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Omicidio Catania, il papà di Elena: “Martina è un mostro, odiava nostra figlia”

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CATANIA – Da due giorni non parla con nessuno, è in carcere in isolamento guardata a vista dalla polizia penitenziaria Martina Patti, la 23enne accusata dell’omicidio della figlia Elena, di 5 anni. “Sta bene, ma è molto provata e quando parla di sua figlia è travolta dall’emozione e piange”, dice il suo avvocato Gabriele Celesti che le ha parlato in videoconferenza, perché il previsto l’incontro con la sua assistita “non c’è stato” perché è “in isolamento fiduciario per le norme anti Covid”.

Come riporta l’Asa, parla invece il suo ex convivente, Alessandro Del Pozzo, che rompe il silenzio che si era imposto e lo fa per accusare Martina: “E’ un mostro – dice – non meritava una figlia come Elena, speciale e unica in tutto”. L’uomo, in una dichiarazione affidata alla sorella, accusa la mamma di Elena di avere commesso “un omicidio premeditato e studiato in ogni particolare” e di avere poi detto “24 ore di bugie”. L’avvocato Celesti ha letto le dichiarazioni di Del Pozzo ma preferisce, per il momento, glissare: “nessun commento – afferma – sono le dichiarazioni di un padre che meritano anche umana comprensione, non è questo il momento e la sede”.

In carcere, Martina Patti è sola in cella sorvegliata a vista; è stata più volte chiamata in infermeria per il supporto psicologico ma è apparentemente serena e tranquilla. Nelle prossime ore comparirà per l’interrogatorio di garanzia davanti al Gip Daniela Monaco Crea per la convalida del suo fermo per omicidio premeditato pluriaggravato e occultamento di cadavere. “Se lei vorrà colmare alcuni ‘buchi’ – osserva il legale – allora farà dichiarazioni aggiuntive. Ma potrebbe scegliere di non farle in questa fase e le farà più avanti”. Tra i “buchi” della sua confessione ci sono il movente, il luogo e l’arma del delitto. Che potranno essere colmati, almeno in parte, dall’autopsia e dai rilievi che i carabinieri eseguiranno nella casa della donna.

Nessun riscontro, al momento, sull’ipotesi di un presunto aiuto che Martina potrebbe aver avuto per commettere il delitto o tentare di nascondere il cadavere, prima di simulare il rapimento della bambina da parte di un commando armato. Una tesi attaccata duramente dal padre della piccola, Alessandro Del Pozzo, che accusa l’ex compagna di avere commesso un omicidio “studiato in ogni particolare” e di “non essersi pentita di aver ucciso la bambina”. “Ha messo Elena dentro dei sacchi della spazzatura – aggiunge – l’ha sotterrata, si è ripulita e ha ripulito, ha inventato un sequestro creandosi un alibi e ha colpito la sua macchina per inscenare un’aggressione. Un omicidio in cui ci si crea pure un alibi e si occulta il corpo non può essere un raptus di pazzia!”.

Alessandro Del Pozzo spiega che non aveva intenzione di rilasciare interviste, ma che ha ritenuto di parlare “reputandolo giusto farlo nei confronti di mia figlia”. “Sono distrutto – spiega – mi sento un vuoto dentro incolmabile, ho sempre promesso a mia figlia che l’avrei tenuta al sicuro come ogni buon padre farebbe, avrei dato la vita al posto suo, l’ho chiesto a Dio, ma non accetta sostituzioni! Non potevo mai e, dico mai – sottolinea – pensare che l’avrei dovuta proteggere proprio da sua madre. Martina è un mostro non meritava una figlia come Elena speciale e unica in tutto! Elena vive! Ogni giorno! Dentro il mio cuore…”.

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Suicidio assistito, il governo ricorre al Tar contro le delibere dell’Emilia-Romagna

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Palazzo Chigi si oppone alle delibere per regolamentare il suicidio assistito emanate da Stefano Bonaccini.

Iter e tempistiche stabilite per permettere alle aziende sanitarie di garantire il diritto dei malati a ricorrere al suicidio assistito, come sancito da una sentenza della Corte costituzionale. Questi i contenuti di un provvedimento sul suicidio assistito emanato della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, guidata da Stefano Bonaccini, contro il quale oggi hanno presentato ricorso al Tar la presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero della Salute.

Si tratta del secondo ricorso presentato contro le delibere sul suicidio assistito annunciate da Regione Emilia-Romagna, dopo quello presentato a marzo dalla consigliera di Forza Italia Valentina Castaldini. E’ lei stessa a rendere noto oggi che il governo le dà man forte in questa battaglia.

«Carenza di potere dell’ente» sull’oggetto del dibattito «e la contraddittorietà e l’illogicità delle motivazioni introdotte nelle linee guida inviate alle aziende sanitarie», tra le cause indicate alla base del ricorso.

I provvedimenti fissano un limite di 42 giorni a disposizione di enti ed istituzioni per rispondere alla domanda presentata da pazienti che richiedono l’esecuzione del fine vita. Sui social Bonaccini si è espresso duramente contro la decisione del governo: «Il Governo, anziché preoccuparsi di dare una legge al Paese e alle persone che vivono in condizioni drammatiche, sceglie addirittura di boicottare l’Emilia-Romagna che attua la sentenza dalla Corte Costituzionale».

