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Il Russiagate made in Italy travolge Conte, che replica: «accuse infami»

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Conte furioso attacca Renzi Draghi e Di Maio

Il Russiagate torna protagonista dopo un’inchiesta di Repubblica, nella quale si parla di una cena nel 2019 tra il segretario alla Giustizia statunitense William Barr e l’ex direttore del Dis (i servizi segreti) Gennaro Vecchione, quando Giuseppe Conte era ancora premier. L’ex Presidente del Consiglio si smarca e afferma di non esserne stato al corrente.

«William Barr e Gennaro Vecchione a cena dopo un incontro ufficiale? Non ne ero specificatamente a conoscenza, ma se si è tenuta in un noto ristorante nel centro storico di Roma immagino sia stata motivata da cortesia istituzionale, piuttosto che dalla necessità di avere uno scambio riservato di “informazioni”». Queste le parole estratte da un lungo post che Giuseppe Conte ha affidato ai social per rispondere alle polemiche che lo stanno investendo in queste ore e che hanno riacceso i riflettori sul Russiagate. Ad accendere la miccia, un articolo pubblicato da Repubblica lo scorso martedì 19 aprile, nel quale si ripercorrono le tappe che William Barr, segretario alla Giustizia dell’amministrazione Trump, ha toccato in un viaggio a Roma, nell’agosto del 2019.

L’ipotesi al centro dell’articolo è che Barr fosse stato incaricato da “The Donald” di verificare se il Russiagate (le presunte ingerenze con cui la Russia avrebbe influenzato la campagna elettorale per le presidenziali del 2016), fosse stato «confezionato in Italia», sotto la guida dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, sostenitore ed alleato della candidata democratica Hillary Clinton.

Secondo quanto riportato dal giornale, l’incontro non avrebbe seguito i canoni tradizionali dal momento che il segretario alla Giustizia non avrebbe incontrato il suo omologo, l’allora Ministro Alfonso Bonafede, ma l’allora capo dei servizi segreti Gennaro Vecchione. Si è tenuto nel giorno di ferragosto, alle ore 17, e successivamente, come confermato dallo “schedule” di Barr, le due delegazioni si sarebbero spostate in un ristorante di piazza delle Coppelle per la cena. Di questa cena, Conte non ha mai parlato, né sono noti gli argomenti trattati. L’ipotesi dell’inchiesta di Repubblica è che vi sia stata la promessa di una robusta collaborazione, con la trasmissione di una mole importante di dati, in cambio di un endorsement per il premier. L’ipotesi viene corroborata dal fatto che pochi giorni dopo questo endorsement è effettivamente arrivato tramite un tweet di Trump, divenuto celebre perché il presidente degli Stati Uniti si riferisce al collega italiano chiamandolo “Giuseppi”.

L’ex premier ha rigettato queste accuse, definite «infami» e «palesemente denigratorie» ed ha affermato di non essere al corrente della cena successiva . L’altro protagonista, Vecchione, invece ha affermato: «Nel corso dell’incontro conviviale non sono stati in alcun modo affrontati argomenti riservati, confidenziali, o comunque riferiti a vicende e a personaggi politici italiani e stranieri. In prosecuzione, la cena con gli stessi partecipanti, nel quadro degli standard di accoglienza, particolarmente apprezzati da sempre dai numerosi visitatori istituzionali italiani e stranieri. Come si può notare dalla circostanza che fosse il tardo pomeriggio di Ferragosto – osserva Vecchione – sarebbe stato difficile organizzare un rinfresco in sede, per cui si è optato per un evento esterno, in un luogo pubblico e in una zona centralissima. In entrambe le situazioni, non ha preso parte il presidente del Consiglio

