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Liz Truss ha rassegnato le proprie dimissioni dopo appena 45 giorni

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Downing-Street

Terremoto a Downing Street: Liz Truss ha rassegnato le proprie dimissioni da leader del Partito Conservatore, dopo circa un mese e mezzo. Rimarrà Primo Ministro del Regno Unito fino a che non sarà scelto un successore. Adesso ci si domanda se l’incarico tornerà al predecessore Boris Johnson, o se invece verranno indette elezioni anticipate.

Quasi come Brian Clough, probabilmente il miglior allenatore della storia del calcio inglese (che però rimase sulla panchina del Leeds United solamente per 44 giorni prima di essere esonerato), ma senza le Champions League. Dopo appena 45 giorni, sembra giunto al capolinea il “regno” di Liz Truss che ha rassegnato le proprie dimissioni da leader del Partito Conservatore. «Riconosco che, data la situazione, non posso portare a termine il mandato per il quale sono stata eletta dal Partito Conservatore» ha dichiarato la Truss che ha anche aggiunto che «da qui alla prossima settimana» si terranno le votazioni per il suo successore.

Il governo Truss, l’ultima a ricevere l’incarico da Sua Maestà la Regina Elisabetta, era partito in salita. Da una parte il pesante fardello degli scandali legati all’amministrazione Johnson, dall’altra le difficoltà a far quadrare i conti. E così Liz Truss, che oggi ha rassegnato le proprie dimissioni, non ha mai avuto vita facile e gradualmente ha perso i pezzi della sua amministrazione.

L’ultima a lasciare, Suella Braverman, controversa ministro dell’Interno a causa delle sue posizioni anti-immigrazione. La settimana precedente era stato il ministro dell’Economia Kwasi Kwarteng a mollare.

Adesso oltremanica ci si interroga su cosa accadrà a Downing Street. Sembra probabile che verranno indette elezioni anticipate, come richiesto a gran voce dall’opposizione, ma c’è chi scommette sul grande ritorno di Boris Johnson, che avrebbe riconquistato la fiducia del partito conservatore, che d’altro canto ha fatto mancare la terra sotto i piedi della Truss.

Termina quindi praticamente ai nastri di partenza il governo della Truss, che però può vantare una sorta di “mini manovra finanziaria iperliberista”, bocciata e rispedita al mittente, che ha ritirato il progetto presentato.

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Tajani: «nel 2019 Salvini fu fondamentale per l’elezione di Von der Leyen»

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tajani reggente di forza italia

Dopo lo j’accuse di Marine Le Pen a Giorgia Meloni in occasione di una convention leghista, sabato scorso, Antonio Tajani torna sul tema alleanze rendendo noto che Salvini nel 2019 rivestì un ruolo cruciale nell’elezione di Ursula von der Leyen.

La resa dei conti interna alla coalizione di centrodestra si consuma all’estero, soprattutto in tema di alleanze nel prossimo Parlamento Europeo. Tra le diverse cause di frizione tra Matteo Salvini, da una parte, e Giorgia Meloni ed Antonio Tajani, dall’altra, quale coalizione sposare in Europa: se FdI e FI sono indirizzati sulla strada che conduce al Partito Popolare Europeo e Ursula von der Leyen, la Lega è saldamente schierata con i nazionalisti, da Le Pen a Wilders, passando per Orbàn.

Una spaccatura tenuto a stento sotto traccia nei mesi scorsi, ma diventata evidente dopo lo j’accuse in occasione  dalla convention leghista “Winds of change” (nella quale Macron è stato definito da Salvini «guerrafondaio», ndr), tenutasi sabato scorso. Durante l’evento, è intervenuta in videoconferenza proprio Marine Le Pen, la quale ha prima confermato l’appoggio all’alleato d’oltralpe e poi rivolto un messaggio polemico a Giorgia Meloni: «Sosterrà o meno un secondo mandato della presidente della Commissione Europea? Io penso di sì, e penso anche che l’unico che si opporrà alla politica catastrofica di Von Der Leyen è Matteo Salvini». Il leghista non glissa, ma rilancia: «gli italiani che sceglieranno la Lega non sceglieranno mai un altro mandato di Von Der Leyen».

A molti è sembrato un chiaro messaggio rivolto ai propri alleati, ai quali oggi ha risposto in maniera sibillina Antonio Tajani, rendendo noto un retroscena del 2019: Matteo Salvini, secondo il reggente degli azzurri, rivestì un ruolo cruciale nell’elezione di Ursula von der Leyen. Ancora una volta, ad intimorire Salvini e le destre europee era lo “spettro rosso”: la possibile elezione del socialista olandese Tiemmermans, nonostante la vittoria del Ppe e le indicazioni dei gruppi parlamentari che vertevano su von der Leyen.

