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Iran, bombe molotov sulla casa natale dell’Ayatollah Khomeini

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Sui social stanno circolando le immagini della casa dell’ayatollah Khomeini che brucia dopo essere stata colpita dalle bottiglie molotov lanciate dai manifestanti. Un attacco ad un simbolo del potere del regime che pare portare le proteste ad un nuovo livello. E si parla ormai di una nuova rivoluzione iraniana.

Ormai la sollevazione popolare in Iran è diventata una vera rivolta contro il regime dittatoriale. Le proteste scaturite in seguito alla morte di Mahsa Amini, la giovane arrestata e morta in carcere per aver indossato non correttamente l’hijab, sono andate via via montando ed hanno ormai assunti i contorni della rivoluzione. La protesta di queste ore, è un attacco al potere e a ciò che rappresenta: i manifestanti hanno lanciato bottiglie molotov contro la casa natale dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, guida spirituale ed ex leader supremo del Paese.

Un attacco allo stesso tempo politico e religioso, che sfida il cuore, il cervello e i muscoli del regime iraniano. Sui social i video dell’incendio stanno già facendo scalpore. In base a quanto si apprende, la casa dell’ayatollah Khomeini starebbe andando a fuoco in seguito al lancio di alcune bottiglie molotov, da parte dei manifestanti.

L’edificio è stato trasformato in una casa-museo dedicata al padre della rivoluzione iraniana, o appunta khomeinista, che tra il 1978 e il 1979 trasformò l’Iran in una reppubblica islamica sciita, di ispirazione confessionale, la cui costituzione è stata redatta in base alla legge coranica.

Gli scontri nel Paese si inaspriscono ora dopo ora e nei giorni scorsi il regime ha decretato le prime condanne a morte. Una repressione dura da parte del governo centrale, anche nei confronti di cittadini stranieri, tra cui la nostra connazionale Alessia Piperno, che però non ha soffocato la sollevazione popolare. I cittadini non si sono lasciati intimidire e continuano a scendere in piazza, le donne si tolgono il velo e invocano i propri diritti, i più giovani non si quietano e continuano a sfidare il regime. La rivolta non si arresta.

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Proseguono le proteste in Francia dopo l’approvazione della riforma delle pensioni

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Senza sosta le proteste contro la riforma delle pensioni della popolazione a Parigi e in altre città di Francia continuano da diverse settimane. Sono stati fermati 142 persone con quasi 2 mila agenti in campo per mantenere l’ordine pubblico nella capitale assediata dai manifestanti.

Il governo guidato da Elisabeth Borne, primo ministro di Francia in carica da maggio scorso, è riuscito a far approvare la discussa riforma delle pensioni senza dover effettuare il passaggio in Parlamento, superando in modo incolume la mozione di sfiducia delle opposizioni per soli 9 voti.

La riforma francese prevede l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. Il testo diventato legge riporta che l’aumento avverrà gradualmente da qui al 2030. Nella pratica vuol dire che ogni 3 mesi per i prossimi 8 anni l’età pensionabile si innalzerà. La riforma comporta anche la cancellazione dei regimi speciali, ai quali appartengono il 25% dei pensionati compresi nelle particolari categorie di soggetti come i dipendenti della Banca di Francia, dell’azienda del trasporto pubblico di Parigi o delle industrie del gas e dell’elettricità etc. Inoltre, è previsto l’aumento della pensione minima a 1200 euro lordi al mese.

A seguito dell’approvazione di tale riforma i cittadini francesi, che già da settimane esprimevano in strada il loro dissenso con scioperi e manifestazioni, sono scesi in strada presi dal furore della loro rabbia. Solo nella capitale francese sono stati impegnati quasi 2000 agenti di polizia con l’obiettivo di mantenere l’ordine pubblico. Le manifestazioni, non sempre pacifiche, hanno riguardato anche altre città della Francia come Strasburgo e Lione. Durante i disordini in strada sono stati dati alle fiamme innumerevoli automobili e cassonetti dell’immondizia e si sono verificati lanci di oggetti in risposta dei quali i militari hanno fatto cariche e lanci di lacrimogeni. La situazione potrebbe restare così ancora per molto tempo visto che non ci sono segnali di rallentamento degli scontri e delle proteste, nonostante il divieto di assembramenti. Al momento i sindacati hanno dichiarato il prolungamento di quasi tutti gli scioperi delle varie categorie di lavoratori, i cui calendari verranno resi noti a breve. Nelle zone più popolose della Francia, a seguito degli scioperi a intermittenza delle raffinerie iniziati nello scorso ottobre, iniziano ad esserci lunghe code ai distributori di benzina a causa della sua scarsità. Altre conseguenze negative previste a breve sono sicuramente interruzioni anche per lunghi periodi dell’energia elettrica e delle forniture di gas anche per uso domestico. I francesi nonostante tutto appaiono compatti e più convinti che mai che il governo e la sua riforma debbano essere strenuamente combattuti e magari addirittura anche abbattuti.

Francesca Pia Lombardi

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Cosa sta succedendo a Credit Suisse: la crisi, il crollo in Borsa e?

