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Biden: «Non è giusto che un miliardario paghi le stesse tasse di un pompiere»

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joe biden in conferenza stampa

Al tradizionale Discorso sullo stato dell’Unione, il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, fa alcune concessioni ai repubblicani e ottiene applausi bipartisan. Tra le rivendicazioni, aumento dei posti di lavoro e dei salari, lotta all’inflazione e alla crisi energetica. Tra le cose da fare per «completare il lavoro»: sostegno al welfare, limitare l’accesso alle armi e reintrodurre il diritto all’aborto.

«Negli ultimi due anni abbiamo dimostrato che democratici e repubblicani possono lavorare insieme. Insieme dobbiamo finire il lavoro. Combattere per il gusto di combattere non ci porta da nessuna parte». Incassa consensi e applausi da entrambi i lati della Congresso il presidente Joe Biden al termine del tradizionale Discorso sull’Unione tenuto a Capitol Hill. Guerra in Ucraina, crisi energetica, tasse, diritti civili tra gli argomenti toccati da Biden, che però tiene il punto soprattutto in tema economia.

«L’economia degli Stati Uniti si trova nella posizione economica per crescere migliore di qualunque altro paese al mondo. Oggi abbiamo creato un record di 12 milioni di nuovi posti di lavoro, più posti di lavoro creati in due anni di quanti qualsiasi presidente abbia mai creato in quattro anni». Ma diventa necessario ora imprimere una svolta: «Investire in luoghi e persone che sono stati dimenticati. Dopo le turbolenze economiche degli ultimi quattro decenni, troppe persone sono state lasciate indietro o trattate come se fossero invisibili».

Per rendere più bilanciata la questione, Biden sottopone al Congresso la sua proposta di minimum tax per i miliardari e di quadruplicare le tasse alle società per i buypack: «I ricchi e le grandi aziende devono pagare la loro quota, non è giusto che un miliardario paghi meno tasse di un pompiere».

Equa pressione fiscale, difesa del walfare e del Medicare, lotta all’inflazione e alle crisi alimentare e energetica, sostegno all’Ucraina, ma anche difesa dei diritti civili, ripristino al diritto di abortire e stretta sull’accesso alle armi, gli argomenti su cui ha insistito Biden durante il Discorso sullo Stato dell’unione.

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Tajani: «nel 2019 Salvini fu fondamentale per l’elezione di Von der Leyen»

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tajani reggente di forza italia

Dopo lo j’accuse di Marine Le Pen a Giorgia Meloni in occasione di una convention leghista, sabato scorso, Antonio Tajani torna sul tema alleanze rendendo noto che Salvini nel 2019 rivestì un ruolo cruciale nell’elezione di Ursula von der Leyen.

La resa dei conti interna alla coalizione di centrodestra si consuma all’estero, soprattutto in tema di alleanze nel prossimo Parlamento Europeo. Tra le diverse cause di frizione tra Matteo Salvini, da una parte, e Giorgia Meloni ed Antonio Tajani, dall’altra, quale coalizione sposare in Europa: se FdI e FI sono indirizzati sulla strada che conduce al Partito Popolare Europeo e Ursula von der Leyen, la Lega è saldamente schierata con i nazionalisti, da Le Pen a Wilders, passando per Orbàn.

Una spaccatura tenuto a stento sotto traccia nei mesi scorsi, ma diventata evidente dopo lo j’accuse in occasione  dalla convention leghista “Winds of change” (nella quale Macron è stato definito da Salvini «guerrafondaio», ndr), tenutasi sabato scorso. Durante l’evento, è intervenuta in videoconferenza proprio Marine Le Pen, la quale ha prima confermato l’appoggio all’alleato d’oltralpe e poi rivolto un messaggio polemico a Giorgia Meloni: «Sosterrà o meno un secondo mandato della presidente della Commissione Europea? Io penso di sì, e penso anche che l’unico che si opporrà alla politica catastrofica di Von Der Leyen è Matteo Salvini». Il leghista non glissa, ma rilancia: «gli italiani che sceglieranno la Lega non sceglieranno mai un altro mandato di Von Der Leyen».

A molti è sembrato un chiaro messaggio rivolto ai propri alleati, ai quali oggi ha risposto in maniera sibillina Antonio Tajani, rendendo noto un retroscena del 2019: Matteo Salvini, secondo il reggente degli azzurri, rivestì un ruolo cruciale nell’elezione di Ursula von der Leyen. Ancora una volta, ad intimorire Salvini e le destre europee era lo “spettro rosso”: la possibile elezione del socialista olandese Tiemmermans, nonostante la vittoria del Ppe e le indicazioni dei gruppi parlamentari che vertevano su von der Leyen.

