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Falliscono anche i negoziati sul grano ucraino in Turchia

Kiev non si fida, Mosca detta condizioni irricevibili: nessun accordo sul corridoio via mare per le esportazioni del grano ucraino.

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fallita la trattiva in Turchia sullo sblocco del grano ucraino

Il tentativo turco di mediare per lo sblocco del grano da mesi fermo nei porti ucraini è fallito. L’Ucraina, che non è stata interpellata nelle trattative, ha giudicato irricevibili le richieste avanzate dalla Russia: i negoziati sul grano ucraino sono durati ancor meno di quelli di pace.

Così come i negoziati di pace del marzo scorso, anche il tentativo, da parte della Turchia, di mediare per sbloccare il grano ucraino fermo nei porti è naufragato. Le proposte concordate con la Russia, ma non con l’Ucraina, sono state giudicate irricevibili da Kiev, che non si fida delle promesse dell’invasore. Mosca dal canto suo non ne avverte una particolare esigenza, dal momento che può far viaggiare il grano ucraino su rotaia verso la madrepatria o i territori passati sotto il suo controllo e da lì’ farlo ripartire verso l’Africa, il Vicino ed il Medio Oriente. A prezzi maggiorati. I primi convogli sono già partiti.

Ieri, mercoledì 8 giugno, il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavorv è atterrato ad Ankara per discutere con la controparte turca Mevlut Cavusoglu. La proposta del ministro di Erdogan era relativa all’apertura di un corridoio sul Mar Nero, che da Odessa avrebbe permesso il transito delle navi mercantili, con la Turchia come garante. La Russia ha però rilanciato ed ha preteso che lo sminamento del porto fosse effettuato dagli stessi ucraini, che le navi russe potessero accompagnare le imbarcazioni in entrata nel porto per assicurarsi che non trasportassero armi e che venissero riviste le sanzioni economiche internazionali relative alle esportazioni. Da Kiev si affrettano a precisare che non è stato raggiunto «Nessun accordo concreto».

Innanzitutto, gli ucraini non si fidano delle promesse dei russi. Le acque intorno a Odessa sono state minate per impedire alle navi da guerra di invadere. La Russia ha detto che non approfitterebbe dello sminamento operato dagli ucraini, i quali però restano scettici circa le rassicurazioni del nemico. In merito alle altre richieste, né l’Ucraina, né i paesi occidentali, possono permettersi di concedere aperture in tal senso.

Una situazione di stallo dunque che rischia di sfociare in carestia per diversi Paesi, con buona pace del segretario generale dell’Onu Antonio Gutierres che aveva detto che «l’accordo è essenziale» per fermare quello che Zelensky ha definito «genocidio alimentare». Intanto si sono registrati attimi di tensione in sala stampa, dopo le infruttuose trattative per sbloccare il grano ucraino in Turchia, quando un giornalista ucraino si è alzato in piedi e guardando Lavrov negli occhi, gli ha chiesto: «Signor ministro, a parte il grano, cos’altro sta rubando la Russia all’Ucraina?»

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Media israeliani: «decine di miliziani di Hamas si sono arresi»

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miliziani hamas arresi

Sono diverse le foto diffuse da giornali, siti e social israeliani che mostrano uomini svestiti nelle mani dell’esercito: sarebbero miliziani di Hamas arresi nel nord della Striscia.

Le foto stanno già facendo il giro del web. Mostrano uomini senza maglietta e senza pantaloni, con le mani dietro la schiena, presi in consegna dalle truppe israeliane. In alcuni scatti sono allineati e inginocchiati a terra, in altri sono stati caricati su furgoni e camion. Secondo quanto riportano diversi media di Gerusalemme, tra cui Haaretz, si tratterebbe di miliziani di Hamas arresi. Le immagini provengono dal nord della Striscia di Gaza, da Jabalya.