«Uno stravolgimento inaccettabile. Anche il premier italiano Giuseppe Conte aveva preso parte a quell’accordo che tradiva l’indicazione dei gruppi parlamentari. Siccome Conte poggiava ancora su una maggioranza in cui la Lega era fondamentale, chiamai Salvini chiedendogli di intervenire» ha rivelato Tajani a Tagadà su La7. 

Sarebbe stato dunque Salvini, con un’opera di persuasione, a convincere gli alleati di allora, il Movimento 5 Stelle, a ritirarsi da quell’accordo e a fargli mancare i numeri, spianando di fatto la strada all’attuale presidente.

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La corte del Regno Unito prende tempo sull’estradizione di Assange

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firmata l'estradizione di Julian Assange dalla Gran Bretagna

Si apre uno spiraglio per il fondatore di Wikileaks Julian Assange, che rischia fino a 175 anni di carcere negli Sati Uniti in caso di estradizione. L’Alta Corte britannica ha accolto in parte il ricorso presentato dai suoi legali.

Dopo il ricorso presentato il mese scorso, l’Alta Corte del Regno Unito ha accolto parzialmente il ricorso di Julian Assange contro la sua estradizione negli USA. Il fondatore di Wikileaks, attualmente rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra, rischia fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti. E’ accusato di diffusione di oltre 700mila documenti classificati, ma anche di favoreggiamento e cospirazione insieme a Chelsea Manning, l’informatore che glieli aveva consegnati.

Ora Assange potrà appellarsi qualora Stati Uniti e Regno Unito non siano in grado di fornire alla Corte le rassicurazioni richieste, ovvero il rispetto del Primo Emendamento (libertà di espressione) durante la decisione, il rispetto della sua nazionalità e l’esclusione a priori della pena di morte. Washington ha tre settimane di tempo per soddisfare queste richieste.

Questa sembra al momento l’ultima chance rimasta al giornalista per evitare l’estradizione. Qualora nemmeno questa bastasse, potrebbe tentare la strada dell’appello alla Corte europea dei diritti umani che potrebbe bloccare il trasferimento fino a una sua decisione sul caso. Amnesty ha già bollato le promesse del governo americano sul caso come «intrinsecamente inattendibili».

La decisione dei giudici londinesi rappresenta un controribaltone: nel 2021 avevano infatti respinto la richiesta di estradizione, dati i possibili rischi per l’incolumità di Assange, per poi accettarla l’anno successivo. La decisione di oggi potrebbe rimettere tutto in discussone.

Nel 2010, grazie a Manning, Assange ha messo le mani su oltre 470mila documenti militari secretati sulla guerra in Afghanistan e in Iraq, e altri 250mila dispacci diplomatici, e li ha pubblicati sulla banca dati aperta e cifrata di WikiLeaks. Il giornalista ha sempre motivato il gesto come denuncia dei crimini e degli errori commessi dai governi occidentali, mentre per gli Stati Uniti ha messo a rischio l’incolumità delle persone che hanno agito come fonti di informazione.

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Bezos supera Musk: è lui l’uomo più ricco al mondo

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jeff bezos uomo più ricco del mondo

Se Tesla ha subito un rilevante calo in borsa nel 2023, Amazon ha continuato a macinare risultati da capogiro.

Dopo due anni, Elon Musk cede il primato della classifica di paperoni e scivola al secondo posto: è Jeff Bezos l’uomo più ricco del mondo. Il patron di Tesla paga il calo in borsa del marchio, ma anche gli investimenti su X e gli esperimenti di Neuralink. Amazon invece continua a vendere a tutto spiano, anzi di più, ed il valore delle sue azioni è cresciuto e rischia di infrangere ogni record.

Musk cede la posizione dopo due anni, ma non è il caso di preoccuparsi per la tenuta delle sue finanze: a 197,7 miliardi di dollari ammonta il suo patrimonio, secondo le stime del Bloomberg Billionaire Index. Quello di Bezos, considerato ora l’uomo più ricco al mondo, è di 200,3.

Dietro al derby statunitense, un francese: il patron del colosso francese del lusso Lvmh Bernard Arnault, il cui patrimonio è stimato in 197,5 miliardi di dollari.

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