Politica
E nella Lega tornarono tutti salviniani

Fronda “governista, “responsabile” e “moderata” sì, ma senza esagerare. E all’occorrenza si torna perfino salviniani nella Lega. L’asse Zaia-Giorgetti-Fedriga, quella che in questi mesi si è dimostrata più critica e incline ad una rottura col capitano, alla fine non ha detto una parola sulla mancata fiducia al governo Draghi e sulla nuova insolazione elettorale di Matteo Salvini.
«E’ innegabile lo standing ovation al presidente Draghi, però è anche vero che la Lega, il mio partito, ha fatto delle proposte, nel senso che abbiamo posto la questione di non avere più i 5 Stelle perché ricordo che noi il 14 luglio abbiamo votato il decreto aiuti con 10 miliardi di aiuti per i cittadini e i 5 Stelle no. Quindi la fiducia non l’abbiamo votata». Nelle parole di Zaia c’è tutta la moderazione dell’opposizione interna alla Lega alla linea del segretario. In questi mesi molto si è parlato, e molto si è sentito parlare, della fronda “governista” riassunta dal tridente Zaia-Giorgetti-Fedriga e del suo malumore nei confronti dell’antagonismo dei salviniani nella Lega al premier Draghi.
Un malumore che appare dissoltosi al momento di decidere le sorti del governo. Il pretesto lo hanno dato i cinque stelle certo, ma la Lega si è presto allineata compatta sul versante delle elezioni anticipate.
La posizione più in bilico di tutte è quella di Giancarlo Giorgetti, che rimane Ministro per lo Sviluppo Economico durante il disbrigo degli affari correnti. Subito dopo che (anche) la Lega ha affossato il governo Draghi, ha rassegnato le sue dimissioni, ma il premier dimissionario gli ha chiesto di rimanere, per occuparsi dei tanti dossier rimasti aperti sul tavolo, alcuni molto importanti. Giorgetti non ha saputo dir di no, d’altronde è nota la stima che nutre nei confronti di Mario Draghi.
Quello che è certo, è che il vice-segretario della Lega, il più draghiano dei leghisti, non ha consegnato la tessera ed è rimasto sul carroccio. Sembrerebbe dunque riallineato alla linea di partito, dopo mesi di critiche e perplessità. Eppure, assicurano i bene informati, non ha speso particolari energie per salvare Draghi, nemmeno nelle ore più concitate antecedenti il voto di fiducia. Nemmeno in seguito agli accorati appelli di un membro di spessore, il senatur in persona. Umberto Bossi infatti, gli avrebbe telefonato dicendogli: «quei due [Silvio Berlusconi e Matteo Salvini ndr] stanno facendo una cavolata». Giorgetti, ascolta e concorda, gradirebbe a sua volta un ultimo tentativo di conciliazione, ma non fa nulla. La riposta che avrebbe fornito sarebbe stata: «prova a chiamarli tu». Come sia andata poi a finire è ormai storia nota.
Adesso prende avvio la campagna elettorale, che si terrà sulle spiagge e in costume da bagno, un terreno che dovrebbe vedere Salvini a proprio agio. Giorgetti non ha ancora reso noto se il suo nome comparirà o meno sulle liste elettorali, ma chi gli è vicino assicura: «non lascerà la Lega».
Politica
La sfilata estiva della politica italiana da Bruno Vespa: Giorgia Meloni apre il forum di Manduria

La passerella politica estiva a Manduria, nella Masseria di Bruno Vespa, è stata inaugurata dall’intervista alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Fedeli al salotto, anche quando il salotto non c’è. Sembra essere questo il motto della politica italiana che si prepara a sfilare nella masseria di Bruno Vespa a Manduria per la stagione primavera-estate 2023. Al Forum L’Italia che Verrà, giunto alla sua quarta edizione, ci sarà una sola grande assente: Elly Schlein ha declinato l’invito. Non mancherà invece Giuseppe Conte. Stamane, la prima intervista di Bruno Vespa a Manduria è stata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
La masseria che possiede a Manduria, un podere del ‘600, è già diventata una tappa imprescindibile dell’estate politica italiana. Quest’anno gli sponsor che hanno voluto partecipare sono aumentati. La premier avrebbe dovuto parlare ieri sera. Aveva chiesto di anticipare l’intervista, dando il là ad un grosso sforzo organizzativo per farsi trovare pronti. Tutti i piani però sono saltati: era attesa alle 19, è arrivata alle 21. Tutto rimandato a stamattina alle 11. Il maestro del dialogo coi membri del governo, che sperava addirittura di inserirla nella sua striscia serale, ha saputo trattenere l’evidente disappunto. Si è perfino fatto immortalare mentre si asciuga dopo un tuffo in piscina.
Tanti gli argomenti affrontati da Giorgia Meloni, dall’Ucraina, ai migranti, ai rapporti con i partner europei. Prendendo spunto dalle contestazioni al ministro Roccella al Salone del Libro di Torino, in apertura ha rigettato ancora una volta accostamenti a sentimenti nostalgici ed ha riservato una stoccata a Schlein: «Se la segretaria del Pd non distingue il dissenso dalla censura abbiamo un problema di autoritarismo. Il centrodestra da sempre difende la libertà dei cittadini e delle imprese e il nuovo corso del Pd è andare dritti sulla strada della strategia che li ha portati alla sconfitta elettorale, io non sono nessuno per dire: cambiate strategia».
Un passaggio significativo è stato quello dedicato alla lotta alla violenza sulle donne, nel quale ha rivelato di aver chiamato la madre di Giulia Tramontano: «È una vicenda che m’ha lasciato senza fiato, come la gran parte degli italiani. Da madre ho chiamato la madre di Giulia: la prima cosa alla quale penso è la mamma. Mi ha scioccato non solo la freddezza, m’ha scioccato vedere il video di Giulia e la morte di un bimbo che a sette mesi sarebbe stato in grado di vivere, sono due le persone che muoiono, anche se il grembo della madre dovrebbe essere il posto più sicuro. Accadono molte cose che sembrano impensabili, il fatto di Giulia, il fatto in Francia, in nome di Gesù».
Attualità
Renzi chiede le chat della professoressa che lo ha ripreso in Autogrill col 007 Mancini

