, ma le sue inchieste già fanno tremare il governo ed in particolare il Ministero della Cultura. Le anticipazioni del conduttore fanno pensare ad almeno due inchieste esplosive.

Prima ospite di Lilli Gruber a “Otto e Mezzo” sul La7, poi da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari ad Un Giorno da Pecora su Rai Radio1, Sigfirdo Ranucci ha rilasciato alcune anticipazioni sulle inchieste della nuova stagione di Report, in onda da domenica sera, che già mettono apprensione a Palazzo Chigi e che dovrebbero avere come focus ancora una volta il Ministero della Cultura. Il conduttore non ha rivelato quali sono i suoi scoop, che dovrebbero essere almeno due, ma ha fornito una serie di indizi.

Hanno a che vedere con il Ministero, ma non con l’ex ministro che proprio a causa di una serie di inchieste giornalistiche ha dovuto lasciare il dicastero: «Sangiuliano non c’entra, anzi a Gennaro mando un saluto. È uno dei pochi che sa cosa è la dignità e si è dimesso anche ingiustamente. È una persona che in Rai può dare ancora molto». Ma allora cosa riguarda? «È un nuovo caso Boccia che potrebbe essere al maschile, non riguarda Boccia, ma come modalità di operazione è un caso simile. Ci sono documenti e chat che farebbero ipotizzare responsabilità legate ad alte cariche di Fratelli d’Italia». Quando i conduttori gli chiedono se questa inchiesta possa portare alle dimissioni dell’appena nominato ministro Giuli, il giornalista risponde sornione: «Gli consiglio di guardare Inter-Juve».

Insomma, Ranucci non si sbilancia, ma c’è già abbastanza materiale per mandare in fibrillazione il governo. Il responsabile comunicazione del governo, Giovanbattista Fazzolari, è impegnato a cercare indizi nelle chat di gruppo. Si tratta forse di informazioni provenienti da Francesco Gilioli, ex capo di gabinetto di Sangiuliano, sostituito da Francesco Spano? O sono legate prorpio al suo successore, nominato da Giuli nonostante le controversie con Pro-Vita e i media di destra? Al momento non è chiaro, ma a quanto pare i vertici Rai hanno già ricevuto richieste di chiarimenti e la pretesa di visionare il servizio prima della messa in onda. Resta da vedere se emergeranno ulteriori sviluppi prima della trasmissione di domenica.

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L’ombra dei licenziamenti su Stellantis, Tavares: «non scarto nulla»

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licenziamenti stellantis

Durante un’intervista al Salone dell’Auto di Parigi, l’amministratore delegato del colosso automobilistico italo-francese non ha escluso la possibilità di licenziamenti negli stabilimenti Stellantis.

«Non scarto nulla». Un non detto ai microfoni di Radio Rtl  che rischia di valere più di mille parole. L’ammissione, o meglio la mancata smentita, da parte di Carlos Tavares, il portoghese amministratore delegato del gruppo italo-francese Stellantis, getta in angoscia centinaia di lavoratori, che temono sempre più per il proprio posto di lavoro. «La salute finanziaria di Stellanti non passa unicamente dalla soppressione di posti di lavoro, ma anche da tante altre cose: immaginazione, intelligenza, innovazione. Che è quello che stiamo facendo» ha aggiunto Tavares, che ha affermato che i licenziamenti in Stellantis non sono «al centro della nostra riflessione strategica».

Parole che arrivano dopo l’audizione in Parlamento di fronte alle commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato della settimana scorsa. In quell’occasione venne chiesto all’ad di illustrare i piani per il futuro del gruppo in Italia e di motivare per quale motivo i livelli di produzione fossero minori rispetto a quelli di altri Paesi nei quali il gruppo è attivo. Stellantis controlla 14 marchi automobilistici ed ha siti produttivi in 29 Paesi.

Le ipotesi di chiusure e licenziamenti hanno cominciato a ventilare con maggiore intensità nei giorni scorsi, in seguito ad un’altra intervista rilasciata dal portoghese, questa volta a Les Echos: «Se i cinesi prendono il 10% delle quote di mercato in Europa al termine della loro offensiva, questo vuol dire che peseranno per 1,5 milioni di auto. Questo rappresenta sette fabbriche di assemblaggio. I costruttori europei dovranno allora sia chiudere, sia trasferirle ai cinesi». E aveva aggiunto: «Chiudere le frontiere ai prodotti cinesi è una trappola: aggireranno le barriere investendo in stabilimenti in Europa. Stabilimenti che verranno in parte finanziati da sovvenzioni statali, nei Paesi a basso costo».

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