«Per la destra- continua il post di Bonaccini – non basta negare un diritto alle persone sancito dalla Corte: per loro è preferibile che un paziente in condizione di fine vita debba rivolgersi ad un tribunale per vedersi riconosciuto quanto la Consulta ha finalmente sancito. Si è passato il limite. Non solo si negano i diritti delle persone riconosciuti dalla Corte costituzionale, ma si fa battaglia politica sulla pelle di pazienti che si trovano in condizioni drammatiche».

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«Lo spot è blasfemo»: i telespettatori cattolici vogliono fermare la pubblicità delle patatine

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Un associazione di telespettatori cattolici chiede il blocco per uno spot che mostra alcune suore prendere le patatine al posto dell’ostia durante la messa, che considerano blasfemo.

Alcune suore prendono la comunione, ma al posto dell’ostia ci sono le patatine. Il volto delle religiose è pervaso di sublime estasi, ma sembra più una passione carnale che una divina infatuazione. Ci sono insomma tutti gli elementi giusti per scatenare una polemica. E chi ha commissionato lo spot delle patatine che ora l’Aiart, associazione di telespettatori cattolici, vuole boicottare perché «blasfemo», “non poteva non saperlo”: non è la prima volta che Amica Chips finisce nel vortice delle polemiche per i suoi spot. E non è la prima volta, di conseguenza, che Amica Chips ottiene doppia pubblicità con una sola compagnia promozionale. Bravo l’ufficio marketing.

Lo spot accusato di essere blasfemo è semplice, ma efficace: ci sono un sacerdote e delle suore i chiesa, durante la messa. Una religiosa si rende conto che il tabernacolo è vuoto e lo riempie repentinamente di patatine. Quando la prima novizia, estasiata, viene imboccata, tra le navate riecheggia la croccantezza dell’insolita ostia.

Subito dopo la messa in onda dello spot delle patatine, l’associazione dei telespettatori cattolici ne ha chiesto la sospensione, perché «offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti».

Non è la prima volta che Amica Chips deve correggere il tiro, dopo una comunicazione particolarmente creativa. Qualche anno fa, dovette mandare in onda una versione più addolcita di uno spot che aveva per protagonista Rocco Siffredi, il quale, tra doppi sensi ed allusioni, raccontava le sue patatine preferite.

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Arresti domiciliari per Salvatore Baiardo: «ha mentito sulla foto di Berlusconi con i Graviano»

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La Cassazione ha confermato il verdetto del riesame e Salvatore Baiardo è stato condannato agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi del 1993.

La foto che ritrae Silvio Berlusconi a cena con il generale dei carabinieri Francesco Delfino ed i fratelli Graviano forse «non esiste», come ha sostenuto ai giudici Salvatore Baiardo, ma di sicuro è stata mostrata a Massimo Giletti. Magari era un fotomontaggio, magari il giornalista non ha visto bene le persone ritratte in quello scatto, ma gli è stata mostrata. E sarebbe stato proprio questa a comportare la chiusura del programma che conduceva su La7. Lo ha stabilito la Cassazione oggi, confermando il verdetto del tribunale del riesame relativo all’inchiesta sulle stragi del 1993 che manda Salvatore Baiardo agli arresti domiciliari.

«Sicuramente è stata fatta vedere – ha stabilito il tribunale a proposito della foto incriminata – potrebbe essere un fotomontaggio o addirittura essere stata male osservata dal giornalista, per problemi di luce (l’ambiente in cui venne mostrata non era ben illuminato), od essersi egli sbagliato in ragione del breve tempo in cui gli venne mostrata, magari ingannato da tratti somatici simili a quelli delle persone che ha dichiarato di avere riconosciuto».

Sarebbe proprio la vicenda della foto a far decidere all’editore di La7 di chiudere il programma Non è L’Arena. Urbano Cairo è stato ascoltato dai pm. La sua audizione è coperta dal segreto, ma in passato ha spiegato di aver deciso di sospendere la trasmissione per motivi di audience.

I giudici non sono così convinti: «Non sono emersi ragionevoli altri motivi per la chiusura della trasmissione, né le indagini hanno fatto emergere una audience bassa in relazione ai programmi similari ed alla fascia oraria di messa in onda. Si segnala anzi la repentinità della decisione, maturata proprio quando veniva sviluppata l’inchiesta sui contatti Graviano-Berlusconi dei primi anni Novanta». «Tuttavia la decisione – spiega il provvedimento – certamente allarmante sul piano della libertà d’informazione e della tutela del giornalismo d’inchiesta, non avvalora di per sé la fondatezza di una vicenda tremenda per la storia della Repubblica Italiana, quanto il timore di mandare avanti un’inchiesta scomoda. Certamente resta la figura di un soggetto, il Baiardo, che allude, dice e non dice, afferma e poi nega, gioca con le parole, un soggetto che ha dimostrato di sapere molte cose e che nel contempo non è attendibile».

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