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Incontro Calenda-Meloni sulla manovra: «nessuna disponibilità a entrare in maggioranza», ma «incontro positivo»

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Incontro di un’ora e mezza a Palazzo Chigi tra Carlo Calenda, gli esponenti del Terzo Polo, Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti per discutere della «contromisura» proposta dal leader di Azione. Calenda: «su molte cose abbiamo trovato un’apertura».

Potrebbe essere il Terzo Polo, all’occorrenza, la stampella su cui il governo Meloni potrebbe poggiarsi qualora Forza Italia o Lega facessero qualche mossa a sorpresa? L’impressione è che non sia un’ipotesi poi così remota. Dopo l’incontro per discutere della manovra con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, Carlo Calenda, che pur chiude ad ogni ipotesi di intesa («non c’è nessuna disponibilità a entrare in maggioranza, la collaborazione parlamentare c’è per definizione. Se poi si parla di voto di fiducia ovviamente non ci sarà, ma ci siamo impegnati a non fare ostruzionismo parlamentare per mandare il governo in esercizio provvisorio che sarebbe un dramma per l’Italia») spende parole al miele per la presidente del Consiglio: «persona molto preparata, abbiamo discusso per un’ora e mezzo nel merito delle questioni e questo è positivo».

La stessa Meloni, nell’intervista che ha rilasciato al Corriere, ha concesso qualche apertura: «a chi ha chiesto di interloquire, per ora solo Calenda, abbiamo risposto “volentieri”». Aperture che sono arrivate anche nell’incontro di oggi. Il leader di Azione al termine ha dichiarato «Su molte cose abbiamo trovato un’apertura».

A Palazzo Chigi si è tenuto un incontro, durato un’ora e mezza, per discutere della manovra. Di fronte a Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti si è presentata una nutrita schiera di esponenti del Terzo Polo: oltre a Calenda, Matteo Richetti, Raffaella Paita, Luigi Maran e i tecnici che hanno elaborato la «contromisura».

Sempre Calenda spiega: «Siamo entrati nel merito del provvedimento e abbiamo scorso le nostre proposte: ci sono cose su cui noi assolutamente non siamo d’accordo. Ma abbiamo discusso di un’estensione di impresa 4.0, un tetto al costo del gas al posto dei crediti di imposta, nel dettaglio abbiamo parlato di un aumento degli stipendi dei sanitari, abbiamo detto che va ripristinata Italia sicura, abbiamo fatto un’analisi della situazione del Pnrr, e chiesto di riproporre il reddito di cittadinanza come Rei. Su molte di queste cose abbiamo trovato un’apertura».

Infine, un monito agli alleati di Fratelli d’Italia e ai colleghi dell’opposizione: «Se noi facessimo per una volta nella vita una roba normale, se i partiti di governo, leggi Forza Italia, invece di sabotare Meloni, contribuissero a fare la manovra, e l’opposizione invece di andare in piazza presentasse provvedimenti migliorativi, forse sarebbe un Paese normale. Invece continuiamo a essere un Paese machiavellico di cui non ci capisce niente».

Politica

Gli “scivoloni” di Draghi nelle anticipazioni del libro di Salvini

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Il vice premier è in procinto di consegnare al pubblico la sua ultima fatica letteraria, “Controvento” ed oggi sono uscite alcune anticipazioni sul rapporto non proprio idilliaco con Mario Draghi, tra cui la scarsa condivisione da parte del premier sulle scelte di governo, la decisione di “salire al colle” e le divisioni in materia fiscale.

Lo presenterà il prossimo 25 aprile a Milano. Probabilmente non aveva segnato nulla in agenda ed ha approfittato del giorno di festa. Anche perché non è una data in cui il segretario federale della Lega può trovare facilmente una sagra che lo ospiti. Quel giorno le grigliate gli risulterebbero un po’ indigeste, quindi Matteo Salvini resterà in città e presenterà il suo libro “Controvento. L’Italia che non si arrende”, edito da Piemme. Oggi, sono uscite alcune succulenti anticipazioni, nelle quali Salvini affronta il rapporto con Mario Draghi.

Un rapporto incrinatosi subito. «Al di là della cortesia dei primi approcci, il premier Draghi scelse di non condividere con i segretari dei partiti nemmeno la scelta dei ministri. Ricordo che ero a casa quando squillò il telefono. Palazzo Chigi. Da lì a dieci minuti, i nomi degli aspiranti ministri sarebbero stati consegnati al Colle. Ripeto: dieci minuti». E sulle nomine poi, le decisioni a dette di Salvini non furono soltanto unilaterali, ma anche errate: «La disastrosa Luciana Lamorgese confermata al Viminale, per non parlare di Roberto Speranza alla Salute, fino all’irriducibile Luigi Di Maio agli Esteri».

