Politica
Paragone imbarca su tutti sul carrozzone ItalExit: no euro, no vax e ora no spid
Stefano Puzzer, che si erse a capo contestatore dei portuali di Trieste correrà con ItalExit di Gianluigi Paragone, nonostante avesse detto che non si sarebbe mai candidato. Nel partito, alle prese con un’ardua raccolta firme, anche Nunzia Schilirò, la vicequestore di Roma celebre per essere stata sospesa dopo aver preso parte a diverse manifestazioni anti Green Pass, e Consuelo Locati, l’avocato che assiste i 500 famigliari di vittime di Covid che hanno fatto causa al governo Conte, al ministero della Sanità e a Regione Lombardia per la gestione dell’emergenza sanitario, chiedendo un risarcimento da 200 milioni di euro.
«Raccogliere 750-1000 firme ad agosto significa voler eliminare le forze anti sistema. Ma il dissenso, se non trova spazio in Parlamento, esploderà in piazza. E io sarò lì». Così tuona Gianluigi Paragone, alle prese con un’ardua raccolta firme per poter presentare alle elezioni ItalExit. Si tratterebbe della prima corsa alle urne per la bizzarra creatura politica da lui fondata, che promette di raccogliere tutte le voci del dissenso.
Paragone non fa sconti e tira in ballo direttamente Sergio Mattarella: «Ci rivolgiamo al capo dello stato, chiedendo se è arbitro oppure se è parte di questo disegno di tenere fuori le forze antisistema. Tocca ai palazzi decidere se ci può essere una deroga. Ci rimettiamo al capo dello stato, siamo alla prova vera della tenuta democratica».
L’ultimo in ordine di tempo ad aver accettato la chiamata dell’ex presentatore, Stefano Puzzer, che si fece conoscere come leader della protesta dei portuali di Trieste. Allora il pomo della discordia era il diabolico strumento di controllo di massa del Green Pass, ma ora non c’è più. Quindi? Il nemico è lo Spid, l’identità digitale: «Sono contrario a tutto quello che è tracciamento, mappatura, identità digitale, controllo delle nostre vite». E se gli si chiede se sia pentito di aver promesso che non si sarebbe mai candidato («lo firmo col sangue») risponde: «Non mi scuso e non mi pento perché quando uno è sincero non deve scusarsi o pentirsi. Non rinnego quelle parole perché quando le ho dette le pensavo per davvero. Solo che dopo sono cambiate molte cose».
Si candiderà con ItalExit, qualora ItalExit riuscisse a candidarsi, anche Nunzia Schilirò, la vicequestore di Roma divenuta uno dei volti più noti e rappresentativi dei no vax. Dopo essere stata oggetto di diversi provvedimenti disciplinari a causa delle opinioni che diffondeva sui social e alla partecipazione a diverse iniziative anti Green Pass, fu sospesa temporaneamente dalla polizia.
Fa parte della partita anche l’avvocato Consuelo Locati, a capo del team di legali che sostiene le 500 persone, famigliari di vittime decedute a causa del Covid, che hanno fatto causa al governo Conte, Attilio Fontana e Regione Lombardia per come hanno gestito l’emergenza sanitaria. L’associazione “Sereni e sempre uniti” chiede 200 milioni di risarcimento.
Attualità
Bersani assolto dall’accusa di diffamazione a Vannacci
Il Tribunale di Ravenna ha assolto Pierluigi Bersani dall’accusa di diffamazione avanzata dal generale Roberto Vannacci. Il politico, rispondendo ai contenuti del libro “Il Mondo al Contrario” utilizzo l’epiteto «coglione», parlando del militare. Secondo i giudici si trattava di una allegoria.
Bersani non ha diffamato il generale Vannacci. Secondo il tribunale di Ravenna, che si è pronunciato sulla querela avanzata dal militare leghista, «il fatto non sussiste». La Procura, in seguito alla denuncia, aveva chiesto per Bersani una multa da 450 euro per diffamazione aggravata dal mezzo, «provata la penale responsabilità sulla base delle documentazioni audio-video». Bersani in un’intervista, riferendosi all’ipotetico bar Italia immaginato da Vannacci nel suo libro, chiese: «Ma se in quel bar lì è possibile dare dell’anormale a un omosessuale, è possibile anche dare del coglione a un generale?».
