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Cronaca

Ex medico della Virtus Bologna accusato dell’omicidio della moglie e della suocera

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Ci sarebbero un movente di tipo passionale e uno di tipo economico, dietro l’omicidio di Isabella Linsalata, del quale è stato accusato il marito, Giampaolo Amato, ex medico della Virtus Bologna, sospettato di aver provocato non solo la morte della moglie, ma anche della suocera.

Avrebbe uccio la moglie per poter vivere liberamente la propria relazione extraconiugale e per intascare una cospicua eredità. Questa è l’accusa per la quale Giampaolo Amato, 64 dottore specializzato in medicina sportiva, in passato dipendente Ausl e medico della Virtus Bologna, si trova in carcere, accusato dell’omicidio premeditato aggravato della moglie, peculato e detenzione illecita di farmaci psicotropi. Lui ha negato ogni accusa. La morte della donna, la dottoressa Isabella Linsalata, medico di 62 anni, risale all’ottobre del 2021. L’arresto di Amato è avvenuto ieri, martedì 11 aprile.

In seguito ad ulteriori indagini, gli inquirenti sospettano che possa essere responsabile anche di un altro, precedente, omicidio, quello della suocera. Giulia Tateo infatti, è morta 22 giorni prima della figlia Isabella. Sebbene siano necessarie ulteriori analisi, le indagini preliminari avrebbero dimostrato una possibile correlazione tra il decesso della donna e le sostanze che avrebbero causato quello della figlia. Sostanze, che un medico potrebbe facilmente recuperare all’interno dell’ospedale in cui lavora.

Seconde le ipotesi investigative, Amato avrebbe somministrato alla moglie un mix di farmaci contenti anestetici e benzodiazepine, sciolto in una tisana. Fu lui stesso a chiamare i soccorsi, nella notte del 31 ottobre 2021. Gli accertamenti medico-legali fecero emergere l’ipotesi dell’omicidio. L’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip Claudio Paris parla di «movente sentimentale», ma senza «neppure escludere l’incidenza di spinte di tipo economico».

Il movente sarebbe duplice: da una parte la voglia di vivere liberamente una relazione con una donna di trent’anni più giovane, dall’altra l’interesse ad intascarne l’eredità. L’uomo qualche anno prima aveva infatti cominciato una relazione extraconiugale, della quale la moglie sarebbe venuta a conoscenza. Ci sarebbero poi stati episodi di crisi coniugale, con le pressioni a lasciare la moglie da parte della giovane amante, che avrebbe avuto anche confronti accesi con la donna e con la figlia del medico, e con le pressioni a cessare questa relazione da parte della moglie.

«È senz’altro questo inconfessabile desiderio che può averlo spinto già nel 2019 ad attentarne alla vita», scrive il giudice, «come pure è senz’altro questo inconfessabile desiderio che lo ha spinto a cagionarne volontariamente la morte nel 2021». Assume infatti nuovi connotati l’episodio avvenuto due anni prima, quando la sorella accompagnò Isabella Linsalata in ospedale. Qui le trovarono un esubero di benzodiazepine nel sangue. «Sembrava che fosse un po’ ubriaca e rimbambita» ha affermato la sorella, che recuperò la bottiglia di vino bevuta dalla donna la sera precedente, per farla analizzare.

E’ stata proprio l’ostinazione della sorella di Isabella Linsalata e di due sue amiche, secondo il Gip, ad aver reso possibile la svolta dopo due anni di indagini: «Grazie alla lungimiranza, al senso di protezione (prima) ed all’ostinata ricerca della verità (poi) serbati in particolare da queste tre donne, che non l’hanno mai abbandonata, che si dispone oggi di accertamenti di tipo tecnico formatisi ben prima del suo decesso».

Cronaca

Tenta di “rubare” una bambina ad una madre a Vercelli: «è mia me la devi ridare»

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donna cercare di rubare passeggino con bambina di 5 mesi

Inquietante episodio avvenuto in una chiesa di Vercelli e raccontato dall’edizione torinese del Corriere della Sera: una donna ha cercato di rubare una bambina di 5 mesi dalla culla di una madre, sostenendo che fosse sua.

Una madre si trovava in chiesa, a Vercelli, in compagnia della figlioletta di 5 mesi, quando una donna si è avvicinata a loro ed ha tentato di rubare il passeggino in cui riposava la bambina. «E’ mia, me la devi ridare», avrebbe urlato la sconosciuta.

Impaurita, ma dai riflessi pronti, la madre della piccola è riuscita ad afferrare il passeggino prima che la donna potesse portarlo via. Poi, spaventata, si è allontanata dalla chiesa ed ha chiamato aiuto. Solo l’arrivo delle volanti di Polizia l’hanno tranquillizzata.

Ancora molto scossa, ha raccontato quello che le era successo agli agenti che si sono subito messi sulle tracce della donna che ha cercato di portare via la piccola. La signora è stata individuata nelle vie del centro ed è stata accompagnata in Questura per accertamenti.

