Politica
Europee, Calenda sul nuovo «brand» di Renzi: «auguri, qualunque cosa sia»

Il divorzio è ormai consumato: Matteo Renzi ha annunciato che alle Elezioni Europee si candiderà con un nuovo simbolo, “Il Centro”, nel quale non entrerà Carlo Calenda, che prende le distanze dal progetto dell’ex alleato: «manifesta un’ambizione diversa da quella del Terzo Polo».
Le avventure di una notte di mezza estate, spesso terminano con grandi litigate. E’ successo ad esempio a Carlo Calenda, che la “fuitina” con Matteo Renzi, si è presto reso conto che la convivenza nel Terzo Polo non funzionava. Fin dal giorno seguente alla chiusura dei seggi, sono cominciate a manifestarsi le fratture tra Azione e Italia Viva, culminate con un divorzio che sembrava inevitabile. E non ci sono speranze per i più romantici: i due litiganti non sembrano intenzionati a far la pace, anzi, continuano a darsele, mediaticamente, di santa ragione. Dopo che Renzi ha annunciato il suo prossimo “brand”, Calenda ironizza sulle colonne de Il Corriere della Sera: «auguri al nuovo progettino, qualunque cosa sia».
Il leader di Italia Viva infatti ha annunciato che alle Elezioni Europee del prossimo anno, gli lettori troveranno un nuovo simbolo, un nuovo «brand» per utilizzare le parole di Renzi, sulla scheda elettorale: Il Centro. Si vede che Renzi sta maturando esperienza nel campo dell’editoria: ha copiato il titolo ad un quotidiano abruzzese. Il nuovo progetto non parte coi favori del pronostico, ma si sa, l’ex presidente del Consiglio è uno che ama l’azzardo: il senatore si candiderà in prima persona, nel collegio di Milano.
In conferenza stampa, ha spiegato cosa lo motiva: ««Lo dico e lo faccio non perché uno sia alla ricerca di chissà quale ulteriore riga nel proprio curriculum. Ma perché voglio affermare in nove mesi quello che nessuno sta affermando in Italia, ossia che c’è bisogno di dare una sveglia all’Europa, sennò si va tutti a casa. L’Ue rischia di saltare». Renzi dunque è pronto a salvare l’Europa ed è convinto che si riproporrà la maggioranza Ursula nel prossimo Parlamento Europeo, privo delle componenti più radicali: «maggioranza tra il Ppe e i socialisti senza Alternative for Deutschland, Vox o gli estremisti di sinistra». Ma nel Centro, c’è spazio per Calenda? No, nemmeno secondo Renzi: ««Mi pare che Calenda abbia escluso questa possibilità. La sua è una posizione che merita rispetto, anche perché l’alternativa è una telenovela inspiegabile. Io sono colpito dall’atteggiamento di Azione e di Calenda, che hanno lasciato le cose a metà con la federazione, una caratteristica che Carlo ha già dimostrato quando si è candidato al Parlamento europeo o al Consiglio comunale di Roma, ma non ho nessun tipo di ostilità nei suoi confronti. Ho una scommessa europea e non sto dentro al litigio quotidiano».
Nel frattempo giunge la risposta del diretto interessato: ««Tanti auguri per il progettino del Centro, qualunque cosa sia, e per la candidatura di Renzi». Secondo il segretario di Azione il “collega” di Italia Viva” è mosso da finalità e visione politica differenti: «manifesta un’ambizione diversa da quella del Terzo Polo. Che era la costituzione di una unione delle forze riformiste, popolari e liberali. L’idea di Renzi evidentemente era un’altra dall’inizio». E quando la giornalista Adriana Logroscino gli chiede se non se ne fosse accorto prima, Calenda risponde: «era un tentativo da fare. Speravo di rivedere il Renzi del primo periodo del suo governo».
Attualità
Crosetto querela Il Giornale: «titolo falso e diffamatorio»