«Uno stravolgimento inaccettabile. Anche il premier italiano Giuseppe Conte aveva preso parte a quell’accordo che tradiva l’indicazione dei gruppi parlamentari. Siccome Conte poggiava ancora su una maggioranza in cui la Lega era fondamentale, chiamai Salvini chiedendogli di intervenire» ha rivelato Tajani a Tagadà su La7. 

Sarebbe stato dunque Salvini, con un’opera di persuasione, a convincere gli alleati di allora, il Movimento 5 Stelle, a ritirarsi da quell’accordo e a fargli mancare i numeri, spianando di fatto la strada all’attuale presidente.

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La corte del Regno Unito prende tempo sull’estradizione di Assange

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firmata l'estradizione di Julian Assange dalla Gran Bretagna

Si apre uno spiraglio per il fondatore di Wikileaks Julian Assange, che rischia fino a 175 anni di carcere negli Sati Uniti in caso di estradizione. L’Alta Corte britannica ha accolto in parte il ricorso presentato dai suoi legali.

Dopo il ricorso presentato il mese scorso, l’Alta Corte del Regno Unito ha accolto parzialmente il ricorso di Julian Assange contro la sua estradizione negli USA. Il fondatore di Wikileaks, attualmente rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra, rischia fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti. E’ accusato di diffusione di oltre 700mila documenti classificati, ma anche di favoreggiamento e cospirazione insieme a Chelsea Manning, l’informatore che glieli aveva consegnati.

Ora Assange potrà appellarsi qualora Stati Uniti e Regno Unito non siano in grado di fornire alla Corte le rassicurazioni richieste, ovvero il rispetto del Primo Emendamento (libertà di espressione) durante la decisione, il rispetto della sua nazionalità e l’esclusione a priori della pena di morte. Washington ha tre settimane di tempo per soddisfare queste richieste.

Questa sembra al momento l’ultima chance rimasta al giornalista per evitare l’estradizione. Qualora nemmeno questa bastasse, potrebbe tentare la strada dell’appello alla Corte europea dei diritti umani che potrebbe bloccare il trasferimento fino a una sua decisione sul caso. Amnesty ha già bollato le promesse del governo americano sul caso come «intrinsecamente inattendibili».

La decisione dei giudici londinesi rappresenta un controribaltone: nel 2021 avevano infatti respinto la richiesta di estradizione, dati i possibili rischi per l’incolumità di Assange, per poi accettarla l’anno successivo. La decisione di oggi potrebbe rimettere tutto in discussone.

Nel 2010, grazie a Manning, Assange ha messo le mani su oltre 470mila documenti militari secretati sulla guerra in Afghanistan e in Iraq, e altri 250mila dispacci diplomatici, e li ha pubblicati sulla banca dati aperta e cifrata di WikiLeaks. Il giornalista ha sempre motivato il gesto come denuncia dei crimini e degli errori commessi dai governi occidentali, mentre per gli Stati Uniti ha messo a rischio l’incolumità delle persone che hanno agito come fonti di informazione.

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Bezos supera Musk: è lui l’uomo più ricco al mondo

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jeff bezos uomo più ricco del mondo

Se Tesla ha subito un rilevante calo in borsa nel 2023, Amazon ha continuato a macinare risultati da capogiro.

Dopo due anni, Elon Musk cede il primato della classifica di paperoni e scivola al secondo posto: è Jeff Bezos l’uomo più ricco del mondo. Il patron di Tesla paga il calo in borsa del marchio, ma anche gli investimenti su X e gli esperimenti di Neuralink. Amazon invece continua a vendere a tutto spiano, anzi di più, ed il valore delle sue azioni è cresciuto e rischia di infrangere ogni record.

Musk cede la posizione dopo due anni, ma non è il caso di preoccuparsi per la tenuta delle sue finanze: a 197,7 miliardi di dollari ammonta il suo patrimonio, secondo le stime del Bloomberg Billionaire Index. Quello di Bezos, considerato ora l’uomo più ricco al mondo, è di 200,3.

Dietro al derby statunitense, un francese: il patron del colosso francese del lusso Lvmh Bernard Arnault, il cui patrimonio è stimato in 197,5 miliardi di dollari.

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