Oltre a questi primi motivi di frizione, un passaggio è risultato decisivo per far decidere al carroccio di negare il proprio appoggio e far cadere il governo: ««Nella conferenza stampa di fine anno [2022, ndr], il presidente del Consiglio aveva fatto intendere di ritenere sostanzialmente conclusa la sua missione di governo. Un’uscita che in molti avevano letto come l’ammissione di voler puntare al Colle». Tra i due ci sarebbe poi stato «un ultimo incontro» nel quale «il presidente Draghi sondava la disponibilità della Lega e del centrodestra in generale per un’eventuale sua ascesa al Colle». Una mossa che non spiazza Salvini, che, scrive nel libro, chiede immediatamente cosa ne sarebbe stato del governo. «La risposta non arrivò. O meglio, ci fu un “Ne parleremo dopo”».

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Suicidio assistito, il governo ricorre al Tar contro le delibere dell’Emilia-Romagna

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Palazzo Chigi si oppone alle delibere per regolamentare il suicidio assistito emanate da Stefano Bonaccini.

Iter e tempistiche stabilite per permettere alle aziende sanitarie di garantire il diritto dei malati a ricorrere al suicidio assistito, come sancito da una sentenza della Corte costituzionale. Questi i contenuti di un provvedimento sul suicidio assistito emanato della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, guidata da Stefano Bonaccini, contro il quale oggi hanno presentato ricorso al Tar la presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero della Salute.

Si tratta del secondo ricorso presentato contro le delibere sul suicidio assistito annunciate da Regione Emilia-Romagna, dopo quello presentato a marzo dalla consigliera di Forza Italia Valentina Castaldini. E’ lei stessa a rendere noto oggi che il governo le dà man forte in questa battaglia.

«Carenza di potere dell’ente» sull’oggetto del dibattito «e la contraddittorietà e l’illogicità delle motivazioni introdotte nelle linee guida inviate alle aziende sanitarie», tra le cause indicate alla base del ricorso.

I provvedimenti fissano un limite di 42 giorni a disposizione di enti ed istituzioni per rispondere alla domanda presentata da pazienti che richiedono l’esecuzione del fine vita. Sui social Bonaccini si è espresso duramente contro la decisione del governo: «Il Governo, anziché preoccuparsi di dare una legge al Paese e alle persone che vivono in condizioni drammatiche, sceglie addirittura di boicottare l’Emilia-Romagna che attua la sentenza dalla Corte Costituzionale».

«Per la destra- continua il post di Bonaccini – non basta negare un diritto alle persone sancito dalla Corte: per loro è preferibile che un paziente in condizione di fine vita debba rivolgersi ad un tribunale per vedersi riconosciuto quanto la Consulta ha finalmente sancito. Si è passato il limite. Non solo si negano i diritti delle persone riconosciuti dalla Corte costituzionale, ma si fa battaglia politica sulla pelle di pazienti che si trovano in condizioni drammatiche».

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Moglie, suocera e cognati di Aboubakar Soumahoro rinviati a giudizio

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Il Gup di Latina ha accolto le richieste dei pm. Secondo le accuse, gli indagati hanno utilizzato il denaro della Prefettura destinato ai minori ospiti della cooperativa Karibu, per spese personali.

Liliane Murekatete, Marie Therese Mukamitsindo, Michel Rukundo e Aline Mutes, rispettivamente moglie, suocera e cognati del senatore Aboubakar Soumahoro, sono stati rinviati a giudizio dal  giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina Giulia Paolini, che ha accolto le richieste del pm Giuseppe Miliano. Un altro cognato di Soumahoro, Richard Mutangana, è tornato in Ruanda ed è al momento irreperibile, ma la sua posizione è stata stralciata.

In base alle accuse nei loro confronti, gli indagati avrebbero utilizzato i soldi provenienti dalla prefettura di Latina e destinati ai giovani ospiti della cooperativa Karibu per comprare oggetti di lusso ed effettuare investimenti all’estero, mentre i migranti erano stati lasciati al freddo e con poco cibo.  I reati contestati sono quelli della bancarotta, frode in pubbliche forniture e autoriciclaggio.

L’inchiesta nacque dalle segnalazioni di alcuni dipendenti della cooperativa, rimasti senza stipendio. Questo fattore ha portato anche ad una vertenza sindacale. La vicenda si è abbattuta come un macigno sulla carriera politica del senatore Soumahoro, passato repentinamente al gruppo misto dopo essere stato scaricato dal partito con cui era stato eletto, Alleanza Verdi-Sinistra Italiana.

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