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Il figlio di Gheddafi si candida, Haftar pure, Dabaiba tentenna: Libia in fermento a un mese dalle elezioni

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saif al islam gheddafi si candida alle elzioni presidenziali della Libia

Saif Al-Islam, figlio secondogenito dell’ex rais Gheddafi, si è candidato alle elezioni presidenziali in Libia. Dopo poco anche Khalifa Haftar ha annunciato che correrà alle urne, mentre il primo ministro Abdul Hamid Dabaiba, che non può candidarsi, ha annunciato che cederà il potere solo se il processo  risulterà trasparente. Ad un mese dalle elezioni, forse,  situazione libica in fermento, rischio di  nuovi scontri e timori che il Paese possa precipitare nuovamente nel caos.

Costume beduino e turbante marrone. È riapparso così domenica agli occhi del mondo Saif Al-Islam Gheddafi, figlio dell’ex Rais Mu’ammar. Dopo mesi di basso profilo, voci e dicerie, è ricomparso brevemente in pubblico per presentare ufficialmente la propria candidatura alle elezioni presidenziali in Libia, prima di tornare nell’ombra. Un nuovo spettro per la comunità internazionale che a 10 anni dalla Primavera Araba, teme un nuovo ritorno al passato come accaduto in Afghanistan.

Il figlio del Rais è un personaggio controverso. Secondo di otto figli, era visto come il “delfino”, quello più propenso a prendere il testimone e guidare la Libia dopo il padre. In un primo momento è apparso come una sorta di riformista del regime, salvo poi darg man forte nelle repressioni degli oppositori. Sul suo capo pende una richiesta di processo  per crimini contro l’umanità della corte penale internazionale. Dopo la Primavera Araba del 2011, è stato arrestato dai miliziani libici, per poi essere condotto, detenuto, ma anche protetto, a Zintan. Nel 2015 è stato condannato a morte per genocidio In un processo in contumacia svoltosi a Tripoli, per poi essere scarcerato l’anno successivo in seguito ad un’amnistia. Ha vissuto da uomo libero in una località segreta della Libia, mantenendo un basso profilo anche per scampare all’Aia. In questi anni ha fatto solo qualche sporadica apparizione.

Adesso, a 10 anni dalla rivolta che ha portato alla caduta, e all’uccisione, del padre si ripresenta in pubblico per annunciare la sua corsa alle elezioni presidenziali in Libia. La sua proposta si muove nel solco lasciato dal Rais. «L’amministrazione Obama è responsabile della distruzione della Libia, non il governo di mio padre. Quelle rivolte furono il centro di una tempesta perfetta, conseguenza di fenomeni che stavano crescendo da tempo, dalle tensioni esterne alle ambizioni opportunistiche di governi esteri, come quello francese di Nicolas Sarkozy» ha affermato qualche mese fa in una celebre intervista al New York Times.

Poco dopo la sua candidatura, anche il generale Khalifa Haftar, comandante della milizia che controlla la Cirenaica, ha annunciato che scenderà in campo. Il capo della “Lybian National Army” ha affermato di voler «iniziare un cammino di riconciliazione, pace, costituzione e stabilità». Da settembre ha ceduto il controllo dell’Est e del Sud del Paese al generale Nadori e l’incarico scade il 24 dicembre, giorno in cui si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali.

O almeno, questo è l’auspicio della Comunità Internazionale, ribadita anche pochi giorni fa alla Conferenza di Parigi, ma la situazione nel Paese è in fermento. Le candidature di Gheddafi e Haftar hanno già suscitato reazioni molto accese da parte dei gruppi “rivoluzionari” in molte zone del paese, contrarie ad entrambe le ipotesi, ovvero vedere da una parte il ritorno al regime abbattuto nel 2011, dall’altra consegnare il potere a chi ha bombardato Tripoli per mesi.

In molti poi, vorrebbero far slittare le elezioni, sia forze esterne al Paese, Turchia in Testa, che interne, come il premier Abdul Hamid Dbeiba. Il Primo Ministro, riconosciuto dalla Comunità Internazionale e visto da molti come una figura nelle mani di Ankara, si è insediato lo scorso marzo ed è vincolato, come tutti i  membri del governo di unità nazionale, dal divieto di candidarsi, sebbene si stia comportando come se fosse intenzionato a farlo. Relativamente alle elezioni è apparso titubante ed ha affermato: «se le elezioni saranno trasparenti e basate sul consenso di tutte le parti, consegnerò il potere al nuovo governo scelto dal popolo libico». Una dichiarazione sibillina e che non dirama i dubbi circa la validità delle elezioni presidenziali all’indomani dal voto, qualora questo si tenesse davvero la prossima vigilia di Natlae.

Tutto questo mentre la Libia sta ancora facendo i conti con un tessuto sociale disgregato, milizia e bande armate presenti in tutte le zone del Paese, una grave crisi economica e mentre procede senza controllo il traffico di essere umani.

