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Dov’era finita Elly Schlein? La segretaria dem ricompare nei luoghi dell’alluvione

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elly schelin sui luoghi dell'alluvione in emilia-romagna

Elly Schlein ieri ha visitato i luoghi dell’alluvione in Emilia-Romagna, ma diverse voci all’interno del Pd criticano un’attesa così prolungata.

Il sole è tornato a splendere e in Emilia-Romagna ieri è rispuntata Elly Schlein, dopo tre giorni di silenzio mediatico, per una visita nei luoghi dell’alluvione. Dopo Giorgia Meloni. Anche la presidente del consiglio è arrivata con qualche ritardo, ma se non altro aveva la scusa di trovarsi ad Hiroshima per il G7, dal quale ha oltretutto staccato prima. Qualcuno invece, soprattutto all’interno del Partito Democratico, si aspettava che Elly Schlein, che è stata vicepresidente di Regione ed assessore all’Ambiente al Territorio, percorresse prima la via Emilia.

Come Meloni, anche la Schlein ha optato per il basso profilo: non dare troppo risalto alla visita, senza annunci trionfalistici, per non essere d’intralcio ai soccorsi e per non strumentalizzare la vicenda. Ma se la premier ha ottenuto un buon ritorno d’immagine, apprezzata anche dagli oppositori per via del dialogo instaurato con Bonaccini, la segretaria non può dire altrettanto. Le critiche si levano soprattutto dall’interno. Non ha convinto la mancata presenza nelle ore successive all’alluvione, non ha convinto la scarsa comunicazione, ma soprattutto non hanno convinto le plausibili motivazioni.

Secondo La Stampa, Schelin avrebbe preferito evitare di sovrapporsi ancora una volta a Stefano Bonaccini «introducendo una nota dissonante». Quindi si sarebbe trattato di un ragionamento di convenienza mediatica e calcolo politico, che in molti hanno ritenuto inopportuno.

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Elezioni in Russa, Salvini: «il popolo russo ha scelto, chi vota ha sempre ragione»

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Il vicepremier Matteo Salvini dice la sua in merito alle Elezioni in Russia che hanno visto la conferma di Putin con quasi l’88% dei consensi e non ha dubbi circa la loro trasparenza: «Le lezioni fanno sempre bene, sia a chi le vince sia a chi le perde».

La linea filo-putiniana non gli è valsa un grande successo nemmeno prima dell’invasione d’Ucraina. Durante la prima fase dell’ormai famigerata “operazione speciale” qualcuno gliel’ha pure ribadito. Continuare sulla stessa linea, oltretutto in un momento in cui il partito viaggia ai minimi in termine di consenso, è puro masochismo, eppure Matteo Salvini si è pronunciato a favore delle Elezioni in Russia che hanno visto la conferma del presidente Putin per il suo sesto mandato.

A Salvini piace l’87,7% dei consensi ottenuti dal presidente russo. Un plebiscito che dimostrerebbe il gradimento della nazione. E poca importa se per le cancellerie occidentali si è trattato di lezioni farsa nella quale vi era, praticamente, un solo candidato: «In Russia hanno votato, ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre sempre ragione, le elezioni fanno sempre bene sia quando uno le vince sia quando uno le perde» ha detto stamane Salvini al termine di un comizio a Milano.

Nessun dubbio di legittimità. Non una parola su Navlny e gli altri oppositori politici che nel corso degli anni sono morti o finiti in prigione. Nessun commento sui voti ottenuti nei territori ucraini occupati ed annessi senza riconoscimento internazionale. Nemmeno un accenno alle accuse di brogli, specialmente per quanto riguarda i voti telematici.

Secondo Salvini, le proteste sono senza fondamento e dovrebbero lasciare spazio all’analisi della sconfitta: «Io quando le perdo cerco di capire dove ho sbagliato e come fare meglio la prossima volta. Ci sono state delle elezioni, prendiamo atto del voto dei cittadini russi, sperando che il 2024 sia l’anno della pace».

Giova ricordare che Salvini sta affrontando due momenti di riflessione in questo momento. E se le le previsioni si confermano, il terzo arriverà dopo il voto in Basilicata. Durante questa meditazione potrebbe chiedersi se forse non sarebbe il caso di abbandonare la linea filo-putiniana.