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A pochi giorni dal fallimento della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti ecco il panico anche in Europa. L’istituto di credito svizzero Credit Suisse, avendo ceduto il 24,2% nella Borsa di Zurigo, ha provocato un uragano di vendite su tutto il comparto bancario del vecchio continente, tanto da fargli dichiarare in una nota “l’intenzione di prendere in prestito 50 miliardi di franchi svizzeri” dalla banca centrale nazionale per evitare il crack.

Nella giornata di ieri i titoli di Credit Suisse, la seconda banca svizzera sono arrivati a perdere fino al 31 per cento del loro valore, tanto da dover chiedere aiuto alla banca centrale svizzera, la quale ha concesso non senza timori un prestito davvero ingente di 50 miliardi di franchi svizzeri per tentare di frenare la crisi e provare ai mercati finanziari la sua solidità in termini di liquidità.

Da qualche giorno l’istituto di credito svizzero sta generando gravissime preoccupazioni sui mercati internazionali, alimentando ulteriormente le tensioni nate dalle crisi temporalmente precedenti della SVB e della Signature Bank. Crisi non direttamente correlate, ma che inserite in un contesto di generale incertezza in relazione alla stabilità del sistema finanziario e bancario hanno di fatto innescato il timore di un “contagio” ad altre realtà. Significa, cercando di semplificare, che il solo fantasma di una banca in crisi può portare gli investitori a riversare tali debolezze su tutto il settore, vendendo le azioni di altri istituti di credito anche se perfettamente in salute, ma percepite instabili solo perché viste dietro le lenti della paura, facendo precipitare tutto il sistema nel panico. Ecco chiarita la motivazione sulla quale si fonda l’elargizione a volte spropositata di enormi prestiti a un singolo istituto, precisamente per proteggere sin dai primi segnali l’intero sistema bancario.

Nel peculiare, l’andamento negativo dei titoli di Credit Suisse è stato generato da molte indiscrezioni riguardo a debolezze di bilancio, confermate dal fatto che mercoledì sera il presidente della Saudi National Bank, prima azionista di Credit Suisse, ha dichiarato ufficialmente l’indisponibilità a fornire liquidità in caso di difficoltà. Tale dichiarazione ufficiale unita all’ammissione del management di Credit Suisse della presenza di “concrete debolezze di bilancio” ha mandato nel panico l’intera massa di investitori e portatori di interesse. Da tempo la banca era attenzionata e sotto pressione a causa di gravi scandali finanziari, tanto che a inizio febbraio 2022 vennero resi noti i peggiori risultati finanziari dal 2008.

Ulrich Korner, nuovo amministratore delegato, ha annunciato un grosso piano di ristrutturazione, comprendente tagli del personale ma soprattutto lo scorporo delle attività di investment banking, in modo che ci sia una rifocalizzazione sul suo core business, cioè la gestione dei patrimoni. Nonostante tutto gli analisti sono abbastanza concordi nel ritenere Credit Suisse ancora una banca solida, nonostante la crisi, viste anche le rigide regole europee e svizzere sulle attività bancarie. Tuttavia nemmeno il massimo esperto nelle meccaniche di mercato può disegnare lo scenario nel quale andremo a trovarci nelle prossime settimane. Non ci resta che attendere.

Francesca Pia Lombardi

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La taglia della Russia sul ministro della Difesa: 15 milioni per la testa di Crosetto

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Indiscrezione pubblicata da Il Foglio: la nostra intelligence avrebbe avvisato i vertici di governo del fatto che la Russia avrebbe messo una taglia da 15 milioni di dollari sulla testa del ministro della Difesa Guido Crosetto.

Guido Crosetto, ministro della Difesa italiano, sarebbe nel mirino della Russia, che avrebb messo una taglia da 15 milioni di euro sulla sua testa. Non si tratta di un rumors che rimbalza in rete, ma di un’indiscrezione pubblicata da Il Foglio. Il quotidiano cita fonti d’intelligence. Proprio i nostri servizi avrebbero messo in guardia i veritici di governo e il diretto interessato del pericolo.

Si sa anche il nome ed il cognome di quello che avrebbe messo la taglia su Crosetto: Dmitri Medvedev, ex presidente russo. Il falco di Putin fin dall’inizio dell'”operazione speciale” è una delle voce più furiose della propaganda russa e si è dimostrato a più riprese infuriato con il nostro Paese. L’omicidio sarebbe stato commissionato al famigerato gruppo Wagner, rende noto ancora il quotidiano, che in Europa può contare su due cellule: una nei Balcani ed una nei Paesi Baltici. Da qui potrebbero partire le cellule incaricate del delitto.

Le minacce a Crosetto sarebbero arrivate prima delle affermazioni di quest’ultimo sulla strategia in atto da parte dei mercenari della Wagner di voler attuare una «guerra ibrida», favorendo ed alimentando i flussi migratori provenienti dal nord Africa.

Per tutta risposta il leader del gruppo, il generale Evgeni Prigozhin, aveva apostrofato il ministro della Difesa come «mudok», un epiteto non particolarmente raffinato, traducibile con sxxxxxo.

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