L’inchiesta giornalistica ha ovviamente innescato forti razioni nel panorama politico, in particolare tra gli esponenti di Italia Viva, il cui segretario Matteo Renzi ha commentato: «Obama ed io che organizziamo una truffa elettorale ai danni di Trump? Follia pura. Che nel 2019 qualcuno a Roma possa aver dato credito a tale idea mi sembra gravissimo». L’ex premier prosegue chiedendo all’intelligence di chiarire questi aspetti, facendo montare la furia di Conte: «puntualmente Renzi e alcuni suoi solerti compagni di partito si sono immediatamente avventati sul “clamoroso scoop” di Repubblica . Mi chiedo: è possibile che il senatore Renzi non abbia mai sentito il dovere, in tutto questo tempo, di andare a riferire al Copasir su questi suoi sospetti? Perché non va, come sempre ho fatto io, a riferire quel che sa? Cosa teme, di dover poi rispondere alle domande dei componenti del Copasir e di essere obbligato, per legge, a riferire tutta la verità?». Puntuale arriva la risposta del senatore fiorentino che afferma: «Il problema non è se io vado o no al Copasir, io vado volentieri dappertutto a rispondere a tutti e a tutte. Il Copasir non è il luogo nel quale uno lancia dei sospetti, ma è l’organo che controlla l’attività dei servizi. Io su di te non ho sospetti, io su di te ho delle certezze: non ti sei comportato bene, perché un presidente del Consiglio non si comporta così con un Paese straniero. Sono pronto a un confronto tv all’americana, se hai il coraggio di farlo».

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Giovanni Toti ha rassegnato le dimissioni da presidente di Regione Liguria

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Dopo ottanta giorni, l’oramai ex governatore ligure ha mollato la presa. Con le dimissioni, Giovani Toti chiederà la revoca dei domiciliari, mentre sarebbe in arrivo la notifica di conclusione delle indagini e con essa il rinvio a giudizio. Già partita la campagna elettorale, si staglia all’orizzonte la sfida Orlando-Rixi. Al voto ad ottobre?

Giovanni Toti ha rassegnato le dimissioni da presidente di Regione Liguria, dopo ottanta giorni di arresti domiciliari. L’ex governatore è accusato di corruzione, falso, abuso di ufficio e finanziamento illecito. Toti potrebbe così far nuovamente richiesta di revoca degli arresti domiciliari.

Le indagini sarebbero alle battute conclusive. Mentre in Procura sfilano gli ultimi testimoni, sarebbero quasi concluse anche le analisi sui telefoni e sui dispositivi sequestrai nei mesi scorsi. Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio.

Sull’ex presidente ligure, grava il rischio di  processo immediato custodiale, senza passare dall’udienza preliminare. I pubblici ministeri Luca Monteverde e Federico Manotti potrebbero disporlo da martedì 30 luglio, quando scadranno i termini per presentare ricorso al tribunale del riesame contro i domiciliari. Tra i presupposti per richiedere un processo immediato però, vi è proprio quello di essere sottoposti a custodia cautelare. Con le dimissioni cade di fatto il pericolo di reiterazione del reato e dunque l’istanza di revoca dei domiciliari, già avanzata e respinta in due occasioni, non dovrebbe incontrare grossi ostacoli. Rimesso in libertà, Toti potrebbe disinnescare dunque il pericolo di giudizio immediato.

Nel frattempo, si è già aperta la partita per la sua successione. Il toto-nomi ha già indicato i probabili sfidanti: Andrea Orlando del Partito Democratico ed Edoardo Rixi della Lega, vice di Salvini ai Trasporti. La lista dell’ex governatore ha ratificato il nuovo nome : Cambiare – Con Giovanni Toti, senza la parola presidente. I consiglieri hanno spiegato che in questo modo, in caso di elezioni, non dovranno raccogliere di nuovo le firme. Toti non sarebbe intenzionato a candidarsi in prima persona, come suggerirebbe la rimozione della parola presidente dal nome della lista. La tornata elettorale sarà anticipata tra ottobre e novembre, forse accorpata con le urne in Emilia-Romagna e Umbria.

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L’Italia si riarma: spesa militare sale a 34 miliardi di euro

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Oggi è stato approvato in Commissione Difesa al Senato l’ultimo dei 27 programmi di acquisto presentati da inizio legislatura. Tra i nuovi armamenti in arrivo, 24 caccia Eurofighter, 272 carri armati tedeschi e 890 missili israeliani. La spesa militare in Italia sfiora i 35 miliardi di euro.

Caccia Eurofighter, carri armati, missile e bombe per gli F-35, manche fregate, sottomarini e ammodernamenti per il comparto navale. Questo il contenuto dell’ultimo programma di acquisto approvato in Commissione Difesa al Senato. Con questo, sale a 27 il numero di pacchetti approvati da inizio legislatura. La spesa militare in Italia sale dunque a 34,6 miliardi di euro, cifra che non raggiunge il famigerato 2% del Pil, ma che dimostra un evidente incremento dei fondi: in precedenza si aggirava sui 25 miliardi.

