Mondo
Gli aiuti umanitari internazionali in Siria

Nonostante l’embargo, in Siria stanno arrivando soccorsi, squadre d’intervento e aiuti umanitari internazionali da Indonesia, Norvegia, Egitto ed altri Paesi, dopo il tremendo terremoto che ha colpito il Paese e la Turchia.
Gli aiuti umanitari internazionali stanno arrivando in Siria. All’aeroporto internazionale di Damasco sono arrivati il 22 febbraio dall’Indonesia due aerei di soccorso, con a bordo una delegazione ufficiale, una squadra di soccorso e aiuti alle popolazioni colpite dal terremoto.
L’assistente del ministro indonesiano per lo sviluppo umano e gli affari culturali per il coordinamento dello sviluppo regionale e la gestione dei disastri, Sue Derman, ha spiegato che la squadra di soccorso comprende esperti nell’affrontare i disastri e che i due aerei hanno trasportato 75 tonnellate di aiuti umanitari per le persone colpite dal terremoto, indicando che il suo Paese fornirà tutta l’assistenza possibile alla Siria per far fronte alle ripercussioni del terremoto.
L’ambasciatore dell’Indonesia a Damasco, Wajid Fawzi, ha dichiarato: «Questo aiuto è un’espressione della solidarietà dell’Indonesia con la Siria e del forte rapporto tra i due paesi». I due aerei erano accompagnati da una delegazione ufficiale di 21 funzionari del Ministero di Coordinamento per lo Sviluppo Umano e la Cultura, l’Agenzia Nazionale per la Risposta ai Disastri, il Ministero degli Affari Esteri, la Polizia Nazionale Indonesiana, un membro del Parlamento e giornalisti.
All’aeroporto di Damasco è arrivato anche un aereo di soccorso dalla Norvegia, che trasportava soccorsi per le persone colpite dal terremoto. Islak Heldal, vice capo della missione norvegese a Damasco, ha spiegato in una dichiarazione ai giornalisti che questo è il primo aiuto norvegese a raggiungere la Siria, osservando che da quando si è verificato il terremoto, c’è stata una risposta all’invio di aiuti umanitari alle persone colpite e consegnandolo attraverso i partner umanitari della Croce Rossa Norvegese (le Nazioni Unite e la Mezzaluna Rossa Araba Siriana). Heildal ha offerto le sue condoglianze alle famiglie delle vittime del terremoto, ringraziando la Mezzaluna Rossa Araba Siriana e tutti coloro che hanno svolto efficacemente il loro dovere umanitario in queste circostanze. A sua volta, il Direttore della Croce Rossa Norvegese, Muhammad Hammoud, ha confermato il proseguimento del supporto.
Da parte sua, il capo della Mezzaluna Rossa Araba Siriana, Ing. Khaled Hboubati, ha indicato che questo aereo è il primo ad arrivare dalla Norvegia all’aeroporto internazionale di Damasco, ringraziando il governo norvegese e la Croce Rossa norvegese per la loro iniziativa umanitaria a sostegno del Siriani colpiti dal terremoto.
A Damasco sono arrivati anche due aerei emiratini, il primo con oltre 100 tonnellate di generi alimentari, coperte, vestiti e generatori di elettricità, il secondo con 32 tonnellate e 220 kg di generi alimentari e bottiglie d’acqua per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto. All’aeroporto di Latakia invece, sono arrivati due aerei degli Emirati, il primo con 20 tonnellate di carico e il secondo con 26 tonnellate di viveri e soccorsi per i terremotati. E ad Aleppo è arrivato un aereo umanitario iraniano che trasportava 40 tonnellate di cibo e medicine. Anche l’aeroporto di Aleppo ha ricevuto un aereo degli Emirati che trasportava 26,5 tonnellate di soccorsi e aiuti alimentari per le vittime del terremoto.
Il secondo giorno del terremoto, l’Egitto ha fornito soccorsi umanitari con 5 aerei, 3 alla Siria e 2 alla Turchia. Il 21 febbraio, l’Egitto ha fornito una nave da guerra carica di aiuti medici, cibo e generi di prima necessità. L’Egitto è stato anche il primo paese a fornire aiuti alla Siria e ha inviato specialisti e attrezzature per aiutare specificamente la parte siriana. Ieri invece, è partito il terzo carico di aiuti umanitari verso la Turchia.

