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La Russa: «i partigiani in via Rasella non uccisero nazisti, ma una banda musicale di semi-pensionati altoatesini»

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Nuove polemiche e accuse di nostalgie del ventennio investono il presidente del Senato Ignazio La Russa, che oggi ha affermato che i partigiani in via Rasella non uccisero nazisti, ma «una banda musicale di semi pensionati altoatesini».

Più Giorgia Meloni fa le capriole per smentire legami con matrici fascisti, senza troppo successo, e più Ignazio La Russa, che ora è la seconda carica dello Stato, sembra impegnarsi nella direzione opposta. Dopo le polemiche sui busti del Duce, sulle mancate condanne al fascismo, sui figli gay, sulla celebrazione dell’anniversario della nascita dell’Msi e sul testo di commemorazione delle vittime delle Fosse Ardeatine, oggi scoppia una nuova grana, legata a quella precedente: l’attentato partigiano in via Rasella a Roma, in seguito al quale ci fu la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Secondo il presidente del Senato La Russa, intervistato da Libero, in via Rasella i partigiani non uccisero soldati nazisti, ma «una banda musicale di semi pensionati altoatesini». Non italiani, bensì «mezzi tedeschi e mezzi italiani, non si capiva bene in quel tempo». Per la seconda carica dello Stato, l’episodio fu una pagina «tutt’altro che nobile» della Resistenza. Ad aiutare il presidente del Senato a formulare questa ricostruzione storica, il direttore Pietro Senaldi.

Di determinati episodi del Novecento, sarà pur aperto ancora il dibattito storico relativo a cause e contesti, ma i fatti non sono molto interpretabili. Il 23 marzo del ’44 alcuni gappisti fecero detonare un ordigno al passaggio di una colonna nazista. 33 soldati tedeschi e 2 civili rimasero uccisi. Nel fuoco di rappresaglia caddero altre 4 persone. Qualche giorno dopo, la pagina nera delle Fosse Ardeatine, in cui non morirono solo italiani e quelli che furono scelti erano persone contrarie ai regimi del nazifascismo.

Ora, questo episodio è ancora discusso e fonte di dibattito storico appunto, ma la ricostruzione di Ignazio La Russa appare un po’ forzata. Indipendentemente dalla discussione di storiografia però, esprimere una posizione simile spiana la strada ad accese polemiche di carattere politico. Sono passati solo pochi mesi da quando a Russa presiede il Senato, eppure sono già piovute diverse critiche, in diversi momenti, ma con una medesima matrice: il fascismo, verso il quale La Russa proprio non riesce ad esprimere parole di condanna.

Immediatamente si è levato un muro di biasimo da parte delle opposizioni. Schlein parla di «parole inaccettabili e indecenti», Boccia chiede «rispetto alla storia di chi ha fondato la Repubblica», mentre il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo sostiene che si tratti: «dell’ennesimo, gravissimo strappo teso ad assolvere il fascismo e delegittimare la Resistenza».

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Giovanni Toti ha rassegnato le dimissioni da presidente di Regione Liguria

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Dopo ottanta giorni, l’oramai ex governatore ligure ha mollato la presa. Con le dimissioni, Giovani Toti chiederà la revoca dei domiciliari, mentre sarebbe in arrivo la notifica di conclusione delle indagini e con essa il rinvio a giudizio. Già partita la campagna elettorale, si staglia all’orizzonte la sfida Orlando-Rixi. Al voto ad ottobre?

Giovanni Toti ha rassegnato le dimissioni da presidente di Regione Liguria, dopo ottanta giorni di arresti domiciliari. L’ex governatore è accusato di corruzione, falso, abuso di ufficio e finanziamento illecito. Toti potrebbe così far nuovamente richiesta di revoca degli arresti domiciliari.

Le indagini sarebbero alle battute conclusive. Mentre in Procura sfilano gli ultimi testimoni, sarebbero quasi concluse anche le analisi sui telefoni e sui dispositivi sequestrai nei mesi scorsi. Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio.

Sull’ex presidente ligure, grava il rischio di  processo immediato custodiale, senza passare dall’udienza preliminare. I pubblici ministeri Luca Monteverde e Federico Manotti potrebbero disporlo da martedì 30 luglio, quando scadranno i termini per presentare ricorso al tribunale del riesame contro i domiciliari. Tra i presupposti per richiedere un processo immediato però, vi è proprio quello di essere sottoposti a custodia cautelare. Con le dimissioni cade di fatto il pericolo di reiterazione del reato e dunque l’istanza di revoca dei domiciliari, già avanzata e respinta in due occasioni, non dovrebbe incontrare grossi ostacoli. Rimesso in libertà, Toti potrebbe disinnescare dunque il pericolo di giudizio immediato.

Nel frattempo, si è già aperta la partita per la sua successione. Il toto-nomi ha già indicato i probabili sfidanti: Andrea Orlando del Partito Democratico ed Edoardo Rixi della Lega, vice di Salvini ai Trasporti. La lista dell’ex governatore ha ratificato il nuovo nome : Cambiare – Con Giovanni Toti, senza la parola presidente. I consiglieri hanno spiegato che in questo modo, in caso di elezioni, non dovranno raccogliere di nuovo le firme. Toti non sarebbe intenzionato a candidarsi in prima persona, come suggerirebbe la rimozione della parola presidente dal nome della lista. La tornata elettorale sarà anticipata tra ottobre e novembre, forse accorpata con le urne in Emilia-Romagna e Umbria.