E’ opportuno che un ex presidente del Consiglio si accanisca contro una cittadina? E può un direttore di giornale, sebbene non responsabile, voler limitare la libertà di stampa al punto da chiedere che vengano indagate le conversazioni tra giornalisti e loro fonti? A quanto pare sì, se l’ex presidente e il direttore in questione sono Matteo Renzi, che non è ancora domo per quanto riguarda le immagini che lo immortalano durante un colloquio in autogrill con Marco Mancini, dei servizi segreti italiani. Renzi ha chiesto avere copia delle chat della professoressa che lo filmato.
La donna che assistette alla scena, filmò tutto e inviò il materiale a Report, che risalì all’identità dell’interlocutore dell’ex presidente del Consiglio. Una notizia che suscitò interesse e scalpore, ma che provocò al contempo il disappunto di Renzi, il quale si convinse di essere finito al centro di un’operazione di spionaggio clandestino.
Chiese ed ottenne dalla Procura di indagare sulla donna. Ne emerse che si trattava di una semplice professoressa e non di una 007 sotto copertura. Ciò non è bastato a placare l’ex boy scout. Alessio De Giorgi, capo della comunicazione renziana ed ora direttore del sito de Il Riformista, ha assistito alla perizia sul telefono della professoressa. Durante questo esame, il consulente incaricato da Renzi ha chiesto che venissero estratte, copiate e consegnate tutte le chat della professoressa che contenessero anche uno solo dei seguenti termini: “Renzi”, “Mancini”, “Fiano”, “Autogrill”, “Settebagni”. Tutte, nessuna esclusa. Anche quelle personali e vecchie di anni.
Il legale della professoressa si è opposto ed ha chiesto alla Procura di Roma di stoppare le richieste dell’ex presidente del Consiglio, sia per tutelare la privacy della propria assistita, sia per tutelare la libertà di stampa, dal momento che sono presenti interlocuzioni tra giornalisti ed una fonte (che i giornalisti sono tenuti a tutelare). Sul punto, decideranno i pm.
Politica
Caso Metropol, Salvini al contrattacco: «Spero che giornalisti e politici complici di questa messinscena paghino»

Ad aprile la Procura ha archiviato l’inchiesta sul caso Metropol e sui presunti fondi russi alla Lega. Nei giorni scorsi La Verità ha pubblicato una serie di articoli nei quali smonta lo «scoop bufala» del 2019 dell’Espresso. Ma gli autori difendono il pezzo: «trattativa accertata».
Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini gongola e i giornali di centrodestra gli danno man forte sullo scontro politico-editoriale relativo al caso Metropol, la presunta trattiva tra faccendieri russi e uomini del carroccio per far arrivare fondi in rubli nelle casse della Lega. Ad aprile la Procura ha accolto la richiesta di archiviazione, mentre nei giorni scorsi La Verità ha dedicato una serie di “contro scoop” all’articolo de L’Espresso.
La notizia è stata pubblicata nel febbraio del 2019, quando Salvini e la Lega erano al governo e all’apice degli indici di gradimento dell’elettorato. Secondo l’articolo, all’hotel Metropol di Mosca avvenne un incontro tra il collaboratore di Salvini Gianluca Savoini e alcuni emissari russi. Al centro dell’incontro, un presunto scambio di favori: fondi russi in cambio di posizioni favorevoli alle politiche russe. Secondo La Verità, si sarebbe trattato di uno scoop montato ad arte, con testimoni imbeccati dai giornalisti che hanno firmato il pezzo.
Giovanni Tizian e Stefano Vergine però, oggi in forza a Domani, non ci stanno e bollano questa ricostruzione come una «balla sesquipedale». Secondo i giornalisti la trattiva non andò in porto, ma ci fu ed è perfino documentata.
Sulla vicenda è stato chiamato ad esprimersi anche il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, su richiesta del Carroccio. Nel frattempo il leader della Lega promette ripercussioni: «Era tutta una montatura, per screditare me e la Lega, alimentata con strategie che, secondo le ultime rivelazioni, appaiono inquietanti. Spero che giornalisti e politici che pare – secondo gli ultimi dettagli emersi – siano stati complici di questa enorme e vergognosa messinscena paghino per l’errore commesso. Noi, come sempre, andiamo avanti a testa alta e con la coscienza a posto».
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