La situazione all’interno della Striscia è sempre più difficile, anzi, secondo l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi, è diventata «disperata». L’agenzia ha reso noto che in seguito alla ripresa delle operazioni militari e dei bombardamenti, è impossibile allestire le linee di rifornimento e molti rifugio «stanno straripando».

Ma l’offensiva israeliana non si ferma ed in queste ore investe in particolare la zona meridionale della Striscia, nei dintorni di Khan Younis, roccaforte dei miliziani islamici. Nel frattempo, si aggiornano le cifre del bollettino di guerra: se i militari israeliani caduti dall’inizio delle operazioni di terra sono saliti ad 86, le vittime palestinesi sono state 17.177, di cui 7.112 minorenni.

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Sparatoria all’università a Las Vegas: tre morti, a sparare è stato un professore

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Il killer è stato neutralizzato dalla polizia durante uno scontro a fuoco. L’episodio si è verificato all’Università del Nevada di Las Vegas.

Il bilancio della sparatoria veificatosi nel campus della Nevada University di Las Vegas, negli Stati Uniti, sarebbe di quattro morti, sebbene non siano ancora stati diffusi dati ufficiali. Tra le vittime, l’uomo che ha aperto il fuoco. Anche in questo caso non sono stati resi noti dettagli approfonditi, ma si tratterebbe di un professore di 67 anni abbattuto dalla polizia, secondo quanto pubblicato da CNN. Ignota al momento la causa del gesto.

Intorno alle 11:30, le 20 in Italia, gli altoparlanti del campus di Las Vegas hanno lanciato l’allarme, specificando che non si trattava di una esercitazione, mentre allo stesso tempo su X, la polizia confermava la sparatoria. Nel messaggio la polizia parlava di diverse persone colpite. Poco dopo la comunicazione che ha fatto rientrare l’allarme: l’autore della sparatoria è stato abbattuto e non ci sono altri tiratori all’opera. Diversi i feriti accompagnati in ospedale, comprese alcune persone in stato di panico.

Las Vegas è già stata teatro di uno dei più efferati e atroci attentati commessi negli Stati Uniti. Nel 2017, un cecchino di 64 anni si è messo a sparare sulla folla con 23 armi diverse, dalla stanza di un hotel. 61 morti, compreso il killer, che puntò la pistola contro di sé al termine del massacro.

E si ripetono le polemiche sulla libera circolazione delle armi suylle stradi statunitensi, dove secondo le stime il 40% della popolazione è armata e si trovano 120 armi da fuoco ogni 100 persone.

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L’Italia è uscita ufficialmente dalla Via della Seta, l’accordo per gli scambi commerciali con Pechino

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l'italia esce dalla via della seta

L’Italia non rinnoverà il memorandum sulla Belt & Road Initiative alla sua scadenza, nel 2024. Era stato il primo Paese G7 ad aderire.

Sebbene fosse nell’aria già da un po’, l’uscita ufficiale è avvenuta in sordina: l’Italia è uscita dalla Belt & Road Initiative, la nuova Via della Seta, l’accordo siglato nel 2019 dall’allora presidente del Consiglio Conte e il premier cinese Xi Jinping per agevolare gli scambi commerciali tra Europa ed Asia. Alla scadenza naturale, il prossimo 22 marzo 2024, il memorandum non verrà rinnovato.

Da Palazzo Chigi è giunto un semplice «no comment», mentre la Farnesina nel messaggio con cui informava della decisione Pechino, ha specificata che rimane l’ «amicizia strategica» tra i due Paesi.

L’Italia era stato il primo Paese del G7 ad aderire alla Via della Seta. Ed è anche la prima a fare un passo indietro. La mossa è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia in estate e a seguire dalla visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Né Italia, né Cina hanno diramato un comunicato: Pechino non vuole dare troppa enfasi alla notizia per evitare che altri Paesi seguano l’esempio italiano, mentre Roma preferisce non indispettire il potente amico strategico orientale.

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