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Cronaca

5 poliziotti accusati di torture durante i controlli a Verona

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Un ispettore e 4 agenti di polizia sono accusati di aver picchiato e torturato le persone che fermavano per i controlli, o che finivano sotto la loro custodia, e di aver falsificato i verbali per farla franca. Oltre agli accusati, altri 10 poliziotti sono indagati relativamente alle torture avvenute nel veronese durante i controlli di routine su strada.

5 poliziotti, un ispettore e 4 agenti, sono accusati di aver picchiato e commesso vere e proprie torture alle persone fermate per i controlli su strada, o che finivano sotto la loro custodia, tra il luglio del 2022 e il marzo del 2023 nel veronese. Per farla franca avrebbero successivamente falsificato i verbali. Le accuse nei loro confronti sono di tortura, lesioni aggravate, peculato, rifiuto ed omissione di atti d’ufficio, falso ideologico in atto pubblico.

Oltre a questi, altri dieci poliziotti sarebbero indagati a vario titolo per le torture commesse durante i controlli, nel veronese. E’ stata la stessa Questura a far partire le prima indagini, dopo aver raccolto le prime testimonianze. Poi, su mandato, è stata la polizia di Roma ad investigare sulle violenze e sugli abusi di potere dei colleghi veronesi.

Oltre ai presunti responsabili, sarebbero stati coinvolti dalle indagini anche coloro che hanno in qualche modo favorito, o non impedito, i soprusi.

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Chi scrive per l’Unità? L’ex terrorista nero Valerio Fioravanti

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articolo fioravanti per l'unità

Condannato a otto ergastoli per 95 omicidi, tra cui le 85 vittime della strage di Bologna, il terrorista nero ex Nar, Nuclei Armati Rivoluzionari, Valerio “Giusva il Tenente” Fioravanti ha firmato un articolo ospitato sulle pagine de l’Unità, che da poco è tornato nelle edicole.

L’Unità è tornata in edicola, ma sembra discostarsi dalla linea editoriale che l’ha contraddistinto. «Gramsci dovrebbe scoperchiare la tomba e venirvi a cercare uno per uno», ha scritto un utente a proposito della possibile reazione del fondatore del giornale per il nuovo corso della testata da lui fondata nel 1924. Il motivo delle polemiche sta in un articolo pubblicato. Non è tanto il contenuto a dividere, quanto la firma apparsa in calce all’articolo pubblicato da l’Unità: Valerio Fioravanti, “Giusva il Tenente” ex terrorista nero dei Nar, condannato, tra le altre cose, per la strage di Bologna.

95 gli omicidi a lui attribuiti. A differenza dalle altre accuse, ha sempre negato di aver piazzato la bomba che nel 1980 provocò 85 morti e più di 200 feriti. 8 gli ergastoli che ha ricevuto, sebbene per effetto della legge Gozzini adesso, che ha sessantacinque anni, si trovi in libertà. Ora non commette più attentati politici. Adesso scrive e il suo ultimo pezzo è stato pubblicato su l’Unità. Precedentemente, quando il direttore Sansonetti dirigeva Il Riformista prima di passare il testimone a Matteo Renzi, ha pubblicato contributi anche per questa testata.

Ed oggi arriva anche la replica di Sansonetti, in difesa della sua scelta editoriale. Il direttore ha spiegato che la pagina in cui è stato pubblicato l’articolo di Valerio Fioravanti è stata appaltata all’associazione “Nessuno Tocchi Caino”, con la quale ha già avuto modo di collaborare, e che in futuro qualora capitasse ancora l’occasione, non esiterebbe a pubblicare ancora articoli con la firma dell’ex terrorista nero. I motivi? Libertà di pensiero e parola, difesa della dignità umana e valorizzazione del percorso di riabilitazione. «Perché? Per un milione di ragioni. Vi dico le più semplici. Perché Fioravanti è Caino. Perché Fioravanti è una persona. Perché Fioravanti è un essere umano. Perché Fioravanti ha una biografia. Perché Fioravanti è sapiente. Perché non trovo non dico una ragione, ma nemmeno un centesimo di millesimo di ragione per immaginare di dovere esercitare una censura nei confronti di Fioravanti. E infine perché ho sempre apprezzato quel brano della Bibbia che ci racconta di quando Dio si schierò a protezione di Caino».

Una spiegazione che non ha mitigato le molte polemiche, che non provengono soltanto da lettori, o ed ex lettori, della storica testata della sinistra. Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, non usa mezzi termini: «siamo schifati». Federico Sinicato, avvocato dei familiari delle vittime della strage di piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia, commenta: «Tutti i detenuti e i condannati hanno diritto ad avere una progettualità di vita, , ma questo non significa che tutti possano fare tutto. Ci sono anche la dignità e i diritti delle vittime che vanno difese».

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