Al ministro della Difesa non è piaciuto il titolo che il quotidiano diretto da Sallusti ha dedicato all’incontro con il Procuratore Capo di Roma. Il direttore replica: «quando uno è nervoso perde la lucidità. L’articolo che abbiamo pubblicato è perfetto; il titolo è una sintesi come tutti i titoli lo sono».
Aveva promesso che non avrebbe avuto remore a denunciare giornali e giornalisti ed ha mantenuto la promessa il ministro della Difesa Guido Crosetto, anche se la querela arriva alla testata che non ci aspettava e per motivi diversi dalle accuse di conflitto d’interesse: a finire nel mirino di Crosetto è stato Il Giornale per un articolo, o per meglio dire un titolo, che il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti ha dedicato all’incontro tra il ministro e il Procuratore Capo di Roma Francesco Lo Voi.
L’argomento è ancora quello delle polemiche innescate dal titolare del dicastero della Difesa, che una decina di giorni fa ha parlato di «opposizione giudiziaria» come unico «pericolo» per il Governo Meloni. Parole che hanno innescato una lunga sequela di commenti, critiche e puntualizzazioni. In tale contesto, ieri Crosetto e Lo Voi hanno avuto un incontro chiarificatore. Diversa l’analisi de Il Giornale, che ha titolato «Inchiesta su Crosetto», sebbene nell’articolo specifica: «al momento, il titolare della Difesa non sarebbe indagato».
Un titolo che però il diretto interessato ha giudicato fuorviante: «Oggi quasi tutti i quotidiani danno dell’incontro una rappresentazione corretta. Il Giornale invece inventa di sana pianta un titolo gravemente diffamatorio, totalmente falso costruito evidentemente con il solo intento di infangare» ha affermato Crosetto motivando la sua decisione di far partire la querela e dimostrandosi ancora una volta intransigente verso i giornali e le interpretazioni dei giornalisti.
Non si è fatta attendere la replica del direttore responsabile Sallusti: «Mi sembra che il ministro sia molto nervoso e quando uno è nervoso perde la lucidità. L’articolo che abbiamo pubblicato è perfetto; il titolo è una sintesi come tutti i titoli lo sono, l’inchiesta è sulle parole di Crosetto, non su Crosetto. L’inchiesta è sul tema sollevato da Crosetto e credo che questo lo capisca anche uno stupido». Il direttore continua: «Aspetto la sua querela, mi chiedo come mai non abbia querelato anche il ‘Corriere della Sera’ che lui sostiene aver fatto un titolo, una sintesi eccessiva del suo pensiero. Evidentemente ha qualche timore a querelare il ‘Corriere della Sera’ e pensa di avere gioco facile a querelare giornali che gli sono sempre stati vicini nella sua azione».
Mondo
L’Italia è uscita ufficialmente dalla Via della Seta, l’accordo per gli scambi commerciali con Pechino

L’Italia non rinnoverà il memorandum sulla Belt & Road Initiative alla sua scadenza, nel 2024. Era stato il primo Paese G7 ad aderire.
Sebbene fosse nell’aria già da un po’, l’uscita ufficiale è avvenuta in sordina: l’Italia è uscita dalla Belt & Road Initiative, la nuova Via della Seta, l’accordo siglato nel 2019 dall’allora presidente del Consiglio Conte e il premier cinese Xi Jinping per agevolare gli scambi commerciali tra Europa ed Asia. Alla scadenza naturale, il prossimo 22 marzo 2024, il memorandum non verrà rinnovato.
Da Palazzo Chigi è giunto un semplice «no comment», mentre la Farnesina nel messaggio con cui informava della decisione Pechino, ha specificata che rimane l’ «amicizia strategica» tra i due Paesi.
L’Italia era stato il primo Paese del G7 ad aderire alla Via della Seta. Ed è anche la prima a fare un passo indietro. La mossa è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia in estate e a seguire dalla visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Né Italia, né Cina hanno diramato un comunicato: Pechino non vuole dare troppa enfasi alla notizia per evitare che altri Paesi seguano l’esempio italiano, mentre Roma preferisce non indispettire il potente amico strategico orientale.
Politica
La maggioranza affossa il salario minimo, alla Camera scoppia il caos

Quando il maxiemendamento che affossa la proposta di istituire un salario minimo di 9 euro l’ora è stato approvato, dai banchi dell’opposizioni si sono levati cartelli e grida di protesta. Un deputato si è perfino avvicinato ai banchi della maggioranza con fare minaccioso, ma è stato fermato dai commessi.
153 favorevoli, 118 contrari, 3 astenuti e il salario minimo va in soffitta: il maxiemendamento della maggioranza che affossa la proposta è stato approvato. E le opposizioni, tranne Italia Viva, hanno fatto scattare una protesta plateale.
Al momento del voto in Aula, le tensioni dei mesi scorsi sono definitivamente esplose. Dai banchi delle opposizioni sono spuntati cartelli con le scritte «salario minimo negato» e «non in mio nome», mentre alcuni deputati si sono avvicinati agli scranni della maggioranza gridando «vergogna». Seduta sospesa e commessi costretti a strappare dalle mani dei deputati i cartelli. Un onorevole particolarmente focoso è stato perfino trattenuto prima che potesse raggiungere i banchi dei deputati dei partiti di governo.
«Noi andremo avanti insieme alle altre opposizioni come portarla avanti già raccolto 500mila firme. Anche oggi abbiamo agito in maniera compatta e continueremo a farlo» ha affermato Elly Schlein, che ha aggiunto: «’Meloni volta spalle alle condizioni materiali di lavoro. Hanno deciso da che parte stare stanno con chi sfrutta lavoro e spalancano le porte ai contratti pirata». Dello stesso avviso Giuseppe Conte che, al pari della segretaria dem, ha ritirato la firma dal provvedimento: «Con la stessa arroganza con cui fate fermare un treno per far scendere un ministro, voi avete fermato la speranza di 3,6 milioni di lavoratrici e lavoratori che sono sottopagati. Questo gesto proditorio non lo compirete in mio nome e nel nome del M5S: state facendo carta straccia del salario minimo legale» ha detto ieri alla Camera, strappando platealmente il testo del provvedimento.
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