Mondo
Barricate in Kosovo: esercito serbo in massima allerta, truppe al confine

Diciottesimo giorno di proteste dei serbi che vivono in Kosovo: blocchi stradali e barricate. Casus belli, gli arresti in seguito alle dimissioni in massa per protestare contro il divieto di circolazione alle targhe serbe, poi sospeso. Pristina invia massicce forze di polizia nel nord e Belgrado schiera le truppe al confine. Esercito serbo in massima allerta e pronto ad intervenire.
L’escalation militare e la ripresa del conflitto tra Serbia e Kosovo sembrano dietro l’angolo. Le tensioni interetniche e nazionalistiche esplose alle fine del secolo scorso in seguito alla dissoluzione della Jugoslavia, culminate con un decennio di guerre, pulizie etniche e crimini contro l’umanità in tutti i Balcani e mai del tutto sopite, ora sembrano in procinto di acuirsi con maggior intensità. In Kosovo la popolazione serba è giunta al diciottesimo giorno di proteste: blocchi stradali, barricate e camion carichi di pietre posizionati di traverso a sbarrare le principali arterie. Le autorità di Prisitina hanno risposto inviando nel nord del Paese massicce forze di polizia. A questo schieramento di agenti, Belgrado ha risposto schierando ingenti truppe al confine con il Kosovo. Il ministro della Difesa serbo Milos Vucevic qualche ora fa ha dichiarato: «Il presidente della Serbia ha ordinato all’esercito serbo di rimanere al massimo livello di prontezza al combattimento, cioè al livello dell’uso della forza armata».

Gli fa eco il vicepremier e ministro degli Esteri Ivica Daci: «Noi siamo per la pace e il dialogo, ma se si arrivasse ad attacchi fisici e all’uccisione di serbi, e se la Kfor [una forza militare Nato con compiti di peacekeeper ndr] non dovesse intervenire, la Serbia sarà costretta a farlo». Daci ha poi perseguito ricordando le «tre linee rosse» che per la Serbia non possono essere superate: la creazione di una Comunità di municipalità serbe in Kosovo, una sorta di riconoscimento giuridico della minoranza serba nel nord Paese; il secco rifiuto di riconoscere l’indipendenza kosovara e di un’eventuale ammissione del Kosovo nell’Onu o in altri importanti accordi internazionali; difesa della sicurezza e dell’incolumità dei serbi del Kosovo.
Il Kosovo, incastonato al centro della penisola balcanica, “circondato” da Serbia a nord e ad est, dalla Macedonia del Nord a sud-est, dall’Albania a sud-ovest e dal Montenegro ad ovest, è abitato da una popolazione a stragrande maggioranza albanese. Nel nord del Paese tuttavia, è presente una nutrita minoranza serba. Dal 2008 il Kosovo si autogoverna in uno stato di riconoscimento limitato: ha proclamato la propria indipendenza, ma la Serbia non l’ha mai riconosciuta. Nemmeno la maggioranza dei Paesi Onu ha accettato il riconoscimento ufficiale (solo 98 Stati membri su 193), così come manca l’unanimità dei Paesi dell’Unione Europea: Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna non hanno riconosciuto l’indipendenza. L’Italia invece lo ha fatto.