Il voto di oggi ha trovato il solo parere contrario del Movimento 5 Stelle. Sono proprio i capogruppo nelle commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama Marco Pellegrini e Bruno Marton a riassumere gli impegni stipulati oggi: «La Difesa incassa così l’ok definitivo ad altri 24 caccia Eurofighter Typhoon (7,5 miliardi, 280 milioni di spesa per quest’anno e il prossimo) – un lotto che in passato era stato tagliato a favore del programma F-35 e che oggi viene invece riesumato in aggiunta a quelli, e a migliaia di missili e bombe della Lockheed Martin (700 milioni, 130 la spesa 2024-2025) per armare proprio i famigerati aerei americani. Semaforo verde anche per l’ammodernamento di due fregate classe Doria (240 milioni) – che arriva subito dopo l’ok all’acquisto di due nuove fregate Fremm che non erano previste dal programma originale di 10 navi – e per l’acquisto di una nave (70 milioni) per il monitoraggio delle infrastrutture sottomarine energetiche e informatiche e per la bonifica dei fondali da ordigni inesplosi, unico programma a cui non ci siamo opposti».

Nel 2010 infatti, quando il ministro della Difesa era l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa, l’Italia abbandonò il progetto Eurofighter per sposare quello che vedeva come protagonisti gli ormai celeberrimi F-35. Una mossa che provocò malumori anche nel suo fronte, dal momento che comportò un aumento delle spese belliche. Oggi invece si è deciso che gli aerei a decollo verticale resteranno alla Marina, mentre i caccia Eurofighter saranno assegnati all’aeronautica.

La lista della spesa bellica comprende anche 21 nuove batterie missilistiche semoventi a lunga gittata Himars, dell’americana Lockheed Martin, per 960 milioni e, per rimpiazzare le armi cedute a Kiev, 12 lanciatori Stinger e 890 missili Spike prodotti dalla israeliana Rafael. La Marina, tra le altre cose, acquista due nuove fregate Fremm, prodotte da Fincantieri per quasi due miliardi di euro e due sottomarini, per un miliardo e 3. Il totale di tutto l’impegno di spesa è 34,6 miliardi di euro, di cui mezzo miliardo già quest’anno.

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La soluzione di Delmastro per le carceri affollate: «stranieri a casa loro»

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Intervistato da Repubblica, il Sottosegretario alla Giustizia Delmastro offre la sua soluzione per allentare la pressione sulle carceri italiane: rimandare i detenuti stranieri nei Paesi di provenienza.

I penitenziari italiani vivono una situazione di emergenza cronica, tra celle sovraffollate, carenza di personale e strutture fatiscenti. Ma il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove ha avuto un’idea per aiutare le carceri: rimandare i detenuti stranieri nei rispettivi Paesi di provenienza. «Un terzo dei detenuti è straniera e costa tra i 137 e i 150 euro al giorno. Basta moltiplicare 19.213 detenuti stranieri per 365 giorni e abbiamo trovato i fondi per costruire carceri, assumere agenti e personale».

Secondo Delmastro bisogna «recuperare altri posti per umanizzare la pena. Tant’è che abbiamo sbloccato 166 milioni per l’edilizia penitenziaria incredibilmente bloccati, più 84 col Pnrr, recuperando 6.754 posti sui 10mila mancanti». Durante l’intervista il sottosegretario smentisce di aver detto di volere che i detenuti marciscano in galera: «No, voglio che la espiino perché guardo alle vittime e ai cittadini che non devono vivere nell’insicurezza».

A proposito del tema dei bambini detenuti insieme alle madri afferma: «abbiamo solo detto che il rinvio della pena non è più obbligatorio. Il giudice valuterà la pericolosità sociale. Nessun giudice dotato di senno la sbatte in galera col bimbo di un anno. Diverso è il caso di borseggiatrici seriali che non devono più confidare nell’impunità grazie alla maternità».

Infine, una battuta sul Gio, che in molti hanno definito la squadra di picchiatori anti-rivolte: «Non sono mai stato con le “guardie”, ma sempre al fianco degli agenti che con il Gio daranno un supporto importante per mantenere la sicurezza, tant’è che ci sarà anche il negoziatore».

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