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Sabotaggio alla rete ferroviaria francese: circolazione in tilt a poche ore dalle Olimpiadi

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sabotaggio rete ferroviaria francia tgv

I sospetti degli inquirenti si concentrano sulla sinistra radicale. Paralizzata la circolazione del Tgv: sospese tre linee su quattro. I disagi si ripercuoteranno almeno fino al weekend. Sono 800 mila i viaggiatori coinvolti dal sabotaggio della rete ferroviaria in Francia.

Il modus operandi messo in atto, fa sospettare alle forze dell’ordine che dietro il sabotaggio alla rete ferroviaria in Francia possa esserci la mano dei gruppi della sinistra radicale. Nella notte scorsa, tra giovedì 25 e venerdì 26 luglio, in diversi punti nevralgici della circolazione ferroviaria, sono stati appiccati incendi che hanno di fatto paralizzato treni e stazioni. Il tutto mentre tra poche ore, in una Parigi blindatissima, andrà in scena la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici. Sono circa 800 mila i viaggiatori rimasti coinvolti dal sabotaggio della rete ferroviaria.

Modus operandi e ordigni incendiari già usati in passato in altre contestazioni «assomigliano a quelli utilizzati in passato dall’ultrasinistra», hanno fatto sapere fonti della sicurezza francesi a Le Parisien. Non si esclude che chi ha agito abbia potuto contare sull’appoggio di personale interno a Sncf, la compagnia ferroviaria francese.

Fin dai primi roghi, la società ha parlato di «atti dolosi concomitanti», mentre il ministro dei Trasporti francese Patrice Vergriete ha definito il sabotaggio «un’azione criminale scandalosa».

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Musk sulla figlia transgender: «è morto, ucciso dalla teoria woke. Non avrei dovuto accettare i trattamenti»

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Intervistato da Tmz il tycoon ha usato dure parole nei confronti della figlia transgender: «Mio figlio è morto, è stato ucciso dal virus della mentalità woke».

Tra i due non corre buon sangue. La ventenne Vivian Jenna Wilson, nato come Xavier Musk, dopo il cambio di sesso ha interrotto ogni rapporto con il padre, il fondatore di Tesla e Space X, ed ha assunto il cognome della madre. La transizione non è stata bene accolta da Elon Musk, che, intervistato da Tmz ha usato parole molto dure nei confronti della figlia transgender: «Mio figlio è morto, è stato ucciso dal virus della mentalità woke».

Il miliardario ha anche abiurato il suo consenso ai trattamenti ai quali il figlio si è sottoposto: «Sono stato ingannato nel firmare documenti medici per approvare qualsiasi trattamento lei ricevesse». Parlando con il suo intervistatore, Musk ha affermato di aver accettato perché gli avevano paventato il rischio di un gesto autolesionistico da parte del giovane.

Non è la prima volta che tra Musk e la figlia transgender due volano screzi a mezzo stampa. In passato si sono scambiati dichiarazioni al vetriolo non soltanto sulle diverse visioni sui diritti Lgbtq+, ma anche in tema di politica. Misk ha spesso definita la figlia come una «comunista» e «marxista» che odia i ricchi».

 

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Traversata ecologica dell’Atlantico finisce in tragedia: ritrovati i corpi dei due navigatori

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navigatori morti durante traversata ecologica dell'atlantico

Brett Clibbery e Sarah Packwood  sono partito dalle coste canadesi lo scorso 18 giugno, a bordo di uno yacht ecologico. Volevano raggiungere le Azzorre, ma i loro corpi sono stati ritrovati a poche centinaia di miglia dal luogo della partenza. E’ mistero sulle cause della morte.

L'”Odissea Verde”, come era stata battezzata dai suoi ideatori, è durata poche centinaia di miglia. I corpi del canadese Brett Clibbery e della britannica Sarah Packwood, i navigatori che hanno tentato una traversata dell’Atlantico a bordo di uno yacht ecologico, sono morti ed i loro copri stati ritrovati sulle coste di Sable Island, 160 chilometri a sud-est della costa canadese da cui erano partiti oltre un mese fa. I due avevano lasciato le spiagge della Nuova Scozia con l’obiettivo di raggiungere le Azzorre.  3.228 chilometri da coprire in 21 giorni. Il viaggio però è durato poco più di un centinaio di miglia nautiche.

Ancora da capire il motivo della tragedia. Secondo quanto ricostruito al momento i due sarebbero stati costretti ad abbandonare la nave e sarebbero morti annegati. Lo yacht sul quale si trovavano a bordo però non è stato ritrovato. Tra le ipotesi, l’urto con una nave cargo, che non si sarebbe nemmeno accorta della collisione.

I due navigatori morti avevano raccontato nel dettaglio i preparativi della traversata dell’Atlantico, attraverso un canale YouTube, Theros Adventures, dal nome della loro barca eco-friendly. «È probabilmente la più grande avventura delle nostre vita», diceva entusiasta Sarah Packwood. Mentre il marito raccontava di come i due avessero equipaggiato la barca con vele, pannelli solari, batterie e un motore elettrico, così da mostrare a tutti che «viaggiare senza bruciare carburanti fossili è possibile».

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