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L’Italia si riarma: spesa militare sale a 34 miliardi di euro

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Oggi è stato approvato in Commissione Difesa al Senato l’ultimo dei 27 programmi di acquisto presentati da inizio legislatura. Tra i nuovi armamenti in arrivo, 24 caccia Eurofighter, 272 carri armati tedeschi e 890 missili israeliani. La spesa militare in Italia sfiora i 35 miliardi di euro.

Caccia Eurofighter, carri armati, missile e bombe per gli F-35, manche fregate, sottomarini e ammodernamenti per il comparto navale. Questo il contenuto dell’ultimo programma di acquisto approvato in Commissione Difesa al Senato. Con questo, sale a 27 il numero di pacchetti approvati da inizio legislatura. La spesa militare in Italia sale dunque a 34,6 miliardi di euro, cifra che non raggiunge il famigerato 2% del Pil, ma che dimostra un evidente incremento dei fondi: in precedenza si aggirava sui 25 miliardi.

Il voto di oggi ha trovato il solo parere contrario del Movimento 5 Stelle. Sono proprio i capogruppo nelle commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama Marco Pellegrini e Bruno Marton a riassumere gli impegni stipulati oggi: «La Difesa incassa così l’ok definitivo ad altri 24 caccia Eurofighter Typhoon (7,5 miliardi, 280 milioni di spesa per quest’anno e il prossimo) – un lotto che in passato era stato tagliato a favore del programma F-35 e che oggi viene invece riesumato in aggiunta a quelli, e a migliaia di missili e bombe della Lockheed Martin (700 milioni, 130 la spesa 2024-2025) per armare proprio i famigerati aerei americani. Semaforo verde anche per l’ammodernamento di due fregate classe Doria (240 milioni) – che arriva subito dopo l’ok all’acquisto di due nuove fregate Fremm che non erano previste dal programma originale di 10 navi – e per l’acquisto di una nave (70 milioni) per il monitoraggio delle infrastrutture sottomarine energetiche e informatiche e per la bonifica dei fondali da ordigni inesplosi, unico programma a cui non ci siamo opposti».

Nel 2010 infatti, quando il ministro della Difesa era l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa, l’Italia abbandonò il progetto Eurofighter per sposare quello che vedeva come protagonisti gli ormai celeberrimi F-35. Una mossa che provocò malumori anche nel suo fronte, dal momento che comportò un aumento delle spese belliche. Oggi invece si è deciso che gli aerei a decollo verticale resteranno alla Marina, mentre i caccia Eurofighter saranno assegnati all’aeronautica.

La lista della spesa bellica comprende anche 21 nuove batterie missilistiche semoventi a lunga gittata Himars, dell’americana Lockheed Martin, per 960 milioni e, per rimpiazzare le armi cedute a Kiev, 12 lanciatori Stinger e 890 missili Spike prodotti dalla israeliana Rafael. La Marina, tra le altre cose, acquista due nuove fregate Fremm, prodotte da Fincantieri per quasi due miliardi di euro e due sottomarini, per un miliardo e 3. Il totale di tutto l’impegno di spesa è 34,6 miliardi di euro, di cui mezzo miliardo già quest’anno.

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La soluzione di Delmastro per le carceri affollate: «stranieri a casa loro»

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Intervistato da Repubblica, il Sottosegretario alla Giustizia Delmastro offre la sua soluzione per allentare la pressione sulle carceri italiane: rimandare i detenuti stranieri nei Paesi di provenienza.

I penitenziari italiani vivono una situazione di emergenza cronica, tra celle sovraffollate, carenza di personale e strutture fatiscenti. Ma il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove ha avuto un’idea per aiutare le carceri: rimandare i detenuti stranieri nei rispettivi Paesi di provenienza. «Un terzo dei detenuti è straniera e costa tra i 137 e i 150 euro al giorno. Basta moltiplicare 19.213 detenuti stranieri per 365 giorni e abbiamo trovato i fondi per costruire carceri, assumere agenti e personale».

Secondo Delmastro bisogna «recuperare altri posti per umanizzare la pena. Tant’è che abbiamo sbloccato 166 milioni per l’edilizia penitenziaria incredibilmente bloccati, più 84 col Pnrr, recuperando 6.754 posti sui 10mila mancanti». Durante l’intervista il sottosegretario smentisce di aver detto di volere che i detenuti marciscano in galera: «No, voglio che la espiino perché guardo alle vittime e ai cittadini che non devono vivere nell’insicurezza».

A proposito del tema dei bambini detenuti insieme alle madri afferma: «abbiamo solo detto che il rinvio della pena non è più obbligatorio. Il giudice valuterà la pericolosità sociale. Nessun giudice dotato di senno la sbatte in galera col bimbo di un anno. Diverso è il caso di borseggiatrici seriali che non devono più confidare nell’impunità grazie alla maternità».

Infine, una battuta sul Gio, che in molti hanno definito la squadra di picchiatori anti-rivolte: «Non sono mai stato con le “guardie”, ma sempre al fianco degli agenti che con il Gio daranno un supporto importante per mantenere la sicurezza, tant’è che ci sarà anche il negoziatore».

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