Il motivo alla base della ripresa delle tensioni tra Kosovo e Serbia è stato il divieto di circolare ai veicoli con targa serba, imposto da Pristina e poi sospeso. La “crisi delle targhe” è culminata nel novembre scorso con un’ondata di dimissioni in massa da parte di serbi in Kosovo, per protesta. Tra loro centinaia di agenti, giudici e funzionari pubblici, tra cui Dejan Pantic, che è stato arrestato con l’accusa di essere coinvolto in reati di terrorismo e di attentato all’ordine costituzionale per l’assalto agli uffici della locale commissione elettorale e di attacchi a funzionari della polizia kosovara. Poco dopo è toccato a Miljan Adzic e Sladan Trajkovic. Per protestare contro questi arresti, che i manifestanti giudicano illegittimi, i serbi del Kosovo sono scesi per strada. Giorno dopo giorno le proteste e le tensioni sono andate intensificandosi, arrivando ai blocchi stradali e le barricate, l’invio di nuovi agenti da parte del Kosovo e lo schieramento delle truppe al confine da parte della Serbia.
La situazione è andando sempre più degenerando e nel nord del Kosovo si sono verificate almeno due esplosioni ed una sparatoria. Anche Eulex, la missione civile europea in Kosovo che affianca Kfor, è stata presa d’assalto ed una pattuglia ha subito il lancio di un ordigno.
L’episodio on ha provocato vittime o feriti, ma ha suscitato la dura condanna dell’alto rappresentante UE per la politica estera Josep Borrell, che ha affermato: «L’Ue non tollererà attacchi a Eulex in Kosovo o l’uso di atti violenti e criminali nel nord. Le barricate devono essere rimosse immediatamente da gruppi di serbi del Kosovo. La calma deve essere ripristinata. Eulex continuerà a coordinarsi con le autorità del Kosovo e con la Kfor. Tutti gli attori devono evitare l’escalation». Dello stesso avviso la Nato che per bocca della portavoce Oana Lungescu afferma: «Ci uniamo agli Alleati Nato e all’Ue nel condannare fermamente l’attacco con granate stordenti contro una pattuglia di ricognizione di Eulex Kosovo la scorsa notte. Tali attacchi sono inaccettabili e i responsabili devono essere chiamati a risponderne. La nostra missione Kfor rimane estremamente vigile e pienamente in grado di svolgere il suo mandato Onu in Kosovo. Chiediamo a tutte le parti di evitare azioni e retorica provocatorie e di contribuire alla calma e alla stabilità».
La premier serba Ana Brnabic però non fa marcia indietro: ««Bruxelles e i Paesi del Quint, Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia devono provare a capire il perché di tali proteste. E’ interessante vedere come da parte loro non vi siano così tanti appelli e interventi su arresti illegali di serbi o sulla violazione degli accordi di Bruxelles con la polizia kosovara che fa irruzione in Comuni a maggioranza serba nel nord pesantemente armati. Gli attacchi ai serbi sono aumentati del 50% da quando Albin Kurti è arrivato alla guida del governo in Kosovo. Le persone sulle barricate manifestano la loro protesta, e lo fanno pacificamente. Per loro questo è l’unico modo per essere ascoltati, purtroppo sulle barricate. Le barricate non dimostrano solo il loro malcontento e insoddisfazione, ma proteggono anche l’accordo di Bruxelles, che voi avete firmato e la cui attuazione dovrebbe essere garantita dalla Ue. Sono un appello alla pace e insieme un appello alla comunità internazionale ad agire e a cominciare a fare il suo lavoro». In questo contesto dunque l’incidente sembra più che probabile e si teme che un nuovo aperto conflitto in Europa possa scoppiare da un momento all’altro.
Cronaca
Sparatoria nella fabbrica Mercedes in Germania: due morti

Questa mattina nell’impianto della Mercedes di Sindelfingen, nel sudovest della Germania, si è verificata una sparatoria in seguito alla quale sono morte due persone. Fermato il responsabile, sarebbe un dipendente di una ditta esterna.
La situazione è ora sotto controllo nell’impianto della Mercedes di Sindelfingen, secondo quanto dichiarato alla stampa dal portavoce della polizia di Ludwigsburg Yvonne Schachte, dove questa mattina intorno alle 7:45 si è verificata una sparatoria. Un uomo ha aperto il fuoco nella nell’area degli uffici dei capisquadra.
Due uomini sono stati raggiunti dai colpi. Uno è morto subito, l’altro in seguito al disperato ricovero in ospedale, a causa delle ferite subite. L’attentatore è stato subito fermato. Si tratterebbe di un uomo di 53 anni dipendente di una ditta esterna, che si occupa di logistica.
Non sono note ancora le cause che hanno portato alla sparatoria nella fabbrica della Mercedes in Germania.
Mondo
Nuova strage in Serbia: 8 persone uccise in una sparatoria

