Politica
La Meloni vuole le leadership del centrodestra, gli “alleati” provano a bloccarla
Giorgia Meloni, avanti nei sondaggi, vuole che gli alleati si rassegnino al fatto che sarà lei, in quanto più forte elettoralmente, la candidata di coalizione e che avrà la leadership del centrodestra. Salvini e Berlusconi prendono tempo e pensano ad un escamotage: a scegliere il candidato potrebbe essere chi ottiene il 50% più 1 dei voti. Quindi quelli di Lega e Forza Italia sommati, sarebbero più numerosi di quelli di Fratelli d’Italia.
Dopo mesi passati al governo, Forza Italia e Lega si sono riscoperte all’opposizione ed hanno colto al balzo la palla del Movimento Cinque Stelle. Il governo è caduto e ci sono delle elezioni anticipate da preparare. Giorgia Meloni, che se non altro all’opposizione c’è sempre stata, non ha tempo da perdere: si concluda in tempi rapidi la cerimonia d’investimento ufficiale della leadership del centrodestra e la si lasci galoppare in campagna elettorale.
La leader di Fratelli d’Italia è convinta che sarà lei a guidare la coalizione di centrodestra alle prossime Elezioni. I sondaggi, tutti i sondaggi, la danno avanti, non soltanto per quanto riguarda il suo campo, ma più in generale il suo partito, al momento, godrebbe della maggioranza relativa. Gli alleati Salvini e Berlusconi dovrebbero prenderne atto.
Eppure, capitano e (ex) cavaliere non sembrano così persuasi. L’idea semplicemente non gli garba. Salvini ancora non si è ripreso dall’insolazione del Papeete e non capisce come non sia il messia invocato a furor di popolo che si credeva di essere. Berlusconi non accettava di farsi mettere da parte nemmeno quando non poteva essere eletto, figuriamoci adesso che gioca a fare il padre fondatore. La Meloni lo sa, e quindi chiede che si scoprano le carte: «Dobbiamo vederci presto, già nelle prossime ore, per stabilire delle regole che consentano di far contare i cittadini nella scelta di un eventuale candidato premier».
Il messaggio sembra essere: «decidetevi in fretta a prendere atto della mia candidatura, oppure trarrò le opportune considerazioni». Gli alleati guadagno tempo. «La questione leadership non è all’ordine del giorno» ripete Berlusconi. Salvini nemmeno tocca l’argomento.
In questi giorni poi circola una voce secondo la quale l’ipotesi a cui si starebbero lavorando Forza Italia e Lega sarebbe quella di far esprimere il candidato premier a chi prende il 50% più 1 dei voti della coalizione. In questo modo, sommando i loro voti, potrebbero superare FdI e scegliere per conto loro.
Un’ipotesi che ovviamente manda su tutte le furie Giorgia Meloni che chiede di «darsi delle regole» e che per i prossimi incontri, sebben al momento non ce siano di fissati in agenda, si evitino i quartieri generali berlusconiani, a favore di sedi più neutre ed istituzionali.
Ma non c’è solo la questione leadership sul tavolo. Anche il nodo della composizione delle liste appare abbastanza intricato. Forza Italia vorrebbe che i collegi uninominali venissero divise equamente, un terzo a testa, mentre la Meloni vorrebbe che anche questi fossero assegnati proporzionalmente alle intenzioni di voto.
In sostanza, sembra che la leader di Fratelli d’Italia questa volta voglia anticipare eventuali scherzetti da parte degli alleati, che dal canto loro sembrano confabulare proprio in questo senso. Ma la Meloni, più che spaventata da questo scenario possibile, sembra spazientita dalla mancanza di chiarezza. Anche perché correre da sola non sembra uno scenario così irrealistico. Né così fallimentare.
Politica
Beppe Grillo annuncia un «delicato messaggio»: M5S alla resa dei conti?
Su X, “l’elevato” annuncia importanti dichiarazioni che potrebbero segnare una svolta nella faida interna con Giuseppe Conte.
«Domani, martedì alle 11.03, collegatevi sul mio Blog, sul mio canale Youtube e sulla mia Pagina Facebook. Ho un delicato messaggio da annunciare», con queste parole, accompagnate dalla foto che lo ritrae in compagnia del co-fondatore Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo prepara la resa dei conti interna al Movimento 5 Stelle. Su X “l’elevato” annuncia, creando una certa suspense, la prossima puntata della faida con Conte, che a questo punto sembra arrivata ad una svolta.
Cosa comunicherà Beppe Grillo nel suo delicato messaggio? Rivendicherà il «diritto all’estinzione»? Annuncerà una seconda discesa in campo? Espellerà con un colpo di mano i dissidenti? Al momento si hanno a disposizione solo le supposizione dei ben informati. Secondo il Corriere della Sera, Grillo sarebbe pronto a dar battaglia sul simbolo, con l’intento di riappropriarsene. Questo, dopo che è riuscito a sospendere il voto dell’Assemblea Costituente e chiederne la ripetizione, invitando contestualmente i suoi a disertare il voto.
Di sicuro la guerra intestina al Movimento si sta trasformando in uno stillicidio di consensi e il magrissimo risultato in Emilia-Romagna, seppur motivato da altre concause, lo simboleggia appieno. Proprio in questa regione, con il V-Day di Bologna, il M5S si è presentata per la prima volta come forza dirompente. Il tempo, i mutamenti, il ricambio generazionale (mancato) e le alleanze di governo (mutevoli) hanno cambiato radicalmente le cose, ma è la faida tra Grillo e Conte, tra ritorno alle origini e trasformazione in partito, che ha portato il M5S sull’orlo della scissione.