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Europee, Santoro ha presentato la sua lista, Annunziata verso la candidatura col PD

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Entrambi giornalisti di lungo corso, entrambi salernitani, coetanei, in passato hanno collaborato, ma anche avuto accesissime discussioni: ora Michele Santoro e Lucia Annunziata potrebbero competere nello stesso collegio alle Elezioni Europee 2024.

Le Elezioni Europee si fanno show prima ancora di entrare nel vivo. Due affermati giornalisti con una consolidata carriera televisiva alle spalle potrebbero competere nello stesso collegio elettorale alla tornata ormai prossima per rinnovare il Parlamento Europeo. Michele Santoro aveva annunciato di essere al lavoro per comporre una lista già alcuni mesi fa, Lucia Annunziata non ha ancora sciolto le riserve, ma la sua candidatura alle Europee 2024 con il Pd è data ormai per assodata.

Sebbene entrambi abbiano spesso partecipato alle trasmissioni dell’altro, in passato non sono mancati momenti di frizione. Nel 2009 ad esempio, Annunziata lasciò lo studio di AnnoZero dopo che Santoro aveva bollato le accuse di essere filo-palestinese come «fesserie». Nel 2021, durante la pandemia, un altro celebre scontro, su un ring differente, Mezz’Ora in più. L’argomento sono i vaccini. Santoro lamenta l’assenza in Rai di voci critiche. Annunziata replica: «Scusa ma tu adesso non eserciti nel senso che non hai una tua trasmissione e vieni qui a farci notare queste cose? Vuoi darmi lezioni?». Santoro non ha mai digerito l’affondo e non ha risparmiato attacchi quando la giornalista ha annunciato le sue dimissioni.

Adesso potrebbero scontrarsi al collegio Sud alle Elezioni Europee dove Santoro sarà capolista, al pari degli altri collegi, di “Pace, terra, dignità”, così come dovrebbe esserlo Annunziata, tra le fila del Pd. Pare che abbia dato il suo consenso ad Elly Schlein. La segretaria dem non sarà capolista in tutti i collegi: Cecilia Strada dovrebbe esserlo nel Nord Ovest e Annunziata al Sud.

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La Lega rilancia: terzo mandato alle Regionali e abolizione del ballottaggio alle Amministrative

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salvini esulta per la copertura del ponte sullo stretto di messina in manovra di bilancio 20224

La Lega porta in Aula l’emendamento sul terzo mandato dei presidenti di Regione, innescando le critiche delle opposizioni e provocando malumori all’interno della maggioranza.

Nonostante la doppia pesante bocciatura incassata alle ultime tornate elettorali in Sardegna ed in Abruzzo, il carroccio non si rassegna a farsi mettere all’angolo della coalizione, anzi, rilancia, proprio in tema Regionali. Oggi in Aula la Lega ha proposto l’emendamento per il terzo mandato dei presidenti di Regione,  nonostante fosse già stato bocciato in commissione Affari costituzionali del Senato, dopo aver ricevuto anche il parere contrario del governo.

Ma il carroccio non si ferma qui e propone una sostanziale modifica anche nelle Elezioni Comunali: abolire il ballottaggio tra i primi due candidati nei comuni con una popolazione superiore ai 15 mila abitanti se si raggiunge il 40% del quorum, per scegliere chi indosserà la fascia tricolore.

Dalle opposizioni sono subito partite le stroncature: «La Lega si fermi, il blitz sulla cancellazione dei ballottaggi a tre mesi dal voto è uno sfregio alle più basilari regole democratiche», attaccato la segretaria del Pd Elly Schlein. «Una aberrazione, una provocazione, un colpo di mano inaccettabile contro leggi che hanno dimostrato di funzionare bene» prosegue Boccia.

MA anche all’interno della coalizione la scelta della Lega di proseguire su questa strada ha provocato dei malumori.  «Noi speravamo che l’emendamento sul terzo mandato non finisse in Aula. Cercare o creare spaccature su temi che non sono nell’agenda nel centrodestra spiace. Ma non è niente di così grave», ha dichiarato a LaPresse il senatore di Fratelli d’Italia Raffaele Speranzon.

Anche Forza Itaklia in passato si è detta contraria all’emendamento sul terzo mandato proposto dalla Lega, al pari degli altri partito di opposizione. Con l’eccezione di Italia Viva.

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