Belgrado era ancora sotto shock a causa della prima strage in una scuola verificatasi nel Paese, quando, ad una sessantina di chilometri a sud, si è verificata una nuova sparatoria in Serbia, nella quale sono morte otto persone e ferite tredici.
La nuova strage consumatasi in Serbia si è verificata nella città di Mladenovac, sessanta chilometri a sud di Belgrado, dove lo scorso 3 maggio un ragazzino ha aperto il fuoco con un’arma sottratta al padre ed ha ucciso otto compagni ed il custode dell’istituto. Nella sparatoria di ieri sera, sono morte altre otto persone e sono rimaste ferite altre tredici. Il Paese è sconvolto e c’è il timore che possano verificarsi tentativi di emulazione.
Il killer è già stato arrestato. E’ un ragazzo di 21 anni, che dopo una discussione avvenuta a scuola, sarebbe rientrato a casa ed avrebbe imbracciato il fucile con cui ha compiuto la seconda strage avvenuta in Serbia in una settimana, ancora nei dintorni dei una scuola. Avrebbe incominciato a sparare da un veicolo in movimento su due gruppi di persone, poi sarebbe scappato. dopo una caccia all’uomo lanciata su tutto il Paese, il giovane assassino è stato fermato dalla polizia vicino Kragujevac, nella Serbia centrale.
Per le ricerche, la polizia aveva fatto levare in volo droni ed elicotteri. Sette dei tredici feriti versano in gravi condizioni. Tra le vittime vi sarebbe anche un agente di polizia. Il presidente serbo Vucic dopo le due terribili sparatorie verificatesi nel Paese, ha promesso «un disarmo quasi completo» della popolazione civile.
Mondo
Tajani annulla il viaggio in Francia dopo le parole del ministro Darmanin: «Meloni incapace di risolvere problemi migratori»

Ancora frizioni tra il governo italiano e quello d’oltralpe. dopo che il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha affermato durante un trasmissione radiofonica che il governo non è in grado di intervenire sulla questione dei migranti, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha annullato un viaggio in Francia in cui avrebbe incontrato la sua omologa Catherine Colonna: «non è questo lo spirito».
Avrebbero dovuto parlare della gestione dei flussi migratori ed invece proprio sulla questione migranti si è consumato lo strappo tra Italia e Francia che ha portato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ad annullare l’incontro che avrebbe dovuto tenere con l’omologa d’oltralpe Catherine Colonna. «Parole inaccettabili. Non andrò in Francia per il previsto incontro. Non è questo lo spirito con il quale si dovrebbero affrontare sfide europee comuni» ha affermato il vicepremier Tajani su Twitter, spiegando per quale motivo ha annullato il viaggio diplomatico in programma in Francia.
A scatenare una reazione così piccata, le parole del ministro degli Interni francese Gérald Darmanin, secondo il quale «Madame Meloni, capo del governo di estrema destra scelto dagli amici di Marine Le Pen» sarebbe «incapace di risolvere i problemi migratori per i quali è stata eletta».
Oltre a questo il ministro francese ha affermato: «C’è un vizio nell’estrema destra, che è quello di mentire alla popolazione. La verità è che in Tunisia c’è una situazione politica grave e l’Italia non è in grado di gestire questa pressione migratoria». Meloni dal canto suo ha scelto di non replicare direttamente al francese. Al suo posto c ha pensato, con una netta presa di posizione il ministro Tajani.
In seguito alle polemiche la Francia ha cercato di gettare acqua sul fuoco: ««La relazione tra Francia e Italia si basa sul rispetto reciproco, tra i nostri due Paesi e tra i loro dirigenti. Questo è lo spirito del Trattato del Quirinale. È anche in uno spirito di solidarietà che il governo francese desidera lavorare con l’Italia per affrontare la sfida comune che rappresenta il rapido aumento dei flussi migratori. Ho parlato con Antonio Tajani al telefono. Gli ho detto che la relazione tra Italia e Francia è basata sul reciproco rispetto, tra i nostri due Paesi e tra i loro dirigenti. Spero di poter accoglierlo presto a Parigi», ha affermato la ministra Colonna.
Non si tratta della prima frizione tra i due Paesi, da quando si è insediato il primo governo Meloni. Sebbene tra i primi passi della presidente del Consiglio ci sia stato proprio un tentativo di “disgelo”, in seguito i due governo si sono attestati nuovamente su posizioni distanti e spesso relative alla questione dei flussi migratori.
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