Secondo il giudice, le parole utilizzate dal politico «non possono essere qualificate come metaforiche», ma è successo che «l querelante abbia confuso la figura della metafora con quella della allegoria». Nel caso di Bersani confondere metafora con allegoria è ancor più facile.
Politica
Conte silura Grillo: «fa controinformazione»
Il primo presidente del Consiglio espresso dal Movimento 5 Stelle ha licenziato il fondatore Beppe Grillo, rescindendo il contratto di collaborazione per la comunicazione.
Dopo mesi di frizioni e scontri a distanza, Giuseppe Conte ha accompagnato alla porta il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, che di fatto è stato licenziato. Il contratto di collaborazione da 300 mila euro annuali, ultimo legame tra l'”elevato” e la sua creatura, è stato chiuso. A spiegarlo è stato lo stesso Conte in un libro di Bruno Vespa che parla di Hitler e Mussolini (“Hitler e Mussolini. L’idillio fatale che sconvolse il mondo (e il ruolo centrale dell’Italia nella nuova Europa”).
Le parole di Conte sono tranchant: «Beppe Grillo è responsabile di una controcomunicazione che fa venire meno le ragioni di una collaborazione contrattuale». Tradotto, perché pagare qualcuno che parla male di noi? «Grillo ha rivendicato il compenso come garante anche nelle ultime lettere che mi ha scritto. Io non ho mai accettato che fosse pagato per questa funzione, che ha un intrinseco valore morale e non è compatibile con alcuna retribuzione».
Ma non si tratta solo di soldi: «Qualcosa si è incrinato in maniera irreversibile. Umanamente sono molto colpito da come si comporta. Vedere oggi che contrasta in maniera così plateale un processo di partecipazione democratica che ci riporta agli ideali originali di Casaleggio mi ha rattristato moltissimo. Perché, al contrario di quel che scrivono i giornali, lo scontro non è personalistico (Grillo contro Conte), ma vede Grillo battersi contro la sua stessa comunità». Insomma, la questione è personale: «già in passato ha avuto atteggiamenti velenosi nei miei confronti, ai quali non ho dato peso perché su tutto prevalevano gli interessi della comunità».
Politica
Volano stracci in FdI: furibonda lite in pubblico tra Antonella Giuli e Federico Mollicone
Prima delle dimissioni di Spano, in Transatlantico è scoppiata una furibonda lite tra la sorella del ministro Giuli, Antonella, ed il deputato FdI Francesco Mollicone.
Il vero tallone d’Achille del governo è la Cultura, intesa come Ministero. Dopo che le anticipazioni di Sigfrido Ranucci hanno sollevato un nuovo caso politico («È un nuovo caso Boccia che potrebbe essere al maschile»), sono arrivate le dimissioni lampo del capo di Gabinetto del ministro Alessandro Giuli, Francesco Spano, travolto dagli attacchi personali provenienti soprattutto da destra. Poco prima della ratifica, in Transatlantico si è consumato un vero e proprio psicodramma tutto interno a FdI: tra la sorella del ministro, Antonella Giuli, ed il presidente della Commissione Cultura di Fratelli d’Italia Federico Mollicone è scoppiata una furibonda lite, nella quale sono volate anche parole pesanti. La Giuli è una giornalista assunta nell’ufficio stampa della Camera. I bene informati la vogliono molto vicina alla sorella della premier, Arianna Meloni.
Il motivo? Lei accusa lui di essersi fermato a parlare con un giornalista. Lui nega. Lei insiste e chiosa con un «ne riparleremo». Lui si avvicina con fare minaccioso: «Mi stai minacciando?». Qualcuno la porta via. Poi le dimissioni di Spano spostano l’attenzione, ma questa mattina Repubblica ha svelato il retroscena.
La tensione in FdI si taglia con il coltello. E’ sempre il quotidiano a raccontare che sulle chat di gruppo trova sempre più spazio un gossip su una presunta relazione tra Spano ed un altro esponente di partito. I vertici sarebbero più che infastiditi dalla situazione e ci sarebbe qualcuno già pronto a spingere per le dimissioni anche di Giuli. Ma non tutti sono d’accordo: «se va a casa lui, andiamo a casa tutti» sussurra un ministro al Corriere della Sera.
La situazione è intricata e il servizio di Report di domenica prossima potrebbe renderla esplosiva.
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