L’annuncio di Grillo arriva in seguito ad una netta presa di posizione da parte di un ex sostenitore, Marco Travaglio, che ha dedicato a «quel comico che aveva un blog» un editoriale al vetriolo nel quale, senza giri di parole, gli manda un sonoro «vaxxxxxxlo». «Ha talmente rotto i coxxxxni che due iscritti su tre l’hanno abolito. E lui ha fatto ripetere il voto: non gli basta un vaxxxxxxlo, ne vuole due!».
Politica
Altri 3 miliardi per il Ponte sullo Stretto di Messina, protestano le opposizioni
Rimodulati gli stanziamenti del fondo per lo sviluppo e la coesione, Fsc, 2021-2027. Al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti arrivano nuovi fondi e potrà contare su 3 miliardi in più per il Ponte sullo Stretto di Messina: 14,7 anziché i previsti 11,6.
Secondo le opposizioni si tratta di uno «sciacallaggio» o di un «contentino» alla Lega dopo lo strappo con Forza Italia sul canone Rai. Per il governo si tratta invece di un impulso decisivo ad un’opera tanto attesa. Il Cipess, Comitato per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, assicura che entro questo mese sarà presentato il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina e che i lavori prenderanno avvio nel 2025, anche perché l’opera più contare su 3 miliardi in più rispetto a quanto previsto.
E’ quanto emerso dalla riunione d’urgenza del Cipess convocata a Palazzo Chigi per assegnare subito le risorse del fondo di sviluppo e coesione ai ministeri. E così il Dicastero delle Infrastrutture, potrà ora contare su 2,3 miliardi in più, per un totale di 9,2 miliardi. Quasi tutti, nello specifico 6,1 miliardi, saranno dirottati sul Ponte, che appunto adesso avrebbe a disposizione più di 14 miliardi.
Protestano le opposizioni. Se per Boccia del PD «il governo vive solo di scambi di potere», Bonelli di Avs afferma: «Si prosciuga il fondo per lo sviluppo e coesione: parliamo di una cifra pari a 6 miliardi che serviva per il trasporto pubblico, per le scuole, la sanità e la manutenzione del territorio». Anche i 5 stelle attaccano il governo: «È uno sciacallaggio che penalizza ulteriormente le regioni meridionali»,
Politica
Scontro in maggioranza sul canone Rai: occhiataccia di Meloni a Tajani
Dopo che Forza Italia ha votato contro la proposta leghista di abbassare il canone Rai, il carroccio si è vendicato affossando un emendamento azzurro in materia fiscale. Dalle opposizioni si sgolano ad annunciare un’imminente crisi di maggioranza, ma la premier, pur non risparmiando un’occhiataccia a favor di telecamera a Tajani, è al lavoro per ricompattare le fila: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai».
Antonio Tajani ha provato a far finta di nulla e a simulare una coesione che nella maggioranza, dopo lo scontro sul canone Rai, di fatto non c’è. La premier invece non ha voluto celare un evidente disappunto. Alla chiusura dei Med Dialogues, la conferenza annuale organizzata dalla Farnesina con l’Ispi per dare slancio all’azione dell’Italia nel mondo, è emersa tutta la tensione che si respira nella maggioranza. Anche perché dopo il botta e risposta di ieri tra Tajani e Salvini ed il voto contrario di oggi degli azzurri al taglio del canone Rai, è arrivata quella che ha tutti i contorni della vendetta leghista: in commissione Bilancio al Senato, un emendamento al decreto fiscale sulla sanità in Calabria proposto dal senatore forzista Claudio Lotito, non è passato a causa dell’astensione della Lega.
Dalle opposizioni già si affrettano ad annunciare una crisi di governo. Meloni sa che in realtà la situazione non è così critica: «Siamo riusciti a fare il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sul canone Rai» ha detto ai cronisti, prima di svicolare da un’uscita secondaria in seguito al suo rapido intervento. Sul palco è stata invitata con tutte le carinerie del caso, sia istituzionali che politiche, proprio da Tajani, che molto si è speso in ringraziamenti alla presidente. Certamente più fredda la reazione della premier: occhiataccia, rapida stretta di mano e ringraziamento di circostanza.
Non sarà una crisi di governo, ma qualche grattacapo Meloni lo ha. Al di là dello scontro sul canone Rai, Tajani è infastidito per l’appoggio che la premier sembra aver concesso a Noi Moderati, come se ne volesse fare una stampella centrista nella maggioranza nel caso di frizioni con gli azzurri, ma anche per le ingerenze di Salvini in temi di politica estera. L’ultima è stata quella relativa al mandato d’arresto a Netanyahu: Salvini ha detto che il presidente israeliano sarebbe benvenuto in Italia, smentendo di fatto la linea della Farnesina.
C’è poi un altro punto da tenere in considerazione: chi prenderà le deleghe di Fitto? Tajani le vorrebbe per i suoi, anche alla luce dell’impegno profuso in Europa per far accettare la figura di Fitto come vicepresidente e per portare FdI nella maggioranza Ursula. Il nome che circola in queste ore però, andrebbe in tutt’altra direzione: Elisabetta Belloni, ora a capo del Dis, già segretario generale della Farnesina e con una una consolidata carriera da funzionaria alle spalle. Qualora fosse nominata ministro, è il timore di Tajani, potrebbe offuscare il ministro degli Esteri nei rapporti con le cancellerie europee e spostare gli equilibri della coalizione nei rapporti con l’estero.
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