Chiara Cavalieri
Mondo
Incriminato Donald Trump: «sono un perseguitato»

E’ la prima volta che un ex presidente degli Stati Uniti d’America viene incriminato come Donald Trump. Secondo le accuse avrebbe usato i soldi della campagna elettorale per pagare il silenzio di una pornostar con la quale aveva avuto una relazione. Martedì dovrebbe presentarsi in Tribunale. Timori per una nuova “Capitol Hill”.
La notizia era attesa da giorni. Il Grand Giury di New York e ha infine incriminato Donald Trump per la vicenda legato al pagamento di Stormy Daniels, la pornostar con cui ebbe una relazione dopo il matrimonio con Melania. L’ex presidente statunitense Trump, il primo ad essere incriminato, si è sempre mosso per trasformare la sua vicenda giudiziaria in uno show mediatico ed è già passato al contrattacco: «Sono un perseguitato,» ha commentato. Il tycoon sostiene che si tratti di una macchinazione per impedirgli una nuova scalata alla Casa Bianca e si è spinto perfino a ipotizzare che ci possa essere Joe Biden dietro a tutto questo.
Martedì dovrebbe comparire in Tribunale per l’incriminazione formale, dopodiché dovrebbe essere rimesso in libertà su cauzione. Al momento non si sono verificate grosse reazioni alla notizia, ma si teme che nel giorno in cui comparirà in aula, possano verificarsi nuovi scontri, simili a quelli avvenuti in occasione dell’assalto di Capitol Hill.
Secondo le accuse Trump avrebbe pagato, ai tempi della sua prima candidatura, la pornostar Stormy Daniels per tacere sulla loro relazione, successiva la matrimonio con Melania. La notizia avrebbe ovviamente avuto un impatto negativo sulla sua campagna elettorale. Di per sé quanto fatto da Trump non è illegale, ma secondo l’accusa avrebbe pagato l’attrice hard in nero ed usando i fondi per la campagna elettorale.
La vicenda risale a 7 anni fa, un’eternità per la Giustizia Americana. In mezzo i quattro anni da Potus, presidente degli Stati Uniti, e la pandemia hanno dilatato i tempi di una vicenda che martedì potrebbe inaugurare un nuovo, drammatico, capitolo.
Mondo
Mostra foto del David agli studenti, preside costretta a dimettersi: «è pornografia»

La preside di un istituto californiano è stata costretta a rassegnare le dimissioni dopo le proteste dei genitori degli studenti, ai quali ha mostrato, durante una lezione di Storia dell’Arte, una foto del David di Michelangelo, giudicata «pornografia».
Ma non è che la “cancel culture” ci sta sfuggendo di mano? O forse stiamo solo impazzendo tutti. O almeno, è quello a cui si sarebbe portati a pensare valutando una storia che arriva dalla California, dove una preside di una scuola media è stata costretta a rassegnare le dimissioni per placare uno scandalo: ha mostrato foto pornografiche ai suoi studenti minorenni. Fino a qui sarebbe tutto comprensibili, anzi appare quasi fin troppo blanda la contromisura nei confronti della docente pervertita, se non fosse che la pornografia in questione era una foto del David di Michelangelo.
Il David è una delle opere più mirabili dello scibile umano, massima espressione della scultura e simbolo della perfezione dei canoni estetici. Ma il buon vecchio David ha una colpa: beffardo, mostra le pudenda.
E su questa sua ben visibile inclinazione all’esibizionismo, più che sulla squisitezza dei dettagli impressi nel marmo e nella storia, si sono soffermati i genitori degli alunni dell’istituto, che hanno chiesto, e ottenuto, le dimissioni della preside. Ma tra le opere di quello sporcaccione di Michelangelo, non c’è solo il David nel mirino dei genitori anti pornografia. Anche la Creazione di Adamo avrebbe suscitato malcontento, mentre la Venere di Botticelli ha generato scandalo.
Insomma, la California in questo episodio è apparsa veramente distante dal Rinascimento Fiorentino.
Mondo
L’Ungheria di Orbán: «noi non arresteremmo Putin»

L’ennesimo distinguo dell’Ungheria di Orbán rispetto alla linea dei Paesi Ue in tema di guerra in Ucraina, che ha dichiarato che non darebbe seguito all’arresto Putin disposto dalla corte internazionale, costituisce una frattura sul piano del diritto internazionale. L’Aia insiste: «Ungheria ha ratificato trattato, ha obbligo di cooperare».
In tema di sanzioni alla Russia, o quantomeno di condanne verso l’invasione d’Ucraina, l’Ungheria si è dimostrato il Paese più tiepido, tra i partner europei. Anche prima dell’inizio della “operazione speciale” spesso la linea di Budapest viaggiava parallelamente a quella di Bruxelles, senza incontrala mai. Ma la dichiarazione del capo di gabinetto di Orbán, Gergely Gulyás, rappresentano una vera e propria frattura sul piano internazionale. L’Ungheria infatti, in base a quanto dichiarato, non darebbe seguito al mandato d’arresto nei confronti di Putin spiccato dal Tribunale Internazionale, qualora il presidente russo mettesse piede in terra ungherese.
Al di là della divergenza di opinioni, questa posizione rappresenterebbe una trasgressione ai doveri a cui sarebbe sottoposta l’Ungheria, che ha ratificato l’ingresso nella Corte Penale internazionale. E’ sempre Gulyás a spiegare che il trattato però non vincolante per Budapest dal momento che «non è stato ancora promulgato poiché contrario alla Costituzione».
Una tesi però smentita da una fonte interna al Tribunale de l’Aia, citata da Ansa, secondo la quale: «ha ratificato il trattato nel 2001 e ha l’obbligo di cooperare con la Corte nel quadro